2015/01/11

MENO ASSENZA, poeta. Biografia (Cenni)




Meno Assenza 

poeta

Cenno biografico 

                                                      di Gino Carbonaro





1. Eredità e ruolo dei poeti.

A distanza di un anno, da quando Carmelo Assenza non è più fra noi, si cerca di capire

·     Cosa ha lasciato in eredità questo Ibleo DOC,
·     In cosa consiste per ognuno di noi l’importanza del patrimonio culturale che Meno Assenza ha consegnato a tutti noi. 

·     2. Robert Burns

·     In Scozia, la festa più importante è quella che si celebra ogni anno il 25 gennaio, nel giorno di nascita di Robert Burns (1759-1796), il più grande poeta della Scozia. In questo giorno, molti Scozzesi, in tutto il mondo, si riuniscono ricordando il loro poeta/vate, consumando insieme aggis, antico cibo dei poveri, danzando, cantando musiche popolari scozzesi, e leggendo poesie di Robert Burns. Ed è forma di comunione laica.

Robert Burns era un contadino poeta che cantava la campagna, ed aveva colto i messaggio delle cose che animano la terra, e pure dice cose che solo il poeta sa cogliere e consegnare agli altri per mezzo delle sue poesie.

E' bene accennare ad una Ode che Robert Burns dedica a un fiorellino di campagna (daisy) che, mentre sta arando, si trova davanti a lui, in direzione del solco che sta per fare con l’aratro, ed è allora che il poeta si ferma, e si rivolge al fiore che  definisce “gioiello della natura” dicendo:

Ode a una Margherita di montagna

              Piccola, umile, Margherita, decorata di crémisi,
              Tu mi sei venuta incontro in un brutto momento.
              Fra poco io sarò costretto a schiacciare
       
              il tuo tenero stelo proprio mentre
              si sforza per venir fuori dal fango.
              Io, mia dolce Daisy,
              non ho il potere di risparmiare te,
              gioiello della Natura.

               L’amaro, pungente, vento del Nord soffiava gelido
               sulla tua nascita prematura, mentre tu
               emergevi felice in mezzo alla tempesta
               che si abbatteva sulla tua prematura umile
       nascita, proprio quando la tua forma delicata 
           cominciava a venir fuori dalla Madre-Terra.

I fiori del nostro giardino sono protetti, riparati 
da alti boschi e muri, tu, invece, cresci solitaria
nella campagna aperta, nascosta fra pietre
ed erbacce, e sola adorni le sterili ristoppie.

Somiglia il tuo destino a quello della giovane,
ingenua ragazza che fiorisce all’ombra di una
povera casa di campagna, tradita dal suo amore e
dalla sua innocente sincerità, fino a quando non verrà disonorata, schiacciata come te nel fango, 
e nella polvere.      

               Ed è lo stesso destino che spetta al povero poeta[1] 
               che nell’oceano tempestoso della vita è destinato 
               a non acquistare mai fama.

              Tale destino di sofferenza tocca a coloro che
   hanno combattuto a lungo contro le privazioni 
   e le preoccupazioni, dall’arroganza umana spinti
   sull’orlo della miseria, fino a quando miseri
   in ogni luogo, tranne in Cielo, sprofondano
   nel baratro della loro sventura.

      E anche tu, che piangi la sorte di questa dolce
      Margheritina, sai che anche questo sarà il tuo
      Destino, in una data non lontana,
      proprio quando sei nel pieno della tua fioritura
      e della tua giovinezza, anche tu sarai falciato
      dall’aratro che prepara il solco.
      Proprio questo sarà il tuo destino.

     Amarezza e sconforto che fa di Robbie Burns anche un filosofo, oltre che poeta.

     La vita e l’opera di Carmelo Assenza mi ha ricordato da sempre il grande poeta scozzese. Basta confrontare questa poesia con quella titolata "Mura a ssiccu", il nostro poeta dialoga con i muri e da questi comincia per portare avanti considerazioni sulla vita e sulla morte.

     Paragone che è supportato dal suo immenso amore per la Natura, per la campagna, per le nostre tradizioni popolari, per i nostri canti come pure per i poveri, i diseredati, gli sfortunati.

     Ed è vero che in più luoghi della Contea, c’è chi ha messo in cornice una poesia di Carmelo Assenza, esponendola poi in bella vista ad una parete. E se gli occhi la intercettano e la leggono, il cuore si commuove.

     E c’è ancora qualcuno che ha fatto riscrivere su una placca di ceramica la poesia “Muru a ssiccu” per esporla in casa. Sorta di icona laica che ha un alcunché di religioso, per meditarla come una sorta di preghiera. Ecco la poesia.



Mura a ssiccu

Mura a ssiccu, ntaviddati
Ccu pitruzzi arricugghiuti
Nn’e vignala e puoi ncugnati
Ne purtusa, na li casci
Mura nnichi, mura vasci

Ppi siddacchi e ppi cusciati.
Mura fatti a na traversa
Ca scinniti, c’accianati
Ritti ritti, a cudduredda
Ppi li costi e bbi pirditi

Unni iti? Unni iti
Comu tanti scursunedda
Mura a ssiccu ca parrati
Sulu a ccu-bbi sa’ capiri
E la terra arraccamati
Cu disigna a nun finiri

Ah! Putissi n-gn-juornu aviri
Vurricatu nta n’agnuni
Ppi cummuogghiu n muru a ssiccu
Cumminatu a mannaruni.

Nna lu mienzu ci spuntassi
Rogni tantu l’irvicedda
E all’ussidda n’ ci mancassi
Mai re petri a friscuredda



Meno Assenza, cenno biografico   
   
     Per capire meglio l'opera di Meno Assenza, si rende necessario ripercorrere per somme linee la sua biografia.

Cenno biografico

     Meno Assenza è nato nel 1927, a San Giacomo (territorio di Ragusa) a Salinedda[2], in piena campagna, in un periodo storico, quando tutta la cultura siciliana era ancora intatta, compatta, quando il pane “si scaniava nta briula”, quando le forme del pane erano dette pistolu, cuddura o cudduredda e scacciuni, e solo dopo aver fatto la croce benedicente sul pane e si usava  infornarlo nel forno di pietra preparato con le frasche.  Ed era rito antico. Ed erano  tempi in cui per dissetarsi si beveva l’acqua della cisterna direttamente dal secchio, quando le galline erano lasciate libere di razzolare nel cortile (nto bagghiu), quando il patriarca della famiglia faceva continuo riferimento alla saggezza dei proverbi, e per Carnevale si recitavano gli indovinelli (i mi-niminagghi), e si gioiva, e  le nonne, nelle lunghe e fredde serate invernali raccontavano i Cunti ai nipotini, e tutti conoscevano a memoria  poesie e le fiabe delle nostre tradizioni. Tempi caratterizzati da grande rispetto per gli anziani ai quali i giovani si rivolgevano salutando col “sabbenarica”.

*   *   *

     A quell’epoca, nel decennio che precedette la seconda guerra mondiale, lo spazio e il tempo erano scanditi col passo dei muli (ampajati nto carrettu), quando i terreni si aravano ancora con l’aratro e le spighe si mietevano a mano, con la falce, e si spagliava nelle aie usando asini, cavalli e muli, e i contadini cantavano antiche canzoni per dare il ritmo agli animali.

     Il tempo, allora, era ancora segnato dalle stagioni, che in Sicilia erano solo due: l'inverno  (a mmirnata) e l'estate  (a staçiuni), e le giornate andavano chiaramente dall’alba al tramonto, e quando in estate scendeva la sera gli uomini potevano raccontare le storie del loro passato e le favole antiche sedendo all'aperto sotto la luce della Luna. La vita, insomma, si conduceva secondo moduli antichissimi e compatti che risalivano alla notte dei tempi.

*   *   *

     Meno Assenza nasce e vive come figlio di questa cultura patriarcale, e se anche frequentò la scuola elementare a Noto, presso i nonni materni,[3] di certo rientrava alla Salinedda accanto ai genitori e ai nonni paterni per le feste e nei lunghi periodi estivi. E i viaggi, a quel tempo, si facevano ancora con carri trainati da asini e muli, su strade bianche, che non conoscevano ancora l’asfalto.

     La cultura di Meno Assenza, quella che gli dà l’imprinting, come avrebbe chiamato Konrad Lorenz, e lo fissa nei suoi cromosomi, è quella antica, arcaica, modicana di un tempo, con il suo grande amore per la campagna, prima, e per la terra subito dopo, ma soprattutto con i suoi valori fatti di rispetto per tutto quello che aveva trasmesso la tradizione.

     Ed era epoca quando i Modicani, a migliaia, nei mesi estivi andavano a spigolare dirigendosi verso l’interno della Sicilia con i loro carri e con l’occorrente per lavorare, preparati a dormire sotto le stelle. Evento, quello degli spigolatori, che i modicani hanno fissato in un documento musicale prezioso, il cosiddetto ”Cantu ri li scugghitura”, la cui scoperta si deve quasi certamente a Meno Assenza.

*   *   *

     Poi, lentamente arrivano gli anni del dopoguerra, con radio, televisione, festival di San Remo, automobili, e le prime “moto-ape” che fagocitano i carri siciliani e buttano sul lastrico centinaia di  carradori (i mastr'î carretti), che sono i primi a patire per il cambiamento dei tempi.

     Sono questi gli anni in cui Meno Assenza percepisce che quel suo mondo con tutti i suoi valori sta per scomparire, ed è allora che cerca di mettere in salvo quell’immenso patrimonio di tesori cominciandone la ricerca e la raccolta. Un modo per proteggere dal naufragio e dall’incuria del tempo tutto quell’immenso patrimonio orale che fa parte di tutti noi.

     Ed è così che Meno Assenza diventa a modo suo, uno spigolatore di proverbi, di canti, modi di dire e di quanto era necessario raccogliere e possibile salvare. Ma, è parallelamente allora che Meno Assenza sì dà "silenziosamente" alla poesia in lingua modicana, per sentirsi figlio di quel mondo che andava scomparendo all’orizzonte dei tempi.

     Per valutare i non pochi meriti di Meno Assenza come poeta e come etnologo, bisogna partire proprio dalla campagna e dalla sua cultura antica.

     Cultura del rispetto, l'abbiamo definita, se è vero che i giovani del tempo manifestavano amore totale anche verso tutte le creature della Natura, a partire dal passerotto, dalla lucertolina, agli animali da lavoro,  fino alla cultura fatta di canti, musica, rispetto della feste, della religione,  dei riti.


*   *   *

     Amore, ma soprattutto rispetto. Tanto si evince anche dalla stessa lingua dove spesso si fa uso di un diminutivo (-vezzeggiativo). Io ricordo la gioia di Meno Assenza quando acquistò una casa in una campagna nei dintorni di Modica. Parlava usando spesso  diminutivo: Fici putari i macciteddi. I macciteddi si putunu ca ccittula. Nta maccia c’erunu i ucidduzzi affriddazzati, i picureddi, a vaccaredda, u sciccarieddu, i fimmineddi ca vanu o çiumi ppi lavari, i uliveddi, i spicuzzi, a sigghitedda, l'ucciddu ri suli che sta calannu, l'irvicedda ca crisci. E poi c’era “u lavuri”. Qui la parola si fa seria. Perché il frumento, la spiga, il lavoro, sono sinonimo di vita, pur sempre per il povero contadino a fatica, a sofferenza, alla fame e alla sopravvivenza decisa dal destino e confortata dalla ipotetica e supposta protezione dei santi, che, però, nun surunu (non sudano), cioè non si sforzano tanto per proteggere i fedeli. Comunque, diminutivi che esprimono gentilezza, delicatezza d'animo e rispetto per tutto ciò che sembra vivere attorno a noi e che sembra possedere un'anima.

     Rispetto e incanto sono soprattutto i valori fondanti della sua personalità che ha dato voce a questo mondo, oggi quasi totalmente tramontato.

     E, se è vero che dalla campagna nasce un fiore ricco di colori e di profumi, allo stesso modo, questa terra ha prodotto il poeta Carmelo Assenza con la sua capacità di cogliere i messaggi e le sensazioni di quella cultura della campagna.

*   *   *

     Da questa premessa bisogna, partire per capire tutta la produzione poetica di Assenza, e il suo ruolo come ricercatore di indovinelli, proverbi, modi di dire, canti e per ultimo il suo ruolo come poeta epico che interpreta l'animo, la storia, la sensibilità di un mondo trapassato, ma sano e bellissimo.



Una testimonianza di Gino Carbonaro

                            Carmelo Assenza, ciclista


     L’ho visto per la prima volta quando avrò avuto dodici anni. Io stavo pedalando sulla mia bicicletta, quando mi vidi superato da un ciclista che da subito richiamò alla mia  memoria il grande Bartali. Pedalata precisa, concentrazione, forza. Mi colpì questo strano ciclista mai visto, e lo fissai nella mia mente. Passò qualche giorno e lo rividi, sempre in bicicletta con la stessa tenacia, concentrazione, grinta. Passa dell’altro tempo e intercetto il “ciclista” senza bicicletta, all’impiedi, dall’altra parte del marciapiede dove abitavamo noi.  Serio e austero, all’impiedi. Mi chiedevo cosa stesse facendo, quando in un attimo ebbi la risposta. Il ciclista che è poi il nostro Meno Assenza, aspettava una bella signorina. E la bella signorina era proprio Liliana Gieri, che io conoscevo molto bene, in quanto abitava in via Toscano a una cinquantina di metri in linea d’aria da casa nostra.

Da quel giorno, i due giovani innamorati diventarono parte privilegiata di quel quartiere. Non solo la domenica, quando la signorina Liliana andava in Chiesa, ma anche negli altri giorni.

    Il dolce idillio dei due innamorati era qualcosa che arricchiva lo scenario e io mi dilettavo a guardarli. Certo nessuno a qual tempo poteva immaginare che Carmelo Assenza sarebbe diventato poeta di livello assoluto e ricercatore di tradizioni popolari. Allora era solo un giovane innamorato e per me, anche, un appassionato ciclista.

     Poi, i due si sposarono e qualche hanno dopo vennero ad abitare nello stesso quartiere, in un palazzo appena costruito di fronte all’attuale Bar-y-Centro, a Modica.

     Da allora, sposato, fu possibile incontrarlo quasi quotidianamente. E siccome il nostro nuovo amico era appassionato di fotografia, aveva cominciato a frequentare lo studio fotografico dei miei genitori.

     In quello studio, però, molto spesso c’ero anch’io che facevo i miei esercizi alla fisarmonica. E, il nostro Meno un giorno mi guarda e dice: “Ma tu suoni la fisarmonica? Allora, la conosci questa?” E cominciò a cantare un canto modicano dalla bellezza struggente. Ed era proprio il “Canto degli spigolatori” che raccontava la storia triste degli spigolatori modicani. Ma, la bellezza non era solo nelle parole della poesia, ma ancora nella musica e ancora di più nella sua splendida voce di tenore. Lo conobbi proprio in questa sequenza: prima come ciclista, poi come innamorato, e successivamente come cantante e come appassionato di tradizioni popolari. 

     Diventammo amici e quando scendeva sul Corso Umberto, non mancava di affacciarsi alla porta dello studio dei miei genitori per salutare, e, se era tempo di Carnevale, recitava un po’ furbo, un po’ sornione, un indovinello, e se ne andava via sorridendo.

     Qui l’altra sorpresa. Oltre alla voce da tenore, il mio caro cantante si rilevava un appassionato ricercatore, ma soprattutto  un grande interprete di poesie siciliane. Le poesie recitate da lui  raggiungevano il cuore.

Diventammo amici per la comune passione per la musica. Un giorno, ma ora avevamo qualche anno in più, ci incontrammo a Cava d’Aliga. Era l’estate del 1969. Anna la figlioletta aveva trascorso un brutto inverno con la bronchite e il medico aveva consigliato aria di mare. Cominciammo ad incontrarci tutti i pomeriggi, quando Cava d’Aliga si zittiva per la pennichella pomeridiana, e lui, Meno Assenza, veniva ai nostri incontri portando “veline” dove erano battuti a macchina quelli che in seguito diventeranno “Canti popolari della Contea di Modica”. Io rimasi colpito non poco per la bellezza struggente di quelle poesie popolari siciliane, e ancora una volta per la dolcezza con la quale riusciva a interpretare quei canti. Fu allora che lo esortai a pubblicare quelle sue raccolte dicendogli: “Meno, ma tu sei un altro Pitré, devi pubblicare queste tue raccolte”.  E fra  questi  ”Canti popolari della Contea di Modica”  ce n’è uno voglio riportare. Si tratta di un uomo che lamenta le sue pene  dicendo:

         Sugnu abbiatu ppi  lignu ri varu
         Comu nu murtu na la sipurtura.
         Ogni na stizza r’acqua mi trapana
         Ogni n’amico ngratu m’abbannuna
         Iu nun sientu né roggiu né campana
         Nun sacciu quannu aggiurna e quannu scura.

     Sono buttato qui a terra, come un legno di varo (trave) /come un cadavere all'interno di un sepolcro / Ogni goccia di acqua mi perfora/ ogni amico ingrato mi abbandona/ Io non sento né orologio, né campana/ Non mi rendo conto di come passa il tempo.

1970. Le prime pubblicazioni

     Cosa accadde? Per pubblicare un libro era necessario contattare un editore, che all’epoca non era facile trovare.  Per questo fu fondata a Ragusa una Casa Editrice. Il merito va  alla signora Claire Thomson, scozzese italianizzata, che fondò proprio a questo scopo la piccola e simbolica “Casa Editrice Thomson” dove furono pubblicati “Carrube e Cavalieri” di Raffaele Poidomani, Il Vestru” di Serafino Amabile Guastella, e accanto a questi i “Canti popolari della Contea di Modica” di Carmelo Assenza, che andarono esauriti in pochi mesi, e subito dopo i “400 indovinelli siciliani” di Carmelo Assenza. Nello stesso anno,  il Nostro si laureava poeta pubblicando il suo primo libro di poesie intitolato “Muorica è n-paisi”.
        
     Sono così segnate sin dall’inizio le due direttive degli interessi di Carmelo Assenza: tradizioni popolari da una parte e poesia in lingua modicana dall’altra. Due facce di una stessa medaglia in uno scambio osmotico continuo, quasi forma di “do ut des”: le tradizioni davano qualcosa alla sua poesia, la poesia veniva elaborata sul rispetto della tradizione. In ogni caso, con le sue poesie in dialetto modicano, Meno Assenza continuava, come abbiamo già detto, a dar voce al mondo che era custodito nel suo animo.  Una prova di questo rapporto profondo per le tradizioni ce lo dà lui stesso quando all’interno delle sue poesie inserisce passi di canti popolari siciliani. E’ il segno che lui sente di essere parte di quel mondo e non ne vuole uscire.



                                              Gino carbonaro







[1]  Il poeta è detto “Bard,” bardo.
[2]  A pochi chilometri dalla diga di Santa Rosalia.
[3]  La nonna materna era netina.