2015/07/03

Apocalisse degli Automi di Salvatore Scalia





Gli scrittori siciliani e la grande guerra 


 
Turi  
Scalia
L’Apocalisse degli Automi



di Gino Carbonaro



Trincee nella Grande Guerra



Turi ciao,


Ho finito di leggere per la seconda volta la tua “Apocalisse degli Automi”, e come sempre, quello che scrivi è per me una sorpresa, ma soprattutto una emozione e un incanto. Io ho letto quasi tutti i tuoi lavori, e sempre sono rimasto colpito dalla scrittura. Scrittura pulita, equilibrata, chiara, funzionale al discorso. Struttura, io la chiamo, che procede con la forza e l’energia pacata di una ruspa che apre la strada ai concetti, sempre con-legati fra di loro, e con dolcezza prende per mano il lettore, che così fa il suo ingresso all’interno del libro. Una architettura di concetti, il tuo modo di scrivere, un elegante ikebana di concetti. E si tratta oltretutto di una prosa che ha il dono della riconoscibilità, che mette a nudo la tua personalità, e con essa la tua cultura, la tua visione delle cose e del mondo, la tua filosofia della vita, che è quella che esprime funzione, ruolo e finalità dello scrittore. Insomma, nella tua scrittura ci sei tu. E c’è tutto.


Leggendo si intuisce che tu ami la scrittura, che scrivere è un momento per te sacro, di comunione con te stesso. Ma, soprattutto modo di rapportarti col mondo esterno. Scrittura, dove ogni parola è prima di tutto un suono, una nota, ed è mezzo - forse mi ripeto - attraverso cui manifesti te stesso, e per questo diventa il tuo biglietto da visita, il modo attraverso cui  ti presenti al lettore che è il vero interlocutore, destinatario del tuo lavoro. “Colui-per-il-quale” si scrive.


In questa delicata attenzione per la forma, senti il rispetto per l’anonimo destinatario (del libro), quello di oggi, e quello di un lontano domani. Perché ogni libro è pur sempre un messaggio in bottiglia. Messaggio lanciato nello spazio e consegnato al tempo. E il tuo lavoro non sfugge a questa regola.  




Apocalisse degli Automi


“Apocalisse degli Automi” è titolo sintetico, incisivo, molto bello, che chiude un concetto forte. Apocalisse è una catastrofe. Catastrofe è quella che viene provocata anche da una guerra, dove obiettivo unico e conclamato è quello di distruggere, uccidere il designato nemico del momento.  “Automi” sono invece gli uomini che in guerra perdono la connotazione che si dice “umana”, per trasformarsi, per l’appunto in automi,  in macchine prive di coscienza. Il sottotitolo recita ancora: “Gli scrittori siciliani e la Grande Guerra”. Dunque, finalità del libro  di Salvatore Scalia è quello di mettere a confronto ciò che per gli scrittori siciliani, da Pirandello a Borgese, da Tomasi di Lampedusa a Capuana, a Federico De Roberto, a Vincenzo Rabito, aveva rappresentato la guerra, e quali erano state le loro considerazioni. Confronto fra chi avrebbe voluto che l’Italia restasse neutrale, per quanti poi l’hanno vissuta in prima linea e per quelli che la elogiavano. Ma, diamo la parola all’Autore.

Così si salvò mio nonno


Mio nonno Micio amava tenermi accucciato accanto a sé, e raccontarmi come scampò ai massacri della Grande Guerra. Un ufficiale aveva chiesto chi sapesse suonare uno strumento musicale ed egli si era fatto avanti, senza che avesse la minima nozione di musica. Il principio che lo aveva spinto era di accettare qualsiasi cosa pur di allontanarsi anche per breve tempo dalla trincea. Lo rimandarono infatti immediatamente in prima linea, ma nel frattempo, del suo reparto non era rimasto in vita nessuno. Tutti massacrati durante un attacco. (...) L’espediente di come scampò alla morte nei massacri della Grande Guerra gli sembrava raccontabile a un bambino, ad ammaestramento di vita. L’utilità della furbizia relegava in secondo piano anche l’immane tragedia. (...) Questo per me era l’aspetto familiare della Grande Guerra. (...)


Si apre così il libro, con immediate considerazioni sulla ideologia degli interventisti sostenitori “della guerra sola igiene del mondo”, cui fa seguito la più realistica panoramica di chi stando in trincea era costretto a combattere per “la Madre Patria”, stando nel fango, in compagnia di cimici, pidocchi, topi, scarafaggi, con l’incubo costante di poter morire fra  raffiche di mitraglia e bombe che piovevano dall’alto, costretti a vivere fra brandelli di corpi umani disseminati ovunque, a contatto con carcasse di animali funzionalmente usate per rafforzare i parapetti delle trincee. Il tutto accompagnato dall’ossessivo lamento di feriti che non potevano essere aiutati, fra il lezzo orribile di cadaveri rimasti insepolti. Erano questi gli ingredienti che avevano trasformato gli uomini di trincea in automi. Disumanizzati. La implicita filosofia dei combattenti da ambo le parti era: “Mors tua, vita mea”. E tutti avrebbero voluto vivere, ovviamente se si fosse riusciti ad avere la meglio sul nemico. Ammazzandolo.










Sarajevo e il piccolo uomo che fece esplodere il mondo



Il secondo capitolo fa dello scrittore uno storico. 
Leggiamo insieme cosa scrive Salvatore Scalia..


Negli ultimi cento anni il nome della città di Sarajevo ha evocato il gesto di un piccolo uomo che fa esplodere il mondo (...) Una lapide commemorativa in una strada della capitale della Bosnia Erzegovina ricorda Gravilo Princip, il diciannovenne che il 28 giugno 1914 uccise a colpi di pistola l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono di Austria-Ungheria, e la moglie Sofia, in visita ufficiale (...) L’assassinio provocò una reazione a catena, e la guerra, la Grande Guerra, divenne inevitabile. Mai più un atto terroristico, neanche l’attentato alle Torri Gemelle  di New York, ordite da Osama Bin Laden, avrebbe provocato un conflitto mondiale e una svolta epocale. La guerra provocò la rivoluzione bolscevica in Russia e la fine degli Zar, la frantumazione dell’Impero Austro-ungarico e la caduta della dinastia asburgica, mentre in Germania la rivoluzione defenestrò il kaiser Guglielmo. Dalla Grande Guerra conclusa nel 1918 cominciò il declino politico ed economico dell’Europa sulla scena mondiale e la lunga fase di instabilità sociale, incubatrice di fascismo e nazismo, culminata nell’immane tragedia della seconda Guerra Mondiale tra il 1939 e il 1945.


Insomma, una vera, incredibile reazione a catena provocata da un assassinio. Perciò, commenta giustamente Scalia,  viene naturale chiedersi quale avrebbe potuto essere il corso della storia dell’Europa e del mondo se l’attentato di Gravilo Princip fosse fallito e la Grande Guerra non fosse scoppiata. Concetti che lo scrittore si pone, facendo riflettere non poco su quello che lui definisce il “punto dell’incomprensibile” nell’intricato procedere della storia di questo mondo. Ed è ancora l’Autore a rilevare che è di nuovo Sarajevo, in Europa, la città che è punto di incontro (di frizione e scontro) tra Cristianesimo e Islam. Città dove fra il 1992 il 1995 si è scatenato l’odio tribale che ha riacceso ataviche guerre di religione che come metastasi si sono propagate nel mondo. 

Se nel giugno del 1914,
“Il caso  aveva guidato la mano di un giovane e aveva deciso il futuro dell’Europa”. Ottant’anni dopo “Sarajevo diventava la città scelta da una divinità cieca che gioca a dadi con il destino degli esseri umani”.


Ed è ancora da qui che bisogna far partire il nuovo e tuttora sconosciuto capitolo della storia umana. Questa la conclusione di Salvatore Scalia alla fine del suo secondo capitolo, quando lo scrittore fa sua l’ottica dello storico, con considerazioni di amara filosofia.


Macellai di carne umana


Riflessioni non meno profonde sono quelle che il lettore riceve dalla lettura del XIII capitolo titolato “Macellai di carne umana” dedicato a Vincenzo Rabito e al suo libro “Terra Matta”.  Se qualche scrittore siciliano faceva gli elogi della guerra e partiva volontario per il fronte, certo che la guerra sarebbe stata un bene per tutti gli italiani, convinto che la guerra “avrebbe cauterizzato la coscienze scrupolose e malate”, Vincenzo Arrabito, denunzia la guerra e ne mette a nudo opportunismi, ingiustizie, ipocrisie, come quelle dei preti, che se erano italiani pregavano Dio perché facesse vincere gli italiani, e se austriaci, pregavano sempre lo stesso Dio, si ritiene, perché potesse dare la palma della vittoria all’Impero Austro-ungarico.

Assurdità? Togliere figli e mariti a famiglie che non avevano come sostentarsi, assurdità stare in trincea di fronte al nemico, mentre alle spalle squadroni armati di carabinieri stavano pronti a sparare ad eventuali disertori o anche a chi crollava a terra vinto dalla fatica e dal sonno. La trincea si configurava così come una prigione a cielo aperto, prigione decisa da uomini potenti che quasi mai erano all’altezza del compito, anche se erano presuntuosi nel loro potere. Uomini che vivevano fuori della realtà, e con l'entrata in guerra dell'Italia avevano  dato vita al macello di uomini. Guerra.. 
“dove soldati di entrambi i fronti combattono senza sapere per chi e per quale motivo. Uomini che conoscono la paura e tremano come  foglie al vento, e sono sconvolti da brividi di terrore come la terra quando viene scossa dai terremoti. Uomini che non dormono la notte e conoscono incubi notturni, e si sfogano piangendo, e trovano conforto nella bestemmia”.  

Tutta questa apocalisse scatenata perché? Solo per la “buttana Madre Patria” si lascia scappare Vincenzo Rabito, per aggiungere  subito dopo che “morire per il bene della Patria è una menzogna.


Leggere “L’Apocalisse degli Automi” a cento anni di distanza da quando è scoppiata la prima guerra mondiale, mettere a confronto i ragionamenti convinti di coloro che elogiavano la guerra e quelli che la condannavano, serve al lettore per riflettere sulle assurdità dei conflitti e sulle schizofrenie che stanno alla base di non poche delle scelte umane. E il nostro pensiero corre ad Hitler, Mussolini, Stalin e alla Seconda Grande Guerra Mondiale. 

Guerre, massacri, distruzioni, sofferenze, dolori, eliminazione dei "dissenzienti" (stavo pere dire miscredenti) come soluzione ai problemi degli umani. La lezione, se appresa dal lettore, confermerebbe la massima latina la quale recita: “Historia magistra vitae”.    


 Gino Carbonaro