2018/01/22


                             FEDE, SPERANZA, CARITA’


                                      di Gino Carbonaro

     Fede, speranza, carità sono considerate “virtù” teologali. Princìpi etici (o parole vuote) che attengono soprattutto alle religioni. La terna dei valori fu assemblata da Paolo di Tarso che nella lettera ai Corinzi esorta i suoi seguaci a credere in quello che lui stesso andava predicando e in quello che aveva predicato Gesù: a credere nell’aldilà, nella esistenza che continua dopo la morte, nella esistenza degli angeli, del paradiso e dell’inferno, nella resurrezione dei morti e ancora a quello che aveva affermato Mosè, che sosteneva di essere salito sul Monte Sinai e che aveva ricevuto i comandamenti direttamente dalla voce di Dio.
    In buona sintesi, per vivere la religione, il cristiano deve avere Fede nelle cose che vengono dette, e speranza che quanto accettato per fede non sia una verità immaginata, cioè non-vera. Di necessità, poi, l’uomo di religione (il fedele) deve mettere in atto l’altra verità teologale: cioè la Carità, donando aiutando chi ha bisogno. 

     Va sottolineato che Paolo di Tarso parlava di carità, che implicitamente poneva un rapporto asimmetrico fra ricchi e poveri, escludendo il concetto di amore, che Paolo non recepiva dal Vangelo. 

    In verità, Gesù aveva esortato gli uomini a non chiudersi dentro la armatura dei propri interessi, e considerava necessario pensare ai bisognosi. Indispensabile alleggerirsi degli averi, “donare” agli altri ciò che era in sovrappiù. La frase passata poi alla storia recita: “Quod superest date pauperibus”. Come dire: "Ricordati che in questo mondo tu non sei nato solo per pensare a te stesso, ed è doveroso aiutare chi ha bisogno. Aiutalo, dunque, solo per quanto ti è possibile". È così che potrai essere accolto nel Regno dei Cieli. L’etica non è kantiana, perché si tratta di una sorta di “do ut des”, do per avere qualcosa in cambio (ricompensa nei cieli) mentre noi sappiamo che il dono non aspetta nulla di ritorno, neppure la riconoscenza. 

      Se per Gesù, il donare agli altri è una esortazione, per l’Islam è un dovere. La Zakat, la carità, come mezzo di purificazione dei peccati, viene tuttora imposta al fedele nella misura del 2,5 % del suo introito annuale. Il tutto sostenuto pur sempre dalla “Fede” in quello che detta e promette Maometto, nella speranza che ogni atto di carità avrà un ritorno nella misericordia divina. Carità non disinteressata, dunque, ma necessaria perché possano aprirsi le porte del paradiso islamico, per gustare la dolcezza delle bellissime e vergini Uri. 

Dittature e concetto di Fede

     Ma, a guardar bene, anche le Dittature poggiano la loro filosofia su terne di valori. (Il numero “3” parla da sé!)  

“Credere, obbedire, combattere”,

era il sintetico programma con il quale durante il “Ventennio” apparvero i primi murales e i primi “brainstorming” della storia.   Un vero assalto alla mente dell’“Uomo Qualunque”, per fissare programmi mentali di incondizionata ubbidienza e sottomissione al Potere, per creare bene nella mente di tutti, convinte adesioni a ciò che deve essere riconosciuto come vero e pertanto accettato. Si tratta di “Idee-valori” che poggiano sempre sul numero “3”, princìpi per i quali si ritiene degno vivere e passare alla storia. Verità che dovevano essere solo quelle che imponeva il Potere. 

       Ecco una delle verità  emanate dal fascismo..

“Meglio vivere un giorno da leone 
che cento anni da pecora”, 

principio necessario, subito concatenato con quello che afferma.. 

“Libro e moschetto studente perfetto”.

dove, la verità è garantita dalla rima baciata. Difatti, “moschetto” fa rima e si sposa perfettamente con “perfetto”. E ancora,

“Il vómere e la spada sono entrambi d’acciaio”,

principio che è certamente vero. E se questa è la premessa maggiore del sillogismo, può essere condiviso il fatto che

“L’aratro traccia il solco,
la spada lo difende”.

E può accettare l’idea che

“Il destino dell’Italia è affidato all’acciaio!” 

     Si tratta di messaggi che bombardano il cervello e si fissano nelle coscienze creando sistemi culturali fondati sulla “Fede” in qualcosa alla quale bisogna credere senza fare uso della ragione. Principi che come semi messi a dimora nella mente avrebbero dato i loro frutti (perversi?). 

     La ripetuta citazione del ferro e dell’acciaio fissava il concetto di un sempre possibile e necessario ricorso alle armi e di conseguenza alla guerra. La persuasione è implicita e occulta, realizzata per mezzo di slogan che hanno la connotazione del proverbio, da sempre considerato fonte di verità assoluta.

     Tutto ciò che il Potere pretende dai sudditi è la Fede in quelle presunte verità, che rendono gli umani parte di un progetto “superiore e divino”.   

    Gli stessi principi possono essere rilevati nel marxismo storico. Anche qui un bombardamento di slogan semplici, chiari e soprattutto di per sé evidenti come quello che recita:

“Non si può fare la rivoluzione 
con i guanti di seta”,

dove è esplicitamente detto che l’obiettivo del marxismo è la rivoluzione, dunque la guerra, per il necessario capovolgimento della realtà sociale.

     Si fissa qui il concetto che nel mondo politico o religioso l’obiettivo è quello di controllare le folle dei “fedeli” creando automi che credono incondizionatamente in quelle formule/verità, e le accettano senza verificare con il filtro della ragione che per l’occasione è stata portata all’ammasso?  Tutto merito della fede, cioè della fiducia che si ripone in chi comunica quelle verità.

      In tempi più vicini a noi è quello che proprio oggi si verifica nel Califfato o ISIS, là dove il potere è nella mani dell’islamismo radicale. 

     Una sola idea acquisisce la connotazione di un collante con cui vengono fissati i pensieri (ritenuti) ideali che vengono predicati  nelle moschee con intonazione e vestiario sacrale, presentati come verità volute da Dio e discese dal cielo, ai nuovi adepti che questi principi fanno propri.

     Tornando alla religione cristiano-paolina il vero credente è obbligato a recitare l’Atto di Fede, costituito da una sommatoria di dogmi non spiegabili (e, a rigor di logica, non credibili), che il vero cristiano deve accettare senza chiedere spiegazioni. 

     Dal “Credo niceno” (325 d.Cr.) il fedele deve credere..

1. … nell’uomo Dio: cioè che Gesù è (unigenito) figlio di Dio, ed è come tale Dio egli stesso .. e crede che lo sperma messo a dimora nell’utero di Maria era di un Dio di sesso maschile, che ha deciso di unirsi con una donna (poi Madonna) per motivi che bisogna ancora credere “per fede”, con ciò escludendo implicitamente che tutti gli altri esseri umani possano non essere figli di Dio.

2. … Deve inoltre credere (il fedele) che Maria era vergine pur essendo sposata con Giuseppe. Vergine prima del concepimento, durante la gravidanza, e subito dopo aver messo al mondo Gesù.

3. .. Deve credere (il fedele) che dopo la sua morte Gesù è disceso agli Inferi, di cui non è indicata la ubicazione, ma subito dopo, risuscitato, è salito in Cielo per sedere  alla destra di Dio Padre onnipotente, fissando il concetto che “Padre e Figlio”, entrambi maschi, stanno seduti e immobili a osservare gli eventi dell’Universo.  

4. .. Deve credere ancora nella esistenza di angeli, nella vita che continua dopo la morte, nella esistenza di un Paradiso, e credere ancora per fede a quello che hanno detto tutti  i profeti.

5. … E deve ancora credere (il fedele, sempre per fede) che la Chiesa è “Santissima” e Madre. Difatti, riferendosi a Lei si dice Santa Madre Chiesa. E che durante la celebrazione della messa accade ogni volta un incredibile miracolo: il vino che il sacerdote beve  si è già trasformato in sangue, e il pane (particola) che i fedeli mangiano è vera carne di Cristo. 

     In realtà, non si tratta di bugie, ma di “realtà immaginata”, miti inventati da chi ha avuto il potere di imporle come vere, e perciò credute “per fede”.  Realtà immaginata, ma difesa con tenacia, al punto che chi avanza l’arma del dubbio su questi dogmi ricade nella categoria degli  “infedeli”. Mis-credenti dunque che un tempo venivano processati, scomunicati e perseguitati (dalla Chiesa) e non di rado torturati e condannati a morte.  

     Ma, va ancora aggiunto che l’aggettivo-sostantivato  “infedele” è linguisticamente sinonimo di “infetto”, e le infezioni vanno logicamente combattute ed eliminate. 

     È chiaro che la quantità di fede richiesta al fedele per credere un diluvio di cose inspiegabili non può essere poca. Ma, così deve essere. Perché, sarà una tautologia, ma, per credere in cose incredibili bisogna usare concetti non-credibili.

     Va, però, ricordato che, fra tutti gli esseri viventi, proprio l’uomo è quello che è portato a credere senza chiedere prove o spiegazioni.

     L’uomo percepisce la precarietà del suo essere, sente di essere in balia di poteri sconosciuti, e sente la presenza occulta di Entità potentissime, che (si crede, sempre per fede)  premiano i buoni e puniscono i cattivi. Che premiano i fedeli  e puniscono gli infedeli. Ed è tanto il bisogno di entrare in contatto con questa (o queste) Entità in cerca di protezione che l’uomo si affida, confida e non diffida di coloro che appagano a parole i suoi bisogni inconsci. Da sempre tutta l’umanità ha visto apparire dal nulla stregoni, santoni, shamani, sibille e quant'altro pronti a sostenere di essere in contatto con Dio, pronti ad oracolare verità da credere per fede, dal momento che non potrebbero essere credibili diversamente. E gli uomini abboccano all’amo, rivolgendosi a questi santoni con arcano rispetto, ricoprendoli di danaro e di doni che mettono in atto il concetto di carità, dal momento che questi uomini che leggono i messaggi del mondo superno vengono percepiti come semi-divinità superiori e degni di stima sacrale e di rispetto.       

     Se questo è il bisogno naturale degli umani è facile credere in coloro  che si sono appropriati per usucapione di un potere, quello di sapienti delle cose di Dio, di coloro che controllano le porte del paradiso, promettendo il paradiso a condizioni dettate di volta in volta a chi crede e spera di salvare l’anima, anche lei postulata per fede. Disposti a dire e dare non si capisce cosa, chiedendo come corrispettivo la fede.  Il tutto transitato per mezzo della carità, che nei secoli è stata tantissima da parte dei fedeli se si quantifica la dimensione e il valore di  chiese e conventi, costruzioni e tesori in possesso di quegli uomini di religione e di preghiera  che gestiscono sulla Terra gli affari di Dio.

     Naturalmente, se si crede in Dio, per fede, si deve necessariamente credere nella casta che si è appropriata dell’idea di Dio e gestisce la religione, ovviamente, applicando anche il principio della carità, delle elargizioni in denaro concesse a chi ha bisogno, cioè alla Chiesa. Solo in questa eventualità (dopo che si misura la generosità del donatore) la Chiesa Santissima potrà raccomandare la tua anima a Dio. 

    Ma, sarà verò che Dio aiuta chi prega? Nessuna prova esiste che chi chiede aiuto ai Santi, alla Madonna, a Gesù, a Dio e a quant’altri abbia ricevuto un aiuto.  Dopo lo Tsunami che in Indonesia ha visto la morte di oltre 220.000 persone, tutto quello che ha potuto fare l’individuo “Alfa” vestito di bianco (colore della purezza) di una religione conosciuta, è stato un invito a pregare per sostenere la speranza dei fedeli. Credere che Dio è giusto e buono e il male è causato da Satana.

     Ma se il Potere Religioso ha da raccomandare l’umanità dolorante a Dio, ci viene da pensare che le preghiere dovrebbero essere recitate prima che accadano le sventure e non dopo che le sventure sono accadute. Se tanto non si verifica si consiglia di sperare, perché la Speranza, insegnano i Greci è l’ultima a morire e non costa niente.

P.S. CARITA' è termine tramontato, che va sostituito con solidarietà. Termine (quest'ultimo) che richiama il concetto di aiuto, senza sollecitare la vanagloria della persona "caritatevole". La solidarietà contiene il concetto di dovere, di impegno sociale nel venire incontro a chi chiede o ha bisogno.  Per questo, sono non poche le persone che oggi non sentono di fare atti di carità paolina. Chi fa la carità è la "Charitas".


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