2020/11/22

FOTOGRAFIA? COS'È?

 Fotografia? Cos’è?

di Gino Carbonaro  

 

Cos’è la fotografia? Lo chiediamo all’etimo?  

          La parola deriva dal greco: 

                       

Fos-fotòs = luce +  grafia = scrittura/o incisione 

(φῶς, φωτός = luce  + γραϕία = scrittura, incisione)

 

 

      La fotografia è quella cosa che, seguendo una serie di procedimenti chimici, fissa una immagine  su un foglio di carta sensibilizzata. 

 

      Definito il concetto di fotografia, è d’obbligo chiedersi perché gli umani hanno sempre ritenuto importante riprodurre immagini di qualcosa utilizzando qualsiasi supporto, dalla pietra all'argilla, dalla pergamena alla carta. 


     E, il pensiero corre a Giotto che povero pastorello incideva/disegnava pecore su una roccia. E ci viene da pensare come nelle grotte di Lascaux (Francia meridionale), 17.500 anni a. Cr., e nelle grotte  di Altamira (Spagna settentrionale) nello stesso periodo (Paleolitico inferiore), l’uomo incideva graffiti  utilizzando successivamente pigmenti colorati: ematite, manganese, Goethite, ocra per dipingere figure umane, e immagini di animali e piante. Si tratta di "Arte Rupestre" e si tratta di opere che dimostrano come dalla notte dei tempi l’uomo ha preso coscienza della bellezza della Natura, e ha sentito il bisogno di fissare quella meraviglia per abbellire pareti e volte delle grotte con una serie infinita di immagini mutuati dal paesaggio circostante. E si tratta di opere di grande fattura, in questo meraviglioso dialogo che l’uomo instaura con la Natura.  

 

   Ma, il riferimento va anche alla cultura egizia, assiro-babilonese, greca, romana, cinese, da cui abbiamo ricevuto immagini di imperatori, faraoni, divinità, condottieri di battaglie vinte. Immagini di uomini ed eventi che si desidererebbe far conoscere agli altri. Storia-e-arte insieme. Bisogno di fermare il Tempo, bisogno di rendere immortali personaggi ed eventi. E tanto avviene solo se si può riprodurre e fissare  l’immagine.

 

                              *    *    *  

 

     In tempi più vicini a noi, il fotografo viene tuttora richiesto in occasione di un matrimonio, o di un evento che è considerato importante. Dunque, la fotografia come la pittura, serve per bloccare un momento eccezionale, che la memoria umana avrebbe dissolto, e non avrebbe potuto consegnare al futuro.

 

     Ma oggi, la fotografia ha anche una funzione pratica. È proprio lei che offre a chiunque l’immagine di qualcosa che esiste. Una foto della Torre Eiffel, del Colosseo, di un Dinosauro ricostruito, è utile per collegare il nome con la sua immagine. E ci torna in mente il famoso slogan della Kodak che, anni fa, fissava il principio che “Diecimila parole non valgono una fotografia”. Ed era slogan che qualcuno ritiene illuminante per affermare il concetto che le parole hanno un limite. Un limite? Difatti, nessuno può spiegare a parole quale è il gusto di un nespolo, a chi non lo ha mai assaggiato.

 

  E, non avrebbe valore una enciclopedia ornitologica o botanica senza le immagini di uccelli e piante poste accanto al nome. E ancora, oggi non sarebbe possibile acquistare qualcosa on-line senza vedere l’immagine di ciò che si vuole acquistare .

 

   In ogni caso, non va escluso che un'immagine possa avere altre funzioni. Il riferimento va ai già citati graffiti di Lascaux e di Altamira, ma soprattutto al ritrovamento di 8.000 statue di soldati armati e di 100 cavalli (un intero esercito in terracotta), scoperti in Cina nel 1974.  

   

         Nell’immaginario collettivo tutti quei soldati fatti costruire da un imperatore avrebbero dovuto rappresentare un deterrente contro potenziali nemici.


   Questo il messaggio subliminale contenuto nella enorme quantità di soldati armati. Qui non parlano le parole, ma le immagini.

 

   Qualcosa di simile può essere riscontrato in alcuni  bassorilievi del passato, che descrivono battaglie vinte, e intendono dimostrare agli altri che chi ha vinto una volta potrebbe tornare a vincere ancora. Principio confermato dal fatto che bassorilievi di battaglie vinte adornano gli Archi di Trionfo latini a Roma.


Ma, anche statue di atleti vincitori di gare, e di divinità, tutto nelle immagini realizzate dai committenti sembra voler fissare il concetto di bellezza, forza, superiorità, invincibilità.

 

    Stessa funzione hanno immagini di Santi che decorano le chiese cattoliche. Icone che si possono trovare nei bivi delle strade, e davanti ad alcune abitazioni di campagna. Immagini “miracolose” che, con il loro potere, si ritiene possano tener lontano ciò-che-reca-male. E il fine è sicuramente esorcistico-propiziatorio, come quello dei Totem e delle maschere. Simboli che servono per placare angoscia e timore  della morte, supremo dei mali, che alberga dentro di noi. Credenze, che rivelano la precarietà dell’uomo, e il bisogno di protezione da parte di "entità" immaginate, sconosciute e forse inesistenti. Funzione esorcistico-propiziatoria non dissimile da quella che realizza un ikebana di fiori, la cui bellezza ingentilisce l’animo, e riesce a tener lontane le brutture della vita. O anche quella di un profumo che allontana i cattivi odori.  

     

*      *    *

 

      Tornando alla fotografia, e a tempi più vicini a noi,  io ricordo una Signora che un giorno si presentò nello studio di mio padre accompagnata da un'amica. La Signora spiegò che il marito, emigrato in Germania, le aveva chiesto una fotografia. Mio padre capì, la fece accomodare nella sala da posa, seguita dall’amica, e le indicò il separè, all’interno del quale c’era uno specchio, un pettine, un rossetto, una cravatta, un pacchetto di sigarette.


  Atto dovuto, dare uno sguardo allo specchio, prima di essere fotografata.

 

      La Signora, che pure sarà stata dal parrucchiere, spostò la tenda, entrò nel separè,  diede uno sguardo nello specchio, prese il pettine, cercò di mettere a posto un ricciolo ribelle, rinforzò il rossetto delle labbra, si diede un’ultima guardata, spostò di nuovo la tenda, e venne fuori sorridente.


Mio padre, che aveva già messo la lastra nello chassi, la fece accomodare nella poltrona, quindi accese il primo riflettore, che orientò sullo sfondo, subito dopo un secondo riflettore, che orientò sui capelli della Signora, quindi accese automaticamente l’insieme delle luci diffuse, osservò la posizione della Signora, le spostò le spalle, le direzionò la testa, tornò alla macchina da posa, si abbassò, si coprì con il panno nero, per sistemare la inquadratura, ma, la posizione della Signora non lo convinse. Uscì di nuovo da sotto il panno nero, si avvicinò alla Signora, le spostò ancora le spalle, le sollevò un pochino il mento, indicò con l’indice dove guardare, le suggerì di sorridere, tornò indietro alla macchina da presa, si coprì nuovamente sotto il panno nero, ma capì a volo che la posizione della Signora  non andava. Dunque, si scoprì nuovamente, e tornò alla Signora. Spostò nuovamente il viso in altra direzione, mosse un poco i due riflettori, tornò alla macchina da posa,  si infilò nuovamente sotto il panno. Tornò a guardare. Ma, notò che la Signora era emozionata, forse anche un po’ goffa. Mio padre le parlò giusto per farla distrarre. Intanto prese con la mano destra la pompetta che attivava lo scatto dell'otturatore.


Scopo del fotografo? Cercare di cogliere il momento migliore. 


     Invitò nuovamente la Signora a sorridere. La Signora si sforzò, ma mosse il viso, che, no! Non si doveva muovere, mentre lo sguardo doveva diventare sognante. Avrebbe dovuto far capire al marito che lei stava pensando a lui. Mio padre, da fotografo, cercava di cogliere nella persona l’espressione più naturale e più bella, in equilibrio armonico con se stessa. All’improvviso lo scatto, quasi a sorpresa, per cogliere quell’attimo fuggente che renderà la fotografia unica, e il fotografo artista. Di fatto, mio padre, proprio in quel momento, si trasformava in pittore, il cui scopo era quello di cogliere il bello: il momento che bisognava ricordare per sempre. Perché? Si sa. Tutto passa nella vita. Anche la bellezza. E nulla rimane identico a se stesso. Solo la fotografia, riesce a fermare l’attimo, unico, irripetibile, che nessuno potrà cambiare.

 

*    *   *

 

     Finita la sofferenza della Signora, per il tempo durante il quale era rimasta immobile come un pezzo di marmo, intervenne l’amica della Signora, esclamando in siciliano: “Quannu ta marito a viri, si nni veni”. Cioè: “Quando tuo marito riceverà questa foto, e ti vedrà così bella, deciderà sicuramente di rientrare in Italia per ritornare da te”.  Interessante considerazione che dimostra quale era il ruolo della fotografia: - Documento

-Ricordo

- Arte

Attrazione.                          


Gino Carbonaro

Ragusa, novembre 2020 


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