2011/06/17

Minchia di Sicilia, una storia etimologico-linguistica




Mínçhia!
  
     Minçhia è il pène che porta bene, ma dà péne! Il Proverbio rileva che una volta la gente si sposava per togliersi un pensiero di minçhia, senza rendersi conto che se ne metteva mille altri nella testa. In questo caso, la decisione (quella di ammogliarsi o di maritarsi) non era stata presa dalla testa di sopra, che è quella deputata a decidere razionalmente, ma dalla testa di sotto, che dà ascolto alle pulsioni istintuali dell’Es e trascina la carne verso i deprecabili richiami del sesso. Per questo, a chi si era incaponito di sposarsi, si era soliti dire: “Ha fatto una scelta del káżzo!” Ed era un giudizio corretto.

 Etimologicamente, il termine minçhia ha nobili ascendenze nella lingua latina, derivando dal verbo míngere (orinare), da cui minzione (l’atto di míngere) e minçhia (l’addetto alla funzione del míngere, e ad altre cose). Ma, nel siciliano antico, minçhia! è una esclamazione che condisce, infiora ed insapora i discorsi della gente; per questo il termine lo trovi (metaforicamente, si intende) sulla bocca di tutti, essendo utilizzato in mille contesti e con mille funzioni diverse. Uno incontra un amico che non vede da tempo e affettuosamente gli dice: “Ma ’unni minçhia ha’ ştatu!”, cioè, dove cavolo sei stato? Un ragazzino è cresciuto più del previsto? L’esclamazione mista a meraviglia è spontanea: “Minçhia! come ti sei fatto grande”. Ma, l’epìteto può essere anche usato in modo esortativo, fraterno, facendo appello al Creatore: “Fa’ preştu, minçhiacaticriàu!” per dire “sbrígati, fai presto, diamine!” Ma, l’esclamazione può anche esprimere disappunto: “Ma, chi `minçhia vôi?” Per dire, cosa diavolo vuoi? E c’è ancora quella che rinvigorisce un avverbio di negazione; per esempio, uno non vuole addivenire alla richiesta di un altro? la risposta è lapidaria, concisa e precisa: “Ştamínçhia ti dugnu! Cu şta funćia’i mínçhia ca vêgnu!” Come dire:Sta’ fresco! Non ti do nulla… méttiti in testa che non vengo”.  Ma l’interiezione in oggetto viene usata anche per esprimere disprezzo: “Ştu minçhiuni! şta côppŭla’i mínçhia; ştu sucaminçhia; ştu minçhiai mari. [1] A seconda dei casi, però, il termine può registrare anche affettuosa considerazione nei confronti di un povero diavolo: “Chíssu è ’n-poviru minçhiunażzu! Cunta minçhiati niviri…” [2] Ma può essere anche minimizzante: “Fiçi ’na minçhiata!” Ha fatto una fesseria, oppure, “Ma, chíssa è ’na minçhiunata ’i nenti!” Questa è una cosa da niente. 
 Il termine, certamente osceno e triviale, infiora anche i proverbi: “Crídiri è curtisìa, di cu li cunta è la minçhiunerìa”.[3] Ma, se un evento è bello, come una cosa mai vista, orgogliosa di sé e di tutto rispetto, allora si dice: “È-ni ’na cosa minçhiunuta”, cioè, una cosa splendida, mai vista. In questa accezione, il termine, abbastanza ripulito da ogni bassa volgarità, esprime tutto il suo naturale candore e pudore, e può essere usato dalle persone per bene di ogni sesso e ceto sociale e, all’occorrenza, anche da bambine, monache, preti e persone di Chiesa. Da ricordare, infine, che nel 1927 Ragusa diventò Provincia avendo la meglio su Modica. I Modicani amareggiati lamentavano:“`Rausa provincia e a Muorica şta minçia!”  Ragusa è diventata provincia e i modicani sono rimasti con tre palmi di naso. "Na zunnata 'i menti!"

Gino Carbonaro 
da "La Donna nei Proverbi Siciliani"


[1] La minçhia’i mari è il cetriolo di mare: mollusco color marrone che vive nel nostro mare, colonizza fra le rocce della battigia. Ha forma di péne afflosciato quando sta fermo e arrotolato: Oloturia (scient. Holoturia tubulosa).
[2] Ma quello è un povero sventurato, queste sono cose da poco, va bene, ha fatto una stupidaggine.  
[3] Credere alle cose che ti raccontano è atto di cortesia, di chi li racconta è la minchionerìa, la stupidaggine.

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