2019/02/07

STAGIONI di Silvia Cecchi





Silvia Cecchi

STAGIONI

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                                                                di Gino Carbonaro




Silvia buongiorno,


   Ho ricevuto solo oggi, l’atteso tuo libretto, “Stagioni”. Gli ho dato subito uno sguardo curioso, e intuisco che si tratta di un lavoro impegnato nella accezione classica che al sostantivo “impegno” dà l’esistenzialismo contemporaneo. Ma, ho capito anche che non si tratta di poesie da lèggere, ma da centellinare. Questo perché ogni concetto, ogni passaggio, spesso legato alla poesia ermetica, costringe il lettore a meditare, a riflettere sui messaggi che tu, da poetessa, proponi. Se è vero poi che in tutto ciò che si scrive, si riflette la nostra personalità, il nostro rapporto con la realtà, la nostra filosofia dell’esistere, va detto che a me interessa cogliere questo contenuto della tua poesia, e mi sono accorto in appresso che tu non fai eccezione alla regola.


    Alla lettura di queste poesie, dense di contenuti forti, colpisce la incisività graffiante dei concetti, delle parole, la volontà decisa di cogliere il messaggio delle cose, ma altresì l’equilibrio e la dolcezza di una forma che coinvolge il lettore, poesia che nutre e invita a meditare.


    Scriveva Catone, “Per nebulas scimus”, siamo circondati da una nebbia profonda, centrando un principio del nostro rapporto con uomini e cose. Di tutto cerchiamo spiegazioni, per comprendere il senso del nostro esistere, del nostro cammino in questo mondo. Capire per progettare. Ma, la tua poesia rileva la impossibilità di cogliere il tutto calato nello spazio e nel tempo.  Difatti, in apertura scrivi..


”Che vuoi che me ne faccia dell’eterno?”,


dell'immenso, della trascendenza. A te, cara Silvia, basta cogliere l’attimo, il frammento, l’effimero che contiene il tutto. Noi siamo esseri


“... gettati in questo mondo”.


E siamo al centro della problematica esistenziale. Questa è la percezione della realtà, quella che accetti, ed è filosofia che sostiene il tuo pensiero, che tu intendi come “Vox” che indaga nel deserto nebuloso che ci circonda.


    E della realtà? Possiamo conoscere solo quello che riusciamo a cogliere in un flash di momenti che si impongono alla nostra attenzione. Ed è allora che la conoscenza si trasforma in estatico godimento dei sensi, conoscenza che non può essere trasmessa con le parole, perché


“Tu  sai le cose
fin dove arriva il nome.”


Noi possiamo chiamare le cose per nome, come tu scrivi, ma in questo caso, la conoscenza ha il peso, la lunghezza e lo spessore delle parole usate. Il resto è nebbia (o il Nulla) che circonda la realtà visibile.  Paradossalmente, è solo lo sguardo che coglie


“... l’effimero sognare da sveglia”,


l’attimo fuggente, che accende una luce perché


“Tutto si perde, anche la luce
di bosco sospesa sulle foglie
anche il filo d’aria,
tesa da ramo a ramo.”


Ed è indagine sensitiva del pensiero, che viene colta in momenti eccezionali. Il banale che si fa sublime


“... quando un merlo, te  distratta,
si ferma sul ramo di maruga
tutto spini e fiori saporiti
ad ogni maggio che torna
davanti alla finestra aperta,”


... e ti fa perdere la cognizione del tempo, e ti fa sognare, godere, capire, forse, e non sai più dire

“Se sia passata un’ora, o giorni,
e quante volte
è sfiorita la robinia e rifiorita.”


Ed è esperienza forte sentire


“.. il gorgogliare del torrente,
gli stridi alti delle tàccole
e dei falchi, il vento che rúgghia (…)
Si perdono i nomi
Fontefredda Rivosasso Gretosecco
e più cammini e più si fa lontano
il ruvighìo di vite in fondovalle”.


E in tutto, la forma di una realtà che senti vivere in te, e non resta altro che una consapevolezza,


“..l’ignota meraviglia di essere stata".

Ed è chiusura che non poco fa riflettere sul senso di questa poesia intrisa di filosofia.
                                                                                                                                                                       Gino Carbonaro



P.S. Ho parlato della poesia di Silvia Cecchi, ma non mi sono soffermato a fare i miei complimenti ai bellissimi disegni del pittore Oliviero Gessaroli, opere che impreziosiscono il delizioso libretto. "Disegni", è scritto (con lodevole understatement) che interpretano l'atmosfera del libretto, ma che vivono nella sua forma figurativa con uguale forza e dignità, una bellezza unica, quella che poteva essere realizzata solo da un artista che sa cosa è la pittura, quale è la funzione dei colori, come si gestiscono i rapporti tonali, come si può cogliere e bloccare il senso del bello all'interno di uno spazio. Ancora i miei più vivi complimenti.   

      

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