2022/09/29

LINGUE VEICOLARI E LINGUAE SUBALTERNE

Lingue veicolari e Lingue subalterne Un cordiale saluto a Voi tutti amici carissimi, e un grazie di cuore all’amico Douglas Ponton, che mi ha voluto qui stasera per parlare del dialetto siciliano, o della mia storia con il dialetto. Parlare del nostro dialetto, della sua importanza e della sua funzione per ognuno di noi, è importante, soprattutto perché qui, nella nostra Terra, il dialetto viene ancora parlato in famiglia, o fra amici, ma anche per creare interessanti poesie (in Siciliano). E, possiamo dire che non sono pochi i poeti che usano ancora fare uso del dialetto siciliano, con notevole successo. Io sono nato a Scicli poco prima della Seconda Guerra Mondiale, nato in un periodo storico quando in tutta la Provincia di Ragusa erano state registrate meno di mille automobili. Ed erano momenti, quando le persone si muovevano a piedi, o a dorso di asino o di cavallo, e solo pochi facevano uso del carro o del calesse. E chi abitava a Scicli poteva vivere (e restare) tutta la vita a Scicli, o nelle sue campagne, quando l’economia era ancora fondata sull’agricoltura. E, ricordo benissimo un mio parente che una volta (nella sua vita) era andato a Catania, e quando parlava con i suoi amici riusciva sempre a infilare nel discorso: “Quando sono andato a Catania”, e sentiva di avere acquisito un vantaggio sul gruppo di amici, che su questo pianeta non avevano visto altro che il loro paese. * * * Ma, queste mie considerazioni servono per dimostrare che quando io ero piccolo, i paesi di questa nostra provincia, erano delle isole. Paesi vicini, non più di 10 Km, ma isole. E mancando i contatti, i vari dialetti erano come fratelli, che si rassomigliavano, ma avevano una loro “riconoscibilità”. E, quando nel 1947 la mia famiglia si trasferì da Scicli a Modica (otto km di distanza) notai subito che a Modica si parlava un dialetto che aveva molte differenze tonali e linguistiche. E lo stesso (io notai) quando in seguito mi recai a Ragusa. Anche a Ragusa i toni, la lunghezza delle vocali, la melodia linguistica erano tipicamente ragusane, di modo che, per noi era facile capire dalla parlata, se una persona era di Scicli, di Modica o di Ragusa, ma anche di Comiso o di Vittoria. Tutti con timbro e caratteristica differente (anche se di poco), come diversi erano i dialetti di Catania e di Palermo. Queste piccole differenze, però, nell’arco di un cinquantennio sono quasi scomparse. In ogni caso, il nostro Siciliano (oggi lingua “minoritaria”), era già parlato (in tutta la Sicilia) al tempo dell’Imperatore (tedesco) Federico II, (tredicesimo secolo), quando la lingua Siciliana era lingua ufficiale, parlata e scritta, portante e importante, che fu la base della “Scuola Poetica Siciliana”: lingua che ha dato vita all’Italiano del nostro Dante Alighieri; lingua che ha resistito fino al tempo della Unità d’Italia (seconda metà dell’Ottocento) quando fu sostituita dalla lingua italiana necessaria per capire i Piemontesi che avevano conquistato la Sicilia, e tutte le altre parti d’Italia. Lingua italiana che verrà usata nelle scuole, ma che qui da noi non è riuscita tuttora a cancellare la nostra lingua madre (il Siciliano), lingua inscritta nel DNA di ognuno di noi, ma lingua che noi tutti sappiamo che avrà i giorni contati. * * * Già nella mia nuova famiglia, la mia lingua (il Siciliano) bussava alla porta per entrare, ma noi (mia moglie ed io) lo abbiamo lasciato fuori dalla porta. Qualcuno potrebbe chiedermi perché a casa mia non si parla il dialetto siciliano? Ecco la risposta: Mia moglie è scozzese, e, di necessità, abbiamo scelto di parlare Italiano. I nostri figli hanno fatto le scuole italiane, capiscono il dialetto siciliano, ma parlano anche l’Inglese. Di fatto sono italiani e scozzesi al 50%. Adesso, uno dei nostri figli abita e lavora a Lussemburgo ed è sposato con una ragazza russa di origine ebraica. La mia nipotina ha sangue russo-ebraico, scozzese e italiano, e nella famiglia di mio figlio Lucas si è “scelto-o-deciso” di parlare Italiano, Russo, Inglese, ma non Siciliano. E, a voler chiedere a Lucas cosa ne pensa di questa apertura multi-etnica della sua famiglia, mi dice che: “È bene parlare più lingue, perché aiuta a vedere le cose da più punti di vista, ma anche a riscoprirsi in personalità diverse. Per esempio? - aggiunge Lucas - Parlo russo come un bambino, uso il Francese per comunicare con Lussemburghesi, parlo l’Inglese “professionale” al lavoro, e l’Italiano a casa”. Ruoli diversi, lingue diverse, senza necessità di fare leva sul dialetto siciliano. Altro nostro figlio, Denis, vive a Edimburgo, in Scozia, e coabita con uno spagnolo. In quella famiglia e in quella Terra di Scozia si parla Inglese. Il Siciliano (e l’Italiano), ma anche lo Spagnolo sono usciti definitivamente dalla finestra. * * * Come è possibile vedere, tutti abbiamo bisogno di una lingua “veicolare” per comunicare con persone e amici nuovi, in una società multi-etnica in continuo cambiamento. E la lingua che si sceglie non è più la lingua o il dialetto che ognuno di noi parlava da piccolo. * * * Ricordo dei miei amici sposati, lui (Giorgio) siciliano, lei (Loose), olandese che comunicavano in inglese, che non abbandonarono mai nelle loro vita, anche se entrambi sapevano che quella loro cosiddetta lingua “veicolare” era un pasticcio di lingua inglese inventato da loro, perché nessuno di loro due conosceva bene l’inglese accademico. La loro necessità? La creazione/invenzione di una lingua familiare? Era una scelta. * * * Altra considerazione. Quando io ero piccolo, io sentivo parlare nella loro lingua dei Veneti, dei Lombardi, dei Piemontesi, ma non capivo una sola parola, così come loro non capivano il Siciliano. Dunque era gioco-forza parlare in Italiano. Oggi? È la stessa cosa. Non possiamo comunicare con Francesi, Tedeschi, Svedesi, senza scegliere una lingua veicolare comune. Lingua che oggi è (lo sappiamo tutti) l’Inglese. * * * Qualche tempo fa conversavo (in Italiano) con il mio amico tedesco, Martin Lutz, Direttore di Orchestra in Wiesbaden, il quale mi raccontava di essersi recato a Roma per perfezionare il suo Italiano (necessario per la lirica), ma, con sua grande sorpresa, si era accorto che tutti i Romani parlavano l’Inglese: lui cercava di parlare Italiano, ma i Romani rispondevano in Inglese. Era da ridere. Ma è la prova che i tempi sono cambiati. I Romani si sentono internazionali e si aprono all’Inglese per capire e farsi capire. Atto di necessità, di apertura e di gentilezza nei confronti del turista.. * * * E mi piace aggiungere che io sono stato in Thailandia, la cui lingua è “tonale”, difficilissima da apprendere per noi occidentali e per coloro che fanno uso di lingue sillabiche (o foniche). Ed è lì, in Thailandia, dove è possibile notare che tutte le insegne dei negozi sono scritte in Inglese, e in caratteri grandi, e vedere riportata sotto l’Inglese, la stessa parola in lingua e caratteri thailandesi. Ed è questo il segnale che l’Inglese non solo è entrato di necessità in Thailandia, ma sta fagocitando la lingua del luogo, dove è possibile notare come “quasi tutti” i locali (come a Roma) parlano l’Inglese. * * * Ma, ho notato un altro paradosso: il mio amico Douglas Mark Ponton, docente di Inglese alla Università di Catania, ha organizzato un Convegno sul ruolo e la fortuna delle lingue minoritarie: Celtico, Gaelico ecc. L’obiettivo era quello di cercare di fare qualcosa per coglierne la identità, o cercare di salvare queste lingue storiche, ma tutti i relatori parlavano (d’obbligo) la lingua Inglese, per fissare il concetto che le lingue minoritarie non dovrebbero morire. * * * Adesso ci si chiede: “Cosa accadrà in futuro?” Parleremo tutti una “lingua veicolare” necessaria per tutti noi. E vedremo come le nostre lingue materne, quelle di cui abbiamo parlato fin da piccoli, scompariranno? Nessuno può dire. Di certo questa è l’epoca della globalizzazione, della evoluzione, degli interscambi e della velocità. Una volta (tempi passati) per andare (a piedi) da Scicli a Ragusa (20 km) si impiegavano quattro ore (o forse più), ed è lo stesso tempo che oggi impiega un aereo per andare da Catania a Edimburgo. Come dire che è il tempo a comandare sulla distanza”. Distanza? Non esiste più se è possibile collegarsi in internet in tempo reale con persone ed eventi di tutto il pianeta. E nessuno saprà dire quali saranno gli effetti psicologici sulle nostre personalità, e su quelle dei nostri figli. GINO CARBONARO P.S. Interessante riportare una bellissima poesia di Franca Cavallo che parla della interferenza (o violenza) dell’Inglese sul dialetto modicano. SIEMU ’TALÏANI! E cchi schifìu è! Mancu a li cani! Cu tuttu śtu parrari stranïeru! Nun siemu ’ngrisi e mancu ’miricani! Siemu ’Talïani, botta ri vilienu! Pi ścàngiu ri “va beni”, sienti “occhèi” i ścarpi ścasillati su’ i “sabò” se ammìti quattru amici è “’ncocchittelli…” Ma ppi ddavèru, ciùi nun si ni pô! ’A fini râ simàna èni ’u “vuicchenti” p’arrùstiri pigghiamu “’u barbichiù” (cufùni si ciamava anticamenti!) e rô dialettu ’n si ni sappi ciù! Se gghièmu ô risturanti pi mangiari ’ntra i pitanzi scigghièmu chiddi “scicchi” e se i “topinambùr” jèmu a urdinari sapiti cchi ni pòrtunu? I patacchi! Ni rìciunu ri fari lu “cecappi” all’ariupuòrtu faciemu lu “cechinni”: ri lu ’talianu ciù cu n’àppi n’àppi! Facièmini ’u “mecappi”… e gghièmuninni! Franca Cavallo, da “Rumani tu cuntu”, 2003

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