2011/03/13

Il Saluto

Shalom, Salam, Sayonara, Shabahelher, Shabinirìca













Gino Carbonaro

     Nei rapporti umani, il saluto è importante. Ce lo dicono le parole di persone risentite: “Quando mi incontra non mi guarda... Se continua, gli tolgo il saluto”.
      Il saluto è segno di pace e di rispetto. Si pensi al “Pax et bonum” di cristiana memoria; al saluto dei gladiatori, rivolto all’Imperatore dei Romani:“Ave Caesare, morituri te salutant”. Da notare, come la metatesi di Ave, Vae, si trasforma nel suo contrario: “Vae victis”, “Guai… ai vinti!” Saluto è augurio. Ave, da habeat, è incipit augurale: “Possa tu avere…”. Lo stesso in Vale, abbreviazione di valeat,  star bene, in salute: “Possa tu stare in buona salute”.
      Ai primordi, il saluto è un fatto naturale. Due persone si incontrano  in un sentiero di montagna. Non si conoscono. Ma, avvicinandosi l’uno all’altro, si guardano, si scambiano un suono, una parola. Nasce il saluto: augh  pellirossa, alò americano, ave  romano. Da notare in tutti l’inizio vocalico, la lettera “a” di apertura, di amicizia, di amore. Ed è segno di stima, di rispetto. Proprio il contrario di quanto accade in coloro che, pur vivendo sotto lo stesso tetto, non si guardano, non si parlano, non si salutano. Il messaggio è chiaro: io non ti degno di uno sguardo, tu non esisti. E il linguaggio (etologico) attiene a tutti i popoli del mondo.     
      Giuseppe Pitré, che ha affrontato l’argomento, considerava il saluto un fatto religioso e scrive: “Il saluto fu lasciato da Gesù, come segno di fratellanza”. E il Proverbio siciliano supporta: “Lu salutu lu lassàu Diu”.
      Il saluto cambia a seconda delle persone, del sesso, dell’età, ma anche a seconda dell’ora della giornata. La ’gna Tresa riceve la visita della ’gna Vanna, e saluta,  ŧŗasìti-cu-sìti, oggi diremmo: “Si accomodi, prego”; ma l’invito è stupendo, perché dice: “Chiunque voi siate, la mia casa e’ vostra, entrate!”
      Se un uomo del popolo incontrava un nobile, il saluto d’obbligo era baciulimanu, e anticamente, alla parola seguiva il vero bacio delle mani, segno tangibile di sottomissione, di rapporto codificato. Ma qui interessa il saluto classico e più bello della Sicilia, quello che i figli dovevano ai genitori, agli anziani: Sa-`benarìca, che in un quartiere di Scicli (Ragusa) veniva pronunziato Sha-`binirìca. Questo dato è importante, perché il termine sha riporta il saluto siciliano ad un contesto religioso, proiettandolo su un areale linguistico mondiale. Si pensi all’ebraico Sha-lom; all’arabo Sa-lam e Sha-bahelhèr; al giapponese Sa-yonara, tutti saluti composti con Sha. Si consideri che Sha o Sa è termine sanscrito, che vuol dire sa-cro; da cui, Sha di Persia, per indicare un re divino; e ancora, Sa-murai e Shô-gun giapponesi e Sha-man (uomo-sacro), Sa-cerdote, (dal latino sacer). E siamo all’idea della sacralità benaugurante. Come dire, lo sha, la divinità che è sacra, ti benedica.