2012/08/29

Sapore del Tempo di Nino Barone Preside



Il sapore del Tempo
di Nino Barone

                                                        Gino Carbonaro    

Tutto, in questo “Sapore del tempo” 
di Nino Barone, fa pensare alla Grecia classica. 
A sorpresa, il bel Corso Umberto di Modica diviene,
per analogia (e un po’ di fantasia) agorà-salotto:
luogo di incontro, di confronto, di dibattito 
e di approfondimento di idee, esposte da uomini
liberi, attenti, intelligenti, culturalmente preparati.
Qui, in peripatetiche conversazioni, 
vengono discussi temi svariati, nel nobile intento 
di scoprire la verità delle cose ed evitare 
luoghi comuni e quanto è propinato da televisione 
e mass-media. E sentono, questi “passeggiatori”, 
il diritto-dovere di dire quello che pensano 
in piena ed assoluta libertà di idee. 
Questo, mentre l’Autore, con la “auctoritas” 
che deriva dalla sua persona, e con la forza 
suffragata dalla sua esperienza, 
coordina gli interventi e, quasi occulto 
direttore d’orchestra, dà il “la” e il giusto tono alle
conversazioni. È lui, il “vegliardo” scrittore 
ricco di anni e di esperienza, di sapere e di cultura,
che può di diritto far conoscere il suo punto di vista,
utile soprattutto  ai giovani (vedi il dialogo 
con Paolino e Virginia) ma necessario per illuminare la strada anche di chi ritiene di sapere, e soprattutto di chi va senza chiedersi dove sta andando.

     La tecnica messa in atto nelle conversazioni è quella “maieutica” nel senso etimologico del termine: necessaria la ricerca di punti forti, implicito il procedere per sillogismi: da qui discende la verità che è frutto di un faticoso travaglio di idee. La finalità del libro è dunque socio-pedagogica, ma anche filosofica, propria del metodo socratico; l’impostazione mai tradita è quella del dialogo platonico sobrio, equilibrato, attento.
     Ma, è la prosa, soprattutto, che sembra figlia della cultura greca, quel modo di comunicare di Nino Barone chiaro, cristallino, coinvolgente, mirato al concreto, misurato, concatenato nella logica dei fatti, assolutamente privo di narcisismi e di concetti astratti.   
     Ed è merito (quello di scrivere chiaro) che è dono di natura (che pochissimi possiedono) ed è ciò che rende agevole seguire con vera delizia l’esposizione del pensiero.
     Per il resto, questo terzo lavoro, dal titolo stupendo va considerato l’ultimo momento di una trilogia composta da “Richiami” ed “Essere Cava”, opere pubblicate in precedenza, ma in questo “Il sapore del Tempo” il registro è debolmente diverso da quello adottato nei due precedenti lavori. Difatti, mentre prima l’interesse è per il racconto che rievoca momenti del passato, qui il protagonista, e io narrante, è colui che mira a custodire e difendere la saggezza nel senso confuciano del termine. Saggio - dice Confucio - è colui che è per costume serio, sollecito, dolce: sollecito e serio con i conoscenti, dolce con gli amici. Saggio è colui che è cauto nel parlare e rapido nell’agire, che è franco senza essere ostinato; austero, ma non superbo. E ancora, saggio è chi tende a migliorare e indica ad altri la via che ritiene migliore. Saggio è chi non si duole di non essere conosciuto, ma opera in modo da essere degno di essere conosciuto e di lasciare un dolce ricordo di sé e di coloro che ha messo al mondo. Qui i principi della saggezza, che è universale, coincidono con l’éthos greco. Infine, il saggio sa che ripetere ciò che si è appena ascoltato in strada è il vero e grande torto fatto alla virtù.

     L’essenza del libro è soprattutto mirata alla ricerca della saggezza e della verità, più che del sapere e della erudizione.

      Volendo tentare un parallelismo con l’arte figurativa, direi che questa opera è simile a un affresco che descrive un’epoca e un ambiente particolare, anche se l’impostazione ricorda la tecnica del mosaico. Difatti, ogni considerazione, racconto, intervista o dialogo riportato nel libro, altro non è che un tassello, una tessera, che acquista senso pieno solo come parte di un tutto. Così viene fuori la struttura mental-culturale di uno scrittore che crede nei valori, nella religione, nella fede, nella bontà, nella carità, nella giustizia, nel dovere, e soprattutto in una politica fatta da uomini integerrimi, intelligenti, illuminati e onesti. Tanto si rileva nel corso del libro, ma è provato dall’ultimo racconto intitolato “Anno 2084”, dove facendo ricorso a un paradosso, l’Autore ci invita a prevedere come sarà il mondo verso la fine del XXI sec. 

   Tanto evidenzia il fatto che Nino Barone è uomo sostanzialmente ottimista.

     Le considerazioni contenute nel libro? Importantissime! Protagonisti? Un po’ tutti. Uomini e Tempo (Χρόνος), Il Tempo che, come nave, ci porta in un viaggio a noi sconosciuto, dove viaggiano tutti gli esseri viventi e gli uomini, alcuni dei quali con le loro false fedi e credenze, e con le loro debolezze, vedi “Saridda e l’amore”, una donna che si invaghisce di altro uomo e abbandona marito e figli per convivere con quello che lei considera il sogno della sua vita. Ma, nell’opera si incontra anche la violenza arrogante, in “Punture di spillo”, gli intricati problemi della nostra politica e gli scontri fra magistratura e politica; viene denunziato certo costume (o malcostume) di certi uomini politici dei tempi andati, trattato il problema degli immigrati, il disorientamento dei giovani di oggi, quello sui condizionamenti occulti della televisione, e così via. Sotto ogni aspetto il libro è un documento che registra modi di vivere, di pensare, di comportamento, che rileva il modo di reagire, nel bene o nel male, alla vita che qualcuno ci ha dato da vivere, e registra quelle “sbavature della società” che “possiamo approvare o non approvare”.
     
     L’autore si schiva affermando che il suo non è un libro di sociologia, ma i dati inseriti che registrano modalità e cambiamenti sociali, modificazioni di abitudini e valori, attengono alla sociologia e (perché no?) alla filosofia.
     
      Infine, quello che si evidenzia nella lettura del libro è il tono pacato, sereno, urbano di affrontare i temi, soprattutto il rispetto per le opinioni degli altri che fissano in chi scrive il grande valore attribuito alla libertà individuale e collettiva. Rispetto e libertà che politicamente si ritrovano nel concetto di democrazia.
    
     “Il sapore del Tempo” è un libro che mancava, scritto da colui che può essere definito notaio di una  microstoria umana e sociale in una nicchia di tempo che sarà divorata dal Tempo.
                                                                                                                      
                                      Gino Carbonaro          

P.S.  Due parole di elogio per la bella edizione curata dalla nuova Casa Editrice Argo, soprattutto la impaginazione, la scelta della carta certamente pregiata, stupendo il titolo, bella la copertina e la prefazione del prof. Piergiorgio Barone. Congratulazioni.

P.P.S. Non avrei inserito in questo libro il racconto “Un cane”.

Essere Cava di Nino Barone Preside



Essere Cava di Nino Barone

                                                              
Gino Carbonaro



  "Essere Cava", ultima opera di Nino Barone, è un libro importante, scritto con una prosa cristallina, chiarissima, coinvolgente, unica, che pone Nino Barone nel novero degli scrittori in assoluto più significativi della storia letteraria della Sicilia.

   "Essere Cava"  è diviso in tre parti, diverse nel tema e nel tono. La prima, intitolata Essere Cava, comprende gli anni della giovinezza dello scrittore. La seconda parte, Riflessioni di un moderato,  tratta gli anni della maturità e della sua militanza politica, con una appendice di “considerazioni” varie. La terza parte La voce del cuore, ricordi di situazioni e persone care.  
    
  L’apertura del libro è stupenda. Il modello è manzoniano. Anche il riferimento alle cave che unendosi formano una “ypsilon” sembra ricordare il grande scrittore lombardo, ma è solo una impressione. In realtà, la descrizione, in Essere Cava è più moderna, agile, intensa, ricca di colore, sentita, e, mi consenta il paragone con la pittura, ricorda l’affresco, più che l’olio.

    Ma è proprio l’apertura che dà il “la” all’opera. Qui si descrive Modica come una sorta di nicchia ecologica: ambiente naturale (cave e colline circostanti) forse unico nel suo genere, nel cui interno (si pensi agli aggrottati) si è adattato a vivere un popolo, che proprio da qui ha sviluppato una sua peculiare identità psicologica e culturale.

     La similitudine che vede un tutt’uno fra natura e uomini è stupenda: dalla descrizione dell’ambiente naturale, alle abitudini umane, rappresentate dalla passeggiata nel Corso e dalla gente che sente il bisogno di parlare, comunicare con gli altri e di sentirsi ascoltata.  

     L’analogia con la natura è chiara: come le acque defluiscono nella cava mescolandosi e combinandosi, così gli abitanti di queste colline scendono a valle, in quella Cava, ora serpente d’asfalto, per incontrarsi, intrecciarsi fra di loro, scambiarsi idee e progetti, per autoalimentarsi, vivificarsi e lievitare insieme quelle idee e quei progetti che si fanno cultura di un popolo.

   Poi, a sorpresa, viene inserito il concetto di limite. Quel Corso, che rievoca la Agorà greca, che è stata l’utero all’interno del quale sono stati messi a dimora i semi della civiltà forse più grande della Terra; quel Corso - dicevamo - anche per il modicano è utero, dove le informazioni convergono, si amalgamo, e si ridistribuiscono.  Spazio chiuso che conforta e protegge, ma che può, altresì, diventare un limite.

    Chi è vissuto a Modica, come me, temeva l’ora del tramonto, quando, giù dal Corso si vedeva scomparire il Sole dietro la collina della Giganta, e avrebbe voluto essere come un fiore, per allungare lo stelo (il collo) verso l’alto per non perdere nessun attimo di luce che scompariva.

     Da qui, anche per tutti gli habitué della Cava, era forte l’aspirazione a superare il limite, in tutti i campi: desiderio di parlare, approfondire, chiarire, scoprire, tenersi informati, socializzare, partecipare (nel senso che l’etimo insegna) di essere parte degli altri, nella consapevolezza di una identità peculiare: quella che molti hanno inteso come modicanità; ma altresì volontà di essere migliori nel lavoro, nella crescita sociale, nel progresso, ed è qui che si rileva il superamento del limite. Come è possibile vedere, si tratta di un concetto forte.

     La giovinezza, il fascismo, la guerra

     Subito dopo, il libro entra nella storia. In parte personale, in parte italiana. Qui il documento diventa ancora più interessante. Il valore è dato dalla testimonianza diretta di uno scrittore che non ha letto sui libri quello che racconta. Forse si è stanchi di leggere cose scritte con materiali di riporto, e anche qui ritorna il concetto di freschezza, come chi con le prime acque d’autunno raccoglie erba fresca sui campi e la offre agli amici così come è, sana e nutriente.

    Da questo momento, chi legge è affascinato dal racconto, non riesce a lasciare la pagina e a chiudere il libro. Così procede l’affresco sul Fascismo visto dalla periferia, non dal centro; da un’ottica che è quella del giovane studente universitario; anche questa, prospettiva è sincera, ingenua, leale; testimonianza non facilmente riscontrabile nei libri di storia.

    E poi, gli usi di una epoca che non è più: il "Sabato Fascista", l’Università, la vita militare, la guerra. Tutto fresco, genuino, senza orpelli, senza vanagloria, senza narcisismi, che non possono trovare posto in un diario (perché di diario si tratta) scritto con uno scopo preciso: lasciare un testamento spirituale e culturale ai tre figli: Uccio, Eugenio e Alessandra.

      Testamento come documento, ma anche come fatto di arte bellissima. Se, da un punto di vista letterario, è stupendo il capitolo di apertura “Essere Cava”, è poesia il racconto intitolato “Un cane”. Qui il mio ricordo corre a “Niente di nuovo sul Fronte Occidentale”, a quel passaggio dove l’Autore descrive cavalli feriti che fuggivano, terrorizzati, calpestando le budella che fuoriuscivano dalla loro pancia. È la tragedia, che nella guerra coinvolge i deboli e gli innocenti.

     Qui, è stupenda la descrizione del cane morente: “Cadde di schianto e si stirò mugolando. Lentamente, quasi con compostezza, si dispose a morire. Un piccolo filo rosso di sangue scendeva dall’orecchio, giù per il nero, smunto viso, si raggrumava adagio e senza fretta all’angolo della sua bocca, colorando stranamente di rosso i suoi lunghi denti bianchi. Gli occhi però rimasero ostinatamente aperti, senza rimprovero e senza rancore, solo freddi e lontani, quasi resi opachi da una luce nuova e violenta, da un’altra luce”.     

    Io dico che questa è poesia grande e della migliore, e mi riferisco all’intero racconto (p. 49-52)

     Poi, ricomincia la cronaca, e si descrive come in una certa classe sociale avvenivano i fidanzamenti. Si tratta di un documento di usi e consuetudini che non tornano più e che sono sconosciuti alle nuove generazioni, che potrebbero non capire la dinamica di quei corteggiamenti amorosi. Insomma, documento fondamentale, importante, non solo per i suoi figli, ma forse, e soprattutto, per i suoi nipoti.

     Procedendo, il lettore si trova davanti ad una sorta di appendice titolata “Cronaca minore”. È quella che tratta  l’ingresso in politica dell’Autore, ma è anche momento propedeutico alla seconda parte dell’opera.

    Le riflessioni di un moderato

     Con “Le riflessioni di un moderato” l’opera cambia materia e tono. Più che di un diario, che vede come protagonista unico lo scrittore e destinatari i figli, il lavoro si divide fra cronaca e storia, con analisi, e soprattutto giudizi di valore, che collegano la piccola città di Modica e i suoi eventi alla più ampia storia italiana degli ultimi cinquant’anni.

     Nelle Riflessioni,  l’impegno dello scrittore è un altro: soprattutto quello di capire come si genera una crisi politica e generazionale da un impianto politico  sostanzialmente onesto nelle intenzioni dei fondatori dei partiti politici e della Democrazia Cristiana in particolare. E si chiede altresì il perché di “…tante ombre: violenza, sessualità sfrenata, corsa all’egoismo e al materialismo, crollo della religiosità tradizionale, allentamento dei vincoli familiari e soprattutto, mali nuovi e tremendi: terrorismo e droga!” 

     E subito trova pronta una prima subitanea risposta, secondo cui …la radice del male sta nell’egoismo, nella ricerca affannosa del guicciardiniano “suo particulare” che è diventata norma prima di questa nostra società”.  Certamente una crisi di tale entità, come è quella italiana di questi ultimi decenni, non può avere una sola causa. Da questa premessa discende la ricerca delle componenti e dei responsabili della crisi.

     L’ottica è la stessa che ha caratterizzato la prima parte, e vede lo scrittore come osservatore privilegiato, un po’ nella veste di storico, in altri momenti nella veste di moralista, di filosofo, di notaio della storia, di avvocato difensore di se stesso, del suo operato come uomo politico e del suo partito, sempre fortemente amareggiato per non essere riuscito, lui e gli altri responsabili (in parte) della cosa pubblica ad arginare l’arrivismo e la corruzione che ha inquinato la società italiana e con essa la amministrazione modicana.

    Mafia, bustarelle, corruzione, affannosa ricerca di miliardi da parte dei partiti, sono cause fondamentali del degrado nel quale si trova a vivere la società italiana. Ed è su questo punto che si registra la sconfitta della intera classe politica.         

     In questa seconda parte, lo scrittore è più partecipe ai fatti, meno distaccato di quanto non fosse stato nella prima parte, e segue il fluire degli eventi con vigile attenzione e partecipazione, interpretandoli sempre dal suo punto di vista: quello di un uomo corretto e fedele alle sue idee; uomo che ha dato se stesso per la sua città e per il suo partito e vede ora tutto distrutto da un uragano, per il quale non si riesce a trovare la causa. Tanto lavoro per raccogliere altro che un pugno di foglie secche.

     Le colpe? Di tutti e di nessuno. Leggi errate come la Bucalossi che fa sviluppare l’abusivismo edilizio. La Riforma sanitaria che crea un carrozzone burocratico costoso, quanto inefficiente; la creazione di un esercito di funzionari pubblici e di partito, di imprenditori parassiti e impreparati, di Enti pubblici grandi e piccoli che redistribuiscono senza logica flussi non controllati di denaro pubblico. E poi ancora impunità, inamovibilità di una massa di gente interessata solo ad arricchirsi a spese dei contribuenti, mafia. L’origine degli scandali di quest’ultimo decennio – conclude l’Autore – discende in gran parte da qui.  
   
     Le analisi? Tutte importanti, per conoscere come un addetto ai lavori ha vissuto e interpretato uno squarcio di storia locale.

     Ha sicuramente fatto un bel regali ai suoi figli e ai suoi nipoti, ma anche a noi tutti, che possiamo avere un punto di riferimento forte sulla storia che ha visto la Cava di Modica, e uno che qui ha trascorso quasi tutta la sua vita.

                                           Gino Carbonaro                               


Ragusa/Modica, novembre 2004      

gino.carbonaro.italy@gmail.com