2011/04/22

Vitaliano Brancati , Modica & il Fascismo

                 1947  -  Da "Il Vecchio con gli stivali"                           "Anni difficili" di Luigi Zampa



     Modica è città dal fascino antico. Capitale di Contea già dal tempo dei Normanni, si sviluppa a ridosso di quattro colline che da sempre hanno guardato cave dove scorrono freschi torrenti di fondovalle. E le case, incastonate come telline le une accanto alle altre su poggi e dirupi, evocano agli occhi del visitatore l’idea di un presepe. Andare a Modica è come tuffarsi nel passato, procedendo fra strade e “vanelle” che hanno fissato antichi viottoli e sentieri segnati dalla natura. Su tutto, fra decine di palazzi nobiliari e conventi attaccati alle chiese, si ergono silenti e maestose la cattedrale di S. Giorgio e il castello dei Conti. Oggi Modica è patrimonio dell’umanità. Un riconoscimento che è avallato dai turisti che quotidianamente la visitano.
      Scrittori come Sciascia e Bufalino, che sono venuti a Modica di passaggio, hanno decantato Modica, ma, fra questi, chi ne ha subito il fascino per restituirlo nei suoi scritti è stato lo scrittore siciliano Vitaliano Brancati, che fra il 1910 e il 1917 trascorse a Modica gli anni della sua fanciullezza.
    Nel rileggere a distanza di tempo “Il nemico del vincitore” (1932) opera giovanile dello scrittore di Pachino, è possibile rivedere “attraverso i vetri del balcone la città arrampicata sui colli … le mille vetrate lampeggianti … Monserrato in colloquio con tutte le rondini della contrada … la chiesa di San Giorgio con puntini di donne sulle scalinate …”. È una Modica che rivive come in un guache, fra le brume della memoria.
      “Il vecchio con gli stivali” (1945), racconto centrale della produzione di Brancati, è ancora ambientato nella città di Modica, così come il film “Anni difficili” di Luigi Zampa  tratto dal sopraccitato racconto. Sia nel racconto che nel film, Modica resta sullo sfondo come testimone di un’epoca. Città che per la sua importanza meritava di essere chiamata a notaio della storia.
      Tutto questo trovasi riportato nell’opera appena pubblicata dal “Lions Club” di Modica, dal titolo “Vitaliano Brancati e Modica”, curata da Giorgio Buscema. Libro che rende possibile riconsiderare a distanza di tempo le chiavi di lettura dello scrittore siciliano, la sua finissima vena satirica con la quale consegna alla storia uno spaccato della cultura fascista poi collassata sotto il peso della retorica; analisi storica e psicologica di una società in un momento di crisi non dissimile da quello che viviamo oggi. Opera quella di Vitaliano Brancati, che  è cerniera sulla quale ruotano due epoche, quella fascista e quella cosiddetta democratica, che però restano sostanzialmente le stesse; spaccato di storia vera e vissuta che fa riflettere sulle condotte degli italiani di ieri e di oggi, perché è certamente vero che in Italia, dirà Tomasi di Lampedusa, tutto deve cambiare per restare inesorabilmente lo stesso.

                                                          Gino Carbonaro

Artigiani: Insigniti del titolo di Tesori viventi


C’era una volta l’artigiano!
 
   Chi visita il Castello di Donnafugata, qui negli Iblei, rimane stupito dalla bellezza di quanto vi si trova esposto: candelabri di cristallo, mobili d’arte, armature, strumenti musicali. E il pensiero corre alle dinastie nobiliari che hanno arredato quel fortilizio di campagna, senza contare che quanto si trova lì realizzato è risultato della genialità di anonimi artigiani.
     Sono gli artigiani  che da sempre hanno custodito il patrimonio di scoperte fatte dall’uomo nel corso dei millenni; coloro che avevano capacità creativa e abilità per realizzarle.
     Oggi, di questi arti-giani, o arti-geni, per scomodare le etimologie, si è perduta la memoria. Dimentichiamo che Leonardo da Vinci, genio assoluto dell’umanità,  si è formato in una bottega artigiana, quella di Andrea del Verrocchio, vera fucina di idee, dove si scolpivano e si fondevano statue, si realizzavano pale e quadri di altare. Lì, con la forza della mente e l’abilità delle mani si risolvevano tutti i problemi di una committenza esigente. Ma, artigiano era ancora Benvenuto Cellini, orafo e scultore, che fuse, con le sue mani e nella sua bottega, il Pérseo. E botteghe artigiane erano quelle dei ceramisti e vasai greci, dei decoratori di vasi che oggi sono vanto e patrimonio dell’umanità, fra le cose più belle che siano mai state realizzate dall’uomo.
    Più vicini ai nostri tempi, il pensiero va al carro siciliano, struttura sulla quale riposa una millenaria esperienza artigianale; si pensi alla bellezza dei ferri battuti a mano, alle sculture, torniture, decorazioni, all’arte del mastro carradore.   
     Oggi l’artigianato è scomparso. Di quella memoria sono rimasti i reperti, sorta di cadaveri che noi mummifichiamo nei musei. Difatti, l’anima di quel reperto è volata via; non c’è più, né può essere riportata in vita. Ma la società odierna dovrebbe riconoscere i meriti dell’artigiano, che dalla notte dei tempi ha rappresentato intelligenza e memoria dell’umanità. Si potrebbe pensare di dedicargli una statua, almeno, così come si è fatto per il milite ignoto, morto in battaglia per la gloria di generali e sovrani.
    I Giapponesi hanno avvertito quello che stavano perdendo, hanno inventariato gli ultimi artigiani viventi, li hanno considerati beni dell’umanità, custodi della memoria collettiva che non può essere conservata nei libri o nei musei, e li hanno insigniti del titolo di Tesori viventi. Il loro compito è ora quello di lavorare per creare un ponte fra passato e futuro, per insegnare l’arte e i suoi segreti a degli apprendisti, che a loro volta la tramanderanno ad altri. Un passato che vive. Un debito di riconoscenza che quel popolo sente di avere nei confronti dell’artigiano.    

                       Gino Carbonaro