Il pacco dall’America e la carta igienica
Subito dopo la seconda guerra mondiale, io piccolo, ricordo la povertà e la miseria di molti di noi a Scicli. Donne che andavano alla fontana per riempire le brocche di acqua, venditori ambulanti che vanniavano la merce, bambini scalzi che stazionavamo nei vicoli e nelle stradette giocando. Il tutto condito dalla presenza di sterco di asini, muli, mucche e capre che passavano nelle strade, e quant’altro di galline, topi, gatti, cani, tutto un bendidio che nel corso dei millenni si era solidificato sull’impiatito e negli interstizi delle strade.Il tutto ancora arricchito dalla presenza di un esercito sterminato di mosche, a cui nessuno faceva caso.
Qui, la vita era ferma, ma la novità veniva colta al volo, quando in divisa e berretto appariva all’improvviso il Postino tenendo in braccio un pacco postale. Noi sapevamo che cosa era, e lo seguivamo per accompagnarlo fino alla porta in cui il pacco doveva essere consegnato. Era questo il pacco che veniva dall’America.
Per capire, bisogna spiegare che molti siciliani, soprattutto i meno abbienti, avevano parenti in America. Parenti che durante la seconda guerra mondiale avevano con molta probabilità combattuto a fianco del “nemico”, contro di noi. Ma, finita la guerra, i parenti ricchi dell’America si erano prodigati per aiutare i parenti poveri della Sicilia e così, per aiuto o per conforto, mandavano pacchi di cartone ben legati da robuste cordicelle, pieni di ogni bendidio e di sorprese, di cose a noi sconosciute. Ricevuto il pacco, la stanza della casa fortunata si riempiva di tutti i bambini dei dintorni e di tutte le vicine di casa, avvisate porta a porta in tempo reale, che venivano disinteressatamente a curiosare soltanto per conoscere il contenuto del pacco. Fra queste cose, io per la prima volta vidi un calendario con splendide foto di bambini così ben nutriti che mi sembrarono bambini di un altro pianeta, mentre noi, “adduvati a pani cuottu” sembravamo i bambini del Biafra. E sempre dallo stesso pacco, come dal cappello del prestigiatore Mandrake, audite audite, vidi tirar fuori un rotolo di carta igienica di cui nessuno a quei tempi riusciva a capire la funzione, perché nessuno lo aveva mai visto. Le più attente fra le donne, ritennero che si potesse trattare di un giocattolo di carta. Poi passarono ad altro.
Ma, cosa si usava in casa per pulirsi il sedere prima di alzarsi dalla tazza del gabinetto? A casa mia, si usava il giornale tagliato a quadratini e appeso a un chiodo. Ed era atto di civiltà, perché se si andava fuori per la bisogna si usava una pietra. Quella più vicina. Oppure qualche robusta foglia di Uriccia ra veccia, larga come un pannolino, quando si trovava.
Ma, cosa si usava in casa per pulirsi il sedere prima di alzarsi dalla tazza del gabinetto? A casa mia, si usava il giornale tagliato a quadratini e appeso a un chiodo. Ed era atto di civiltà, perché se si andava fuori per la bisogna si usava una pietra. Quella più vicina. Oppure qualche robusta foglia di Uriccia ra veccia, larga come un pannolino, quando si trovava.
A casa di mia nonna, invece? Lo spettacolo (in latino, specta-culum) era il seguente. Fuori da un balcone che dava in un vicolo poco illuminato dalla luce del sole, mio nonno aveva fatto realizzare una cabina in legno a misura di uomo, che conteneva una tazza di gabinetto e un piccolo lavandino. Era questo “u cabbinettu” . E ciò vuol dire che a casa di mia nonna c’era il posticino-ino-ino dove si poteva andare a fare i propri bisogni, senza far più ricorso allo storico "catusu"). In prossimità della finestrella (a finistrula), era stato appoggiato un fil di ferro a forma di “S” (esse) al quale stava agganciato penzolante con atteggiamento dimesso, quasi indolente, uno straccetto di giusta misura. A casa della mia nonna materna, dunque, si usava uno straccetto morbido per le evenienze, straccetto che... quando era pulito, non presentava alcun problema, ma, siccome, non veniva cambiato molto spesso, e siccome veniva usato da entrambi i lati, accadeva che, per prenderlo e appoggiarlo al dito, bisognava cercare la parte che fosse miracolosamente pulita da entrambe le parti. Di tanto in tanto, quando mia nonna riteneva giunto il momento, ma solo quando lo straccetto cominciava a prendere la configurazione di una piccola tela di arte astratta, dunque, molto raramente, veniva sostituito con uno, diciamo pulito, dal colore grigiastro, ma morbido, mentre l’altro, quello sporco veniva immerso in una bacinella con liscivia, per fargli vivere al sole la bella esperienza del bucato. Fu questa mia precedente e casalinga esperienza che qualche anno dopo mi fece capire l’importanza e la nobiltà della carta igienica.
E ancora tanti anni dopo scopriremo tutti la nobiltà e l’importanza del bidet!
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