2012/03/18

"Corna, Cornuto" nella Sicilia di una volta



21.  ’I corna su’ comǚ a li đenti … 
                fanu mali a lu şpuntari
                       ma poi servuno pri manciari

Turiddu ha capito che la moglie lo tradisce. Da ciò 
discende che lui è cornuto. Per convincersi che lui, Turiddu, il maschio, non può essere cornuto, sviluppa un ragionamento qui sotto riportato ed estrapolato dal 21° e 22° cap. de "La Donna nei Proverbi Siciliani" 
                  
                                             di  Gino Carbonaro

La cosa più grave era il non potersi sfogare con nessuno, il non poter avere quella prova tangibile che lo liberasse dallo stato di angoscia che gli procurava il dubbio, l’incertezza! E non era possibile neppure fare delle scenate, dimostrare di essere geloso, perché in questo caso era come darsi la zappa sui piedi! Difatti si sa che

Cu è`gilusu è `beccu! e
    Lu maritu`gilusu mori curnùtu!

   Ma, è a questo punto, che Turiđdu riceve l’illuminazione! Si alza di scatto e decide! decide di continuare a comportarsi come prima, come se niente fosse: fare finta di niente, ma in effetti stare “alle viste”, controllare l’entrata e l’uscita della porta di casa per poterla soprendere “in fallo” con l’amico “di-letto”!

   Ma…! mentre sta definendo i particolari del suo diabolico stratagemma, sente uno strano prurito sul lobo destro della fronte, un po’ in alto, proprio là dove cominciano i capelli, e subito dopo sulla parte sinistra: due punti diversi della fronte epperò fortemente simmetrici. E, cosa non meno strana, questo prurito si stava verificando lontano dai pasti, il che lo faceva insospettire non poco, perché sapeva di certo che…

A lu curnutu quannu nun mancia
`ci mancianu li corna!

   Ma, per la verità, Turiđdu non riuscì a concentrarsi troppo su queste considerazioni, perché un male sordo, ma alquanto intenso cominciò a farsi sentire là dove prima era solo prurito. Il male, che era un incrocio fra il mal di testa e il mal di denti, e che si infittiva sempre di più, gli consigliò di fare ritorno a casa. Ancora una volta, a confortarlo fu il Proverbio, più che gli impacchi di lino bollente, ’i catabrasimi đi linusa , che la buona Concettina gli poggiava sulla parte dolente,

Li corna su’ comu li đenti
faňu mali  a lu şpuntari!
ma poi servunu`pi manciari!

  Si trattava, di un male scomodo, sì, ma passeggero, e pertanto la cosa in sé non destava alcuna preoccupazione.
  Il giorno dopo, difatti, levatosi di buon mattino, Turiđdu si sentì più disteso, più ristorato. E guardatosi allo specchio, ripetè, a bassa voce per non far svegliare la moglie:

Lu`re nun`fa`corna!

Li corna đi la soru … su’ `corna đ’oru!

Li corna đi la mamma… su`đi canna!

Li corna đi li parenti …nun šu’ `nenti!
Li corna di la muġğheri su’ corna veri …
            e`faňu piġğhiari lu fríđdu e la frevi!

   E fu proprio a questo punto che Turiđdu tornò a sentire un brivido gelido, che partito, sempre dall’álluce del piede sinistro, gli congelò ancora il midollo spinale facendogli irrigidire tutti i muscoli. “Che fosse l’effetto di quell’acqua ghiacciata di quell’autunno precoce?” pensò fra sé Turiđdu.

   Adesso il nostro candidato al concorso per merito distinto pensa che forse sta esagerando. E mentre cerca di minimizzare i fatti, sempre guardandosi allo specchio, sviluppa tutta una serie di ragionamenti serrati ed inesorabili nella loro consequenzialità, per montare una catena logica di tipo deduttivo, del tutto simile a quella usata nella sillogistica aristotelico-tomistica, tanto per capirci. Il ragionamento procedeva grosso modo, così. Seguiamolo insieme.

Davanti allo specchio:
 “Monòlogo di Turiđdu”

1°. Nessuno può mettere in dubbio che “tutte” le donne sono puttane. (Premessa maggiore del sillogismo)

2°. È risaputo, però, che da questa privilegiata categoria bisogna escludere la propria madre, la propria sorella e…la propria moglie!  (Premessa minore del sillogismo)

3°. Se ne deduce, dunque (e il ragionamento è chiaro, limpido, cristallino e trasparente come l’acqua) che le corna non possono mai… mai! attecchire all’interno della nostra propria famiglia. (…e qui si conclude il sillogismo)

Magnìficở!Štu.pendõ!
Potenzẩ della lỡgica!?
Acudèza ỷ Arte de Ingẻnio!

   Ma quale cosa più bella, più preziosa, avrebbe potuto donare Dio all’uomo? …La logica …il ragionamento … ché, si badi bene, non è proprietà degli animali, ma qualità che compete solo all’essere pensante, che è l’uomo, che per ciò si distingue dalle bestie. La Ra.gi.o.ne! … Questo strumento magico, vero e proprio manipolatore. e. trasformatore della realtà, in virtù del quale il bianco può diventare nero, e ciò che è tondo può diventare quadrato; e conseguentemente, ciò che è sbagliato,  ipso facto, può essere corretto; e ciò che è storto, voilà, può diventare diritto. Basta aver fede in lei ... nella Logica… nella Ragione! E Turiđdu aveva molta fede nella ragione!

   Con ciò, non si vuole dire che le corna non esistano! Le corna “e-si-sto-no!” come no!

Ma, non ci competono!
Non sono cose che ci toccano…
Non ci riguardano!

   Certamente il fatto in sé, cioè che uno sia `becco, può essere pensato, supposto, magari ipotizzato in sede puramente discorsiva, ma solo come possibilità molto remota, da far rientrare nel calcolo delle probabilità. In questo caso (ma solo in questo caso!) Turiđdu si sente disposto a poter accondiscendere, a poter addivenire, a poter fare suo il ragionamento. Ma, anche dissertando sulla “ipotesi” si sente affluire il sangue alla testa. E masticato appena fra i denti, ripete a se stesso che non è giusto, minçhia! non è corretto che qualcuno possa approfittare della sua Concettina, e con uno scatto amaro esclama:

 Iu simìnu  ’a lattuca
            e ’n-autru si manćia  ’a ’nšalata!

 Şparagnu a`mò muġğheri ’nti lu lettu
            e àutru si la`godi a lu`ruvèttu!

e sbattè la porta dietro di sé uscendo.

  A pranzo, non mancò di osservare con la coda dell’occhio la brava Concettina, che le parve, anzi, un po’ sfrontata e quasi euforica. Tutto nel suo comportamento sembrava dire:

Ştúppa mi đasti e ştúppa  ti filai!

   Turiđdu avrebbe voluto aprire il discorso, dire che che nella vita aveva sempre fatto il suo dovere, che non si era mai tirato indietro, ma si rese conto che la cosa non aveva senso, lui sapeva che la muġğheri víziùsa `cu lu maritu sa la şcusa, come pure che cu’ sapi fínćiri sapi tínćiri. Per questo, pensò di sorvolare, di lasciar cadere la questione, e rimase a mangiare in silenzio, con lo sguardo che girava a vuoto in quel piatto di fave bollite.

  
22. Níu! Níu!
                 Cu nuň è `curnǚtu
                            …è fíġğhiu ‘i `Điu!


   Finito di pranzare, Turiđdu pensò di fare quattro passi, tanto per distrarsi. Ma, come si dice…? la lingua batte dove il dente duole, il pensiero, come l’ago della bussola, per quanto girato e rigirato in tutte le direzioni finiva sempre per ritornare sullo stesso punto.

   Un gruppo di ragazzini che si inseguivano fra loro gli tagliò la strada. E quando si fu allontanato, gli sembrò di udire una strana tiritera, ripetuta in coro e ad alta voce:

           Níu, níu, cu nuň è`curnùtu è `fíġğhiu ’i `Điu!  
           Níu, níu, cu nuň è`curnùtu è `fíġğhiu ’i `Điu!

   Che ce l’avessero con lui? – pensò fra sé Turiđdu -. Ma poi si convinse di aver sentito male e continuò per la sua strada, diretto ora da suo cugino ’Ntò, il figlio di sua zia Minìçċhia, che in fatto di corna aveva una certa esperienza. Ma ’Ntò, che con l’età era diventato più saggio, dapprima fu molto vago, si tenne sulle generali.

Lui sapeva bene che…

Parrari pícca e`véştiri đi pànnu
            mai a lu munnu fíçiru`dānnu!

Acqua cunšiġğhi e`sali
senza ađdummannati nun ni đari!

e ancora

        Fra maritu e`muġğheri nun ci mintiri peđi,
          fra muġġheri e`maritu nun ci mintiri jitu!

   Anche perché i litigi fra marito e moglie prima o poi si risolvono felicemente:

      Li sciarri ’ntra maritu e`muġğheri
                  passanu`ni lu lettu.

   Ma, cionondimeno, alla fine si decise per il meglio, d’altro canto Turiđdu era suo cugino. E per prima cosa cercò di confortarlo, facendogli notare che

     Cu’ pri`picca, cu`pr’assai
                tutti avemu li noşŧŕi`guai!

   e, purtroppo,

Guai e`peni / cu l’havi si li teni!

   D’altronde si sa che in questo mondo infame,

A li proviri e a li şvinturati
            ci çhiovi ’nta lu culu anchi assittati!

E comu đissi lu sceccu a lu mulu,
            nascemmu `pi `đari culu!

e pertanto non resta che piegarsi alla sorte, ponendosi dolcemente ad angolo retto, cu lu culu a`ponti,  per assecondare i disegni del destino, e magari fare appello alla rassegnazione: 

Paçienzia`ci voli  a li `burraşchi
            ca nun si mancia`meli senza muşchi!

Li đinari vannu  e vennu,
            ma li corna sempri críscinu!

e lui, ‘Ntò, su questo argomento era abbastanza prepa-rato!  E sapeva molto bene che…

Corna  e`vastunati, cu l’avi si li porta.

   E mentre ‘Ntò faceva, le sue realistiche considerazioni, Turiđdu diventava sempre più scuro, sempre più cupo in volto. Il cugino comprese di aver calcato troppo la mano e cambiò argomento. “Ma perché prendersela tanto? … la vita è breve e bisogna goderla” – disse ‘Ntò al cugino, che lo guardava negli occhi con lo sguardo assente - “Bisogna farsi coraggio!” - continuò ‘Ntò, - e gli canticchiò addirittura la canzoncina che aveva appreso durante il se.vizio” di leva, quella che diceva:

Se oggi seren non è
doman seren sarà
      se non sarà seren
            si rasserenerà!

   E poi – sentenziò ‘Ntò – bisogna vedere se uno è veramente cornuto, perché

Lu veru curnutu
            havi la teşta comu ’n-šalici putātu!”
e lo fece mettere in controluce per vedere se il disegno delle corna richiamasse l’idea di un salice. “E se anche fosse – aggiunse ancora il cugino – ci sono rimedi e sistemi per cacciare via l’indesiderato male”, bastava fare una dieta a base di lumache, come lui stesso aveva sperimentato a suo tempo; perché si sa che,

Cu’ mancia `babbaluci, caca`corna!

   E pian piano il cugino diventò anche euforico, e disse che non tutti i mali vengono per nuocere perché…

Li corna sunu sicchi
            ma mantennu ’a casa grassa.

   Fece presente tutti i vantaggi, grandi e piccini, del nuovo status sociale, al quale era salito grazie ai riconosciuti meriti della buona Concettina. E glieli enumerò tutti, uno dopo l’altro, questi vantaggi. E gli disse che, tanto per cominciare, entrava nella categoria dei benvoluti, che sono solo tre in tutto il mondo:

Ŧŗi sunu li beni voluti:
            `buffùna,`ruffiàni e`curnùti!

   E non basta!, poiché solo chi ha le corna non corre pericolo che il tetto di casa o la volta celeste possano cadergli in testa, perché …

Lu curnutu teni lu tettu ( e ’u çelu)…
           `cu ’i corna!
           
   Vantaggi immensi, ai quali bisogna aggiungere dulcis in fundo, che siffatta condizione privilegiata tonifica il sistema nervoso. Difatti si dice:

            Đisietti curnutu ca la paçienzia ti veni!

   A tutto ciò – continuò ‘Ntò, ormai preso da una irresistibile foga oratoria – a tutto ciò bisogna ancora aggiungere che proprio lui, Turiđdu, in caso di pronunciata ramificazione delle corna poteva aspirare anche al premio Nobel. Ma in questo caso è necessario che il consenso popolare sia totale, plebiscitario, e che tutti siano concordi nel dire:

            Havia ni la teşta`çhiú`corna ca capiđdi!

Corna`n’havìa quantu ’n-túmmĭnu
’i vavaluçeđdi latini!

e tutto questo alla faccia degli invidiosi che non potendo aspirare a tanto vanno ripetendo:

Chi `bella sorti haňu li curnuti,
           ca senza siri`re su’ ’ncurunāti!

  Questo in sintesi il succo del discorso di ’Ntò.
  
   E mentre quest’ultimo parlava, il viso di Turiđdu tornava a distendersi, a rischiararsi, mentre gli occhi si illuminavano e riprendevano la consueta vivacità.

   Alla fine, però, ’Ntò chiese al cugino se aveva fatto la prova del sole. “La prova del sole? – fece TuriđduE che cos’è?”. ’Ntò stava per rispondere quando un coro di voci si levò dall’alto dei cieli:

Coro 

Lu vôi sapiri cu nuň havi corna?
            cu s’affaccia  a lu suli e nun fa ummira!

In quel momento, però, una nuvola si fermò dispettosa davanti al sole, e al nostro non più giovane amico non rimase che dirigersi lentamente verso casa ruminando fra sé, come il crasto-`bécco  di suo zio Angelino:

Nenti mi ’mporta se`sugnu curnutu
            `başta ca manćiu e`sugnu viştutu!

           Per omnia saecula saeculorum


Amen

Oremus!
                                                
   Qui finisce la storia di Turiđdu e di Cuncittina, anche se i vicini di casa e gli amici tutti, trovarono da ridire sulla ponderata decisione del nostro eroe.

   Poeti e cantastorie, poi, in aeternam rei memoriam, così de-cantarono i meriti del nostro Turiđdu:



   Curnutu, chi tò paŧŗi havìa li corna,
           e di tò nanna li corna tinìa.
           Quannu nascişti tu çhiuvèru corna,
           e ’n-launàru đi corna şcurrìa.
           La tò naca e lu lettu fořu corna,
          ’ntra corna e corna nutricaru a`tia:
           vantari ti`ni poi, çhianca đi corna,
           nun`c’è `curnutu pariġğhiu đi tia.

       
   Cornuto, ché tuo padre era cornuto / e di tua nonna teneva le corna / quando nascesti tu, piòvvero corna dal cielo/ e un torrente di corna scorreva / la tua culla e il tuo letto furono fatte di corna / non c’è cornuto che può reggerti al confronto.

(L. Vigo, Raccolta amplissima, n. 4371, p. 616)

                                                 Gino Carbonaro 

 Dal 21° capitolo de "La Donna nei Proverbi siciliani", Thomson Press, Oxford 2003