2012/04/23

RACCOLTA DELLE OLIVE Anno 2007


Una esperienza,                                     questa raccolta di olive!


 
Sono i primi di novembre del 2007. A raccogliere olive accade questo. La mattina, ci alziamo quando l’aurora tinge di oro la collina, e lentamente ci prepariamo a scendere nel Fondo Leone. Prima di andare, io affilo le forbici con la pietra inumidita con olio, preparo la motosega, olio e miscela, poi mettiamo tutto nelle carriole e via, giù nel campo degli ulivi. Qui ti organizzi. Scegli l’albero che ti sembra più carico, disponi le reti, avvicini le scale, sposti le carriole sotto i rami, così che alcune olive cadranno direttamente nel contenitore, infili i guanti, impugni il piccolo rastrello di plastica, afferri un ramo e  cominci dolcemente a far staccare le olive.
 All’inizio, fra noi, si fa qualche commento, che si ascolta a stento, poi non si sente altro che il fruscio dei rami e il ticchettio delle olivette che cadono sulla rete o nella carriola, mentre qualche oliva impudente e qualche fogliolina si infilano dentro la camicia e sotto la canottiera. Ma di questo ti accorgerai al ritorno a casa, quando vai nel bagno o nella camera da letto. 


Lentamente, accade il miracolo: il tempo sembra fermarsi e tu entri in un’altra dimensione, quasi un altro mondo. Il silenzio si fa profondo, appena rotto dal rumore delle scale che vengono spostate, della forbice che viene usata per alleggerire il fogliame e riuscire a entrare meglio con le mani dentro i rametti. Di tanto in tanto qualcuno di noi parla, dà un suggerimento: raccogliere le olive che si depongono sotto i piedi e potrebbero essere calpestate. Per un poco cambia il programma, si modifica la posizione del corpo e dei muscoli. Fra tanto procedere, ti accorgi che un uccellino curioso si è avvicinato per posarsi sulle frasche vicine, poi lo senti fuggire all’improvviso contento e timoroso della sua bravata, dell’essersi avvicinato così tanto, di aver rischiato tanto. 
Nel frattempo lo sguardo esplora tra le foglie per intercettare qualche olivetta nascosta o mimetizzata, e ti transitano vaghi pensieri per la mente. Ti chiedi perché nella vita si corre tanto. Ti chiedi cosa si insegue, cosa si vuole conquistare, e ti chiedi perché questa raccolta di olive, questa ginnastica delle mani, questo vagare dello sguardo, questo stare immobile e in movimento allo stesso tempo, fa bene all’animo, alla psiche, al corpo. 


Questo rapporto con la natura è un rapporto con te stesso, con gli altri che sono con noi, con i quali godiamo questo incanto, viviamo questa esperienza vera, profonda, ricca, fatta di un nulla che è il tutto, e ti fa parte del miracolo dell’Universo. Allora, chissà perché, penso ai Greci, ai Romani per i quali l’ulivo era simbolo di pace e di amore. E mi vengono in mente gli Ateniesi che avevano i campi attorno alla loro città pieni a distesa con piante di olivo disposte a quinconce e consideravano l’ulivo dono di Pallade Athena, la dea che avevano eletto protettrice della loro città. 
Nella raccolta delle olive percepisci esattamente il concetto di dono, la logica profonda delle cose: tu hai dato alle piante il tuo amore, le hai curate, le hai fertilizzate con abbondante concime stallatico, le hai dissetate nelle lunghe e torride estati della nostra terra, hai provveduto a far arare il terreno tre volte nell’anno, a gennaio, maggio e ottobre; le hai ripulite di tutto il seccume, le hai potate, ne hai curato le ferite prodotte dai parassiti, e, di ritorno, hai visto le piante rinverdire, sorridere, gioire, esplodere di salute nella sana gioia di vivere. Poi, dopo mesi, ritrovi il magico ritorno, il dono, il dire della pianta: questo è tuo, questo è il frutto del mio seno.  
Mondo bucolico, mondo georgico. Sono concetti obsoleti che non appartengono più al mondo moderno, ma erano intercettati e definiti da Greci e Romani. E vanno qui ricordati, perché vengono da lontano, da un  mondo che non c’è più. Bucolico è il rapporto che l’uomo ha con la natura, quando da questa senti emanare profumo, silenzio, poesia, ossigeno, e senti che un nume divino abita e protegge il luogo dalla bellezza sacrale che tu senti emanare dalle ombre fresche e profonde degli alberi, e di quel dio senti la presenza e il linguaggio nel fruscio discreto delle foglie, nel cullarsi dei rami sospinti da zéfiri, nelle due farfalline bianche che gioiosamente disegnano l’aria inseguendosi. Ma di quel nume senti ancora la sua presenza nel profumo violento dei carrubi in fiore che giunge alle nari ad una improvvisa levata di vento. Durante la raccolta delle olive, noi godiamo di questa atmosfera bucolica.
 Georgico è il rapporto che l’uomo ha con la natura quando questa ti riempie di doni che nutrono. Quando la natura è madre che nutre. Tu puoi raccogliere un grappolo di olive e senti il dono della madre-natura che ti dà la vita; ed è come quando tu prendi delicato un grappolo di uva matura dalla vite pregnante, porti l’uva alla bocca e succhi il nettare degli dei, dono della … natura. Ci sei vicino! Ma, non hai il coraggio di dire che quella è opera di Dio. A mezzogiorno poi, tutti a casa. C’è stanchezza, ma lo spirito è pulito, sazio di cose buone, soddisfatto, perché nutrito di cose belle. La raccolta delle olive è training che porta l’uomo a sentirsi bene, ristorato nelle forze, sano nel corpo, sereno nello spirito.
 Ed è così che si è consapevoli di possedere un tesoro, che si è coscienti di essere fortunati. Ora, finalmente a tavola, si aspettano gli spaghetti con la salsa profumata fatta dalla padrona di casa: pomodoro fresco con odoroso basilico, e caciocavallo grattugiato, un piatto regale. 
Maurice gioisce senza dire niente, ma si vede che è felice di questo rito, che è forma di comunione profonda. La mamma è serena e felice di essere mamma e moglie di un uomo che il destino le ha assegnato. Poi laviamo i piatti e sistemiamo aiutiamo a sistemare il tutto. Maurice e io facciamo il pisolino, la mamma continua i lavori in cucina, fa un salto al computer, legge le sue e-mail. 
Dopo, e, di nuovo al lavoro per continuare la raccolta, la comunione con noi stessi, il rapporto con la natura, mentre le gazze che stavano a curiosare nella nostra assenza svolazzano via al nostro arrivo.
Quando avremo raccolto molte olive, allora le sistemeremo nelle cassette di plastica, poi riempiamo la Panda e andiamo al frantoio per macinarle e prendere l’olio, che è il frutto del nostro lavoro. Il viaggio per andare a Scicli dura 40 minuti perché con la macchina carica si va piano.

Qui, nell’oleificio “Fidone”, forse lontano parente della nonna, si vive un’altra forte esperienza umana. Qui troviamo tonnellate di olive già poste nei contenitori e, in attesa, decine di contadini e raccoglitori dai visi stanchi e soddisfatti, non meno di noi, con decine di recipienti. Attendono in silenzio il loro turno. Il rumore dei macchinari in movimento non rende agevole la conversazione. 
I macchinari e le ruote in movimento del frantoio emettono un rumore combinato, omogeneizzato, impasto di mille diversi e strani rumori che coprono i gridolini di sofferenza delle olive frantumate. Ma, la gioia è tanta, quando arriverà il tuo turno, e ancora qualche ora dopo quando le nostre olive entrano per essere lavorate, e allora vedrai arrivare il tuo olio dal colore indescrivibile, proprio di un verde smeraldo quasi arcobaleno di verdi. Ora chi vuole può riflettere e dire che anche l’uomo è come le olive, al torchio dà il meglio di se stesso, ed è vita quella che produce.                                                   Gino Carbonaro