La Donna nei Proverbi Siciliani
di Gino Carbonaro
Saggio critico a cura di Douglas Mark Ponton
“La Donna nei Proverbi Siciliani” è una lettura affascinante per chiunque abbia interesse nel folklore, nei proverbi, o nella cultura e nella lingua della Sicilia. L’obiettivo dell’autore è quello di presentare il materiale tradizionale in una forma che rende vivi i proverbi, e permette loro di trovare posto in un’opera che rievoca lo spirito del tempo e il posto che li hanno generati.
Si deve fare una distinzione tra raccolta e creazione. La grande figura di Giuseppe Pitré e altri, nella loro attività di ricerca antropologica sul campo, hanno raccolto i detti, la musica e le tradizioni popolari dell’antica Sicilia, preservandoli, così, intatti per le generazioni future. Ma elenchi di proverbi, per quanto possano essere esempi caratteristici potenti, sono difficili da leggere. L’esperienza è simile alla visita a un museo, dove solo gli appassionati persistono nella loro ricerca della conoscenza dopo che è passata la prima mezz’ora di entusiasmo.
Il lavoro di Gino Carbonaro ha un alto livello di cultura antropologica, musicologica e linguistica. Tuttavia, il racconto del fidanzamento e del matrimonio di Turiddu e Cuncittina, con il suo convincente gruppo di personaggi sostenitori e la sua riuscita rievocazione dei costumi del periodo, pongono l’opera in una categoria completamente diversa. La possiamo leggere accanto a opere letterarie come quelle di Raffaele Poidomani, Raffaele Giardina o Giovanni Verga, che forniscono informazioni storiche su una cultura siciliana in gran parte scomparsa come parte di un’esperienza letteraria. I proverbi, in questo contesto, diventano vivi, divertendosi nell’esperienza dei protagonisti, condizionando le loro scelte e dando forma ai loro pensieri, in un ritratto persuasivo di un ambiente culturale i cui effetti si sentono ancora nella Sicilia dei tempi moderni.
L’autore descrive una divisione “Manicheista”, dove tutte le qualità buone sono associate al maschio e il contrario alla donna. Una società sciovinista dove le donne erano suppellettili, dove i matrimoni combinati erano frequenti, la violenza domestica tollerata e le donne consideravano la procreazione e le faccende domestiche come l’unico settore in cui esprimersi. I proverbi tutti (Favi e muġğhêri píştĭli cu li pêdi!, Muru˛muru comu l’ériva˛ô muru, l’ ômŭnu è meli, e a fímmĭna è féli, ecc.) riflettono questi atteggiamenti sociali.
Quanto questi valori condizionano ancora molto la Sicilia moderna si può scorgere anche nella spiritosa dedica dell’opera da parte dell’autore, in cui l’uomo è presentato come quello che in un matrimonio deve “indossare i pantaloni”. Se a questo riguardo la Sicilia è veramente cambiata è una domanda a cui solo i siciliani possono rispondere. L’atteggiamento fatalistico dei siciliani verso la vita stessa, per esempio, è ancora un cliché dell’isola. Carbonaro scrive:
“Non c’è nient’altro da fare che sottometterci ai nostri destini, stare obbedientemente in un paziente angolo retto, il sedere il più alto possibile, pronti a conformarci ai piani che il Fato ha per noi, facendo ricorso alle nostre riserve di pazienza”.
Tale fatalismo ha anche l’approvazione del proverbio:
E comu dissi lu sceccu a lu mulu,
nascemmu pi dari culu!
Il genere di oppressione subita dalle donne nella Sicilia di Carbonaro ha molto in comune con quella che si trova nei contesti islamici oggi, che nessun relativismo culturale può giustificare, e che generazioni di “emancipazione” in società più progredite, compresa l’Italia stessa, hanno attribuito ai periodi oscuri. Da persona inglese che traduce l’opera, la mia prima reazione fu di stupore per la grande quantità di proverbi misogini sulle donne. I proverbi distruggono la donna su molti livelli: il suo aspetto, le sue fattezze e conformazione, le sue abitudini alimentari, il suo comportamento, il suo ruolo sociale e la sua conversazione, Il matrimonio è visto come una prigione a cui nessun uomo dovrebbe volontariamente sottoporsi, ma almeno egli godrà il piacere del potere assoluto sul suo partner di cella.
La storia prende veramente il via dopo il matrimonio, con il racconto del tradimento di Turi della sua Concettina, e del suo consolarsi con il monaco. E qui si deve dire qualche parola sull’argomento delle corna. La lingua italiana non solo ha la parola “cornuto” ma anche molte espressioni che contengono il concetto (‘fare le corna’, ‘essere cornuto’, ‘cornificare’, ‘mettere le corna’, ‘quello ha le corna’, ecc.). Questa ricchezza linguistica dimostra che il concetto è vitale, uno di quelli che ancora hanno un ruolo nel dramma umano per tutta l’estensione della penisola. L’inglese, comunque, sebbene sia una lingua nota per la sua ricchezza di capacità espressive, ha solo la debole parola “cuckold” che quasi nessuno usa oggigiorno, ma che è l’unico termine che indica “qualcuno il/la cui marito/moglie si sta divertendo lontano/a da casa”. Che cosa è successo dai tempi di Shakespeare, quando la parola era presumibilmente sulla bocca di tutti? Che cosa ne hanno fatto di questi dati culturali i linguisti, Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf ? Concludiamo che l’inglese manca di una parola per l’occasione poiché il comportamento esemplare dei mariti e delle mogli inglesi rende il concetto supfluo? O i britannici si trovano in una specie di stato di abnegazione post-Vittoriana?
Per quanto possa essere anacronistico il tipo di atteggiamenti verso le donne contenuti nei proverbi, la reazione di Turi alla sua situazione imbarazzante non è per niente antiquata. Il capitolo che tratta delle sue “corna” è così rivelatore quasi come l’argomento che tratta della figura femminile stessa.
Turi alla fine ha una specie di ispirazione grazie alla visione di San Sebastiano di Melilli, che gli rivela i ‘comandamenti siciliani’, un misto cinico di saggezza mondana e di opportunismo amorale che guiderà la sua vita futura. Ancora, è improbabile che gli atteggiamenti espressi nei comandamenti siano di interesse puramente storico.
Sebbene l’opera nella seconda parte mostra che l’autore è di gran lunga più di un redattore di storia sociale, il contenuto culturale del lavoro non deve essere sottovalutato, e si può apprendere molto sulla storia siciliana, le tradizioni agricole, la lingua, le credenze popolari, il cibo, la musica, l’ecologia, i modelli delle relazioni sociali e gli atteggiamenti verso la Chiesa. La seconda parte dell’opera contiene una serie di articoli che forniscono letture essenziali del contesto sociale e che esplorano questi e altri temi, rendendo “La Donna nei Proverbi Siciliani” un’esperienza completa; una meritevole e piacevole opera di letteratura e un valido contributo all’etnografia culturale.
Douglas Mark Ponton
Modica, Pasqua 2014
Traduzione dall'Inglese a cura di Francesca Licitra
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