2011/04/23

Museo, per non perdere la memoria


    Importanza dei Musei ?
    Passato che vive in noi?

    Stiamo perdendo la memoria. La televisione riempie di nulla gli interstizi della nostra mente, rubandoci i nostri pensieri. Per strada, di sera, le luci di città impediscono di guardare la volta stellare. In compenso conosciamo stelle e galassie riportate nei libri. Ad ogni attimo della nostra vita tagliamo una radice che ci lega alla nostra terra e al nostro passato. Resteremo come alberi senza radici, destinati a perdere il rapporto con sé stessi, l’identità, e infine il sostentamento che gli deriva dalla base, dalla terra, dal passato. Ognuno di noi vive in equilibrio instabile fra passato e futuro: non possiamo dimenticare il passato, non dobbiamo dimenticare il futuro. 
     Gli archivi sono la memoria del passato. Sono le fiaccole di una ipotetica gara a staffetta che consegniamo alle generazioni future. Ognuno di noi è un tedoforo.
     Del nostro passato, un uragano ha spazzato via tutto. Ora, riusciamo a raccogliere solo frantumi di quanto è rimasto.
     Se la vita è una corsa sfrenata verso un meta non segnata da alcuna mappa, è doveroso prendere atto della drammatica situazione e correre a immediati e responsabili ripari. Nessuno di noi può dirsi fuori.  Nessuno può farsi ingannare da false giustificazioni. Il futuro è dei nostri figli. In quel futuro ci saremo solo nella memoria di quello che abbiamo fatto: noi siamo le radici del futuro.
   Tempo fa, nell’Umbria, sommersa dalla neve e funestata da una scossa di terremoto, in un paesino di montagna, una squadra di uomini lavorava sotto le sferzate del vento per riparare un tetto crollato. Per quegli uomini era importante riparare quel tetto: quella casa custodiva la memoria del loro villaggio, e non volevano perderla. In quella casa c'erano i tesori del loro passato, quelli giunti sino a loro dalla notte dei tempi; in quella casetta di montagna era il loro piccolo, grande "Musèion". Si trattava di un letto, di alcune sedie, di poveri utènsili: ma quella era la loro memoria del passato.
     In una libera discussione fra amici, il direttore di un Museo Etnografico degli Iblei lamentava il suo disappunto per il fatto che tutti in Provincia organizzavano musei etnografici ad imitazione di quanto esisteva già nella sua città.
     Quel signore non poneva in conto che ogni città, ogni scuola, ogni famiglia: tutti dovremmo avere un cassetto, un armadio, un angolo, dove conservare e custodire la memoria al nostro passato. Un carro siciliano? Potrebbe essere esposto ovunque: anche in una pubblica piazza, in una vetrina, o anche per strada come arredo pubblico. E chiunque potrebbe osservare i frutti del passato. Oggi, tutto del patrimonio umano appartiene a tutti. Questa è la civiltà.
                               
                                                        Gino Carbonaro

Il sogno della Briguglio Film


Quel fantasma di mio marito

      A Locarno, per il  62° Festival Internazionale del Cinema che si svolgerà  l'8 e il 9 agosto 2009, la “Fondazione Cineteca Italiana” di Milano in collaborazione con Site s.r.l. “Briguglio film” presentano, restaurato in digitale, “Quel fantasma di mio marito”, film del 1950, che vede Walter Chiari in una delle prime prove come interprete protagonista. Il Soggetto è di Antonio Pietrangeli, regia di Camillo Mastrocinque, produttore del film l’allora quarantenne Ferdinando Briguglio, messinese, che nel giugno del 1947 aveva fondato la “Briguglio Film” con sede a Roma e Messina, e subito dopo aveva attivato una Casa di Distribuzione film, sul modello della Company americana.
     Il film “Quel fantasma di mio marito”, considerato perduto, vede ora la luce per merito di Pietro Briguglio, che ha consegnato alla Cineteca Italiana di Milano, la pellicola “infiammabile” ritrovata negli archivi di famiglia.    
     La presentazione di “Quel fantasma di mio marito” nella splendida cornice di Locarno rappresenta un evento importante per una serie di motivi. Innanzitutto, perché a distanza di anni fa conoscere un tipo di commedia italiana degli anni Cinquanta, che proponeva un modello di umorismo fine, certamente originale, che nelle intenzioni degli addetti ai lavori avrebbe dovuto avvicinarsi stilisticamente al gusto dell’umorismo anglosassone. L’obiettivo non dichiarato era quello di provincializzare il cinema italiano per inserirlo nei circuiti cinematografici europei e soprattutto negli Stati Uniti d’America che all’epoca dettavano legge nel campo del cinema.
     Ma, il film è altresì importante perché mette in luce lo stile dell’allora venticinquenne Walter Chiari agli inizi della sua carriera.  In ogni caso l’opera colma un vuoto, ponendosi come anello mancante nella storia del cinema italiano. In ogni caso, il film è importante per cercare di capire la dinamica socio-politica dell’Italia del primo dopoguerra, dal momento che, ci si chiede ancora oggi, perché il film fu inspiegabilmente ritirato dopo poche settimane, proprio mentre se ne registrava un certo successo, e ci si chiede chi era Ferdinando Briguglio e perché una Casa di produzione promettente, abbia deciso di chiudere i battenti e di farla finita con il cinema.
     Ferdinando Briguglio, era un self made man siciliano, un coraggioso imprenditore di grande successo, che dal nulla aveva creato una catena di stabilimenti per la produzione di conserve e generi alimentari, che venivano forniti alla amministrazione militare italiana e, subito dopo la guerra, al MOF, Ministry of Food di Londra. Fra il 1948 e il 1954, la gli “Stabilimenti Briguglio” e la SIAS davano lavoro a circa 500 operai, e non cosa da poco se solo si pensa alle difficoltà economiche di una Sicilia semidistrutta dalla guerra. Ma, Ferdinando Briguglio era altresì colui che riusciva a fiutare gli affari, se a guerra finita operava in in tutti i paesi europei con operazioni compensate e bilanciate che lo portarono ad importare anche pali per la ricostruzione delle linee elettriche in Italia. Dalle conserve alimentari (pomodori e succo di arancia) dalle essenze di profumi (bergamotti e gelsomini), dai pali elettrici al cinema del dopoguerra, per l’uomo comune non c’è rapporto. Eppure, Nando Briguglio, trentanovenne, fu colui che nel 1947 fondò la “Briguglio Film” e subito dopo una “Casa di Distribuzione” che affittava commedie hollywoodiane. 
     In una Italia che rinasce, La “Briguglio Film” produce “Anni difficili”, con soggetto di Vitaliano Brancati, regia di Luigi Zampa, con Umberto Spadaro, Massimo Girotti, Delia Scala, mettendo in circuito un film di eccezionale valore storico, sociologico e artistico. Pietra miliare nella storia cinematografica, ma soprattutto modello unico di cinema che ebbe per primo il coraggio di denunziare le assurdità della trascorsa epoca fascista. Ma, se Ferdinando Briguglio fu il primo ad estendere i suoi interessi anche nella industria cinematografica, fu il primo a capire, sulla propria pelle che quel tipo di cinema era un terreno minato, nelle mani di una censura che dava spazi agli “amici”, ma rendeva la vita impossibile a chi non si piegava alle sordide leggi del mercato politico. Fu per questo che Ferdinando Briguglio, imprenditore puro, decise con una decisione fulminea di chiudere con la sua esperienza cinematografica ritirando “inspiegabilmente” dal mercato il film “Quel fantasma di mio marito” che sino ad oggi era considerato perduto, ma che ora ritorna alla luce per illuminare una parte della nostra storia passata.

                                                                Gino Carbonaro     

Tradurre è un po' tradire


Dal siciliano alla lingua italiana
Limiti delle traduzioni

 
     Spesso accade di dover tradurre in italiano qualche frase siciliana, ed è allora che si nota una differenza fra le due lingue. È come se italiano e siciliano, che pure sono lingue gemelle, ci fosserò delle diversità.
    Per capire la differenza fra siciliano e italiano facciamo nostra la teoria di Giambattista Vico. Il filosofo napoletano formulò nel Settecento l’ipotesi che la storia dell’uomo e anche il suo linguaggio evolvono seguendo tre momenti: quello del senso, quello della fantasia e quello della ragione. 

   Il primo momento attiene alla lingua dell’uomo-scimmia che da poco si è posto in posizione eretta. In questa fase il linguaggio umano si esprime in forma cruda, sintetica, essenziale e fa uso di segnali del corpo e di movimenti mimetici. Nella seconda fase, la lingua evolvendo diventa creativa, fantastica, poetica, calda, e si amplia facendo uso di similitudini e di analogie. Nel terzo momento, la lingua è lineare, funzionale, ma fredda.
   La differenza fra siciliano e italiano è da ricercare nel fatto che la prima è lingua creativa, poetica e calda, la seconda è lingua funzional-discorsiva e moderna.    
    Nella Sicilia di qualche anno fa una madre notava che i figli litigavano in continuazione e infastidita commentava: “Siti com’ê cani ch’ê jatti!” La lingua italiana scarta la versione analogica “siete come cani e gatti”, fra l’altro cacofonica, e dice funzionalmente che i ragazzi “litigavano come dannati”. Il concetto è lo stesso, ma il percorso linguistico adottato è diverso.    
    Così, di ragazzi che non studiano, non rispettano le cose degli altri e fanno dannare i loro genitori, un siciliano di vecchio stampo, sempre riferendosi a quei giovani, potrebbe fotografare l’evento con la frase: “Pigghiaru a strata d’âçitu!”  La “via dell’aceto” è quella che prende il vino che si inacidisce nella botte. Il proprietario assaggiandolo, nota che il vino comincia a cambiare gusto, sospetta il cambiamento di stato del liquore attaccato dai microbatteri, capisce che il processo è irreversibile e sentenzia fatalisticamente: “Stu vinu pigghiau a strata d’â çitu”. La lingua italiana potrebbe tradurre lo stesso concetto con “questi ragazzi si stanno perdendo”, o frasi similari. Nelle due lingue, l’idea è la stessa, ma la forza di trasmissione è diversa. Lo stesso vale per frasi intraducibili come “Iu mŭnuzzu a çipudda e a ttia t’abbruscănu l’ôcchi” o anche “a jaddina fa l’ôvo e  jaddu ci abbrusca u culu”, che vorrebbero dire: “Il problema è mio, perché ti immischi”: Gli esempi potrebbero continuare. La differenza fra le due lingue è la stessa che si registra nel campo dell’informatica fra analogico e digitale. Ma, il passato è passato. Non si può tornare indietro, anche se l’analogico, con le sue sbavature, i suoi fruscìi, il suo calore aveva il suo fascino.

                   Gino Carbonaro