2011/05/19

Diabete raccontato da un diabetico

a Giorgio Chessari, neo-diabetico
dedico questa

Storia di un diabetico


    Il mio primo segnale di diabete l’ho avuto a undici anni. All’epoca, abitavo a Modica, e un gruppo di ragazzi, tutti in bicicletta, decidemmo di scendere al fiume Irminio. Imboccammo la Statale 115 in direzione di Ragusa. Molto prima del passaggio a livello cercammo di nascondere le biciclette dietro i muri, e di corsa cominciammo la discesa al fiume per fare il bagno. Fu per me uno spettacolo indicibile. Non immaginavo che l’Irminio fosse così bello, con i suoi platani e lecci e frescura. Al ritorno, però, durante la risalita mi sentii senza energia, cominciai a sentire freddo, non avevo la forza di procedere. I miei compagni mi lasciarono senza accorgersi di me. Arrivai a casa in condizioni disperate. Tremavo dal freddo senza potermi fermare e non riuscivo a tenere l’equilibrio sulla bicicletta. Quando e come potei, mi preparai una spremuta di arance. Ma, di arance ne avrò spremute una decina. Lentamente ritornai in me stesso. Non dissi nulla a mia madre. Dimenticai l’evento. Certamente non avevo mai sentito parlare di diabete.
    Il secondo segnale ritornò quando ero appena sposato. 
  Al mattino Claire preparava colazioni "all’inglese" con prosciutto, patate e uova. E il pane sul tavolo era quello di casa, di grano duro, buonissimo. Lo faceva la signora Cilia, nostra vicina di casa, una massara che ci dava anche il latte della sua mucca Gelsomina.
Cominciai a sentirmi male senza un comprensibile motivo. Mangiavo con un buon appetito, ma ero costantemente depresso, agitato, aggressivo. Perdevo l'equilibrio, e una volta, durante il pranzo, abbassai la testa ed entrai in una sorta di trance dalla quale mi risvegliai dopo qualche secondo. Così, a me parve. Ora, immagino si sia trattato di una forma lieve di coma diabetico.
Claire preoccupata mi suggerì di andare dal nostro medico di famiglia, a Modica. Il dr. Occhipinti mi fece distendere sul lettino, mi palpò l’addome, auscultò i polmoni, mi fece dire trentatré, osservò la lingua che era di un bianco-grigio melmoso, e sentenziò: “Sei malato di fegato!” E mi prescrisse delle pillole che facendo bene al fegato migliorarono la mia condizione (di fatto avevo forse una intossicazione da diabete).
E però, visto che mi era stata diagnosticata una “malattia” di fegato, decisi di andare a Chianciano. Lasciai Claire con Maurice e Denis, e partii per il luogo di cure. Durante il soggiorno sentii dire che era consigliabile farsi visitare da medici specialisti, solitamente docenti universitari, che ricevevano in ambulatori da “Day Hospital”. Mi prenotai, attesi il mio turno ed entrai nello studio di uno dei tanti medici, che però stava scrivendo. Quando alzò gli occhi mi guardò e quasi infastidito esclamò: “Lei perché è qui?” Io non compresi il senso di quella domanda e cercai di spiegargli perché ero lì, ma l’emerito luminare continuò a ripetere per un tre, quattro volte: “Sì! ma lei, perché è qui?”. Ebbi l’impressione di aver sbagliato stanza, ma il quiproquo fu chiarito quando mi disse esplicitamente: “Lei non è malato di fegato!” Il medico aveva intuito che io non avevo la facies di un malato di fegato. Comunque, mi fece distendere sul lettino, mi fece scoprire l’addome, palpò il mio fegato e diagnosticò: “Lei non ha fegato”. Ed era vero che io non avevo fegato, perlomeno ingrossato (come avrebbe dovuto essere, se la causa del mio male fosse stato il fegato) ma, soprattutto non accusavo dolore quando mi tastava in modo deciso.
Ritornai a casa convinto di non essere malato di fegato, mi illusi di star bene, continuai a prendere le pillole che mi aveva prescritto il dr. Occhipinti, ma il problema non fu risolto. A quel tempo era questo il destino di tanti di noi. I medici di allora diagnosticavano senza ausilio di analisi adeguate.
Intanto, mi ero abituato alla mia lingua sporca, mi ero quasi abituato all’odore strano della mia orina, e soprattutto al suo colore. Facevo la pipì come brodo di maiale. Terribile.
    Un giorno del 1975, qualcuno mi suggerì di fare delle analisi al sangue. Da una mattina all’altra, seppi che ero diabetico. Glicemia altissima! Dovevo fare una dieta. Mi recai da un dietologo, il quale, per prima cosa mi prescrisse del caciocavallo: un etto e mezzo a pranzo, un etto e mezzo a cena! E aggiunse dell’altro. Questo analista dietologo, forse non capiva molto di diete e di diabete. E tanto potrebbe essere provato dal fatto che, finito di stilare il foglio con la dieta, cominciò a dissertare in questo modo: “Veda, Signore,… il diabetico è uno che non secerne sufficiente insulina!” e continuò: “L’insulina serve per… nel corpo umano… l’insulina è importante per… per...”  Io attendevo immobile per afferrare la preda, il concetto; per scattare sulla notizia importante, fondamentale per me, per capire cosa avevo, quando il dietologo chiuse la discussione dicendo a mezza voce: “Veramente, in questo momento non ricordo a cosa serve l’insulina!” E lì fini la conversazione.
Io rimasi a guardarlo senza far trasparire il mio disappunto. Alzai lo sguardo sui libri di medicina stipati nella libreria alle sue spalle, notai che erano coperti di polvere, incartapecoriti come mummie egiziane. I libri c’erano, e nello stesso tempo non c’erano. Sembravano vivi, ma erano morti. Proprio come quel medico della dieta. Pagai e andai via.
    A questo punto, ricordai che mia sorella, medico, si stava specializzando in geriatria e diabetologia, ma scoprii da solo, ma molti anni dopo, che il formaggio assunto “fuori misura” (un etto e mezzo!) è forse il primo dei veleni per un diabetico.
Mia sorella mi passò una dieta idonea. Anche lei mi parlò di insulina, mi spiegò che avrei finito di mangiare gelati, mi disse che lo zucchero era tossico, che pasta e pane erano carboidrati, cioè zuccheri, e mi fece capire che quasi tutti gli alimenti sono degli amici-nemici, in ogni caso devono essere ingeriti sempre con equilibrio e moderazione.
In seguito, qualche altro medico mi consigliò la bilancia.  In qualche articolo sul diabete si parlava di grammi di pane e di pasta, e soprattutto si parlò di pillole “ipoglicemizzanti”, per fare “abbassare” la glicemia. Si trattava di compresse da assumere a colazione, pranzo e cena. Tutto questo per sollecitare il pancreas a produrre insulina ed “evitare” di far salire la glicemia, cioè la quantità di glucosio nel sangue”.
Da questo momento, da quando mi si disse “sei diabetico”  mi sentii solo con il mio problema. Qualcosa non funzionava dentro di me, ma non capivo cosa. Mi si disse che se non rispettavo la dieta avrei avuto dei mali come conseguenza di ciò. Mi fu prescritta insulina di maiale, ma mi si disse che non avrei potuto usarla per sempre. Avrei potuto avere un rigetto.
Comunque, comperammo un bilancino e, a pranzo e cena, Claire ed io diventammo alchimisti, pesa qui, pesa lì, hai dimenticato a pesare questo, e nella frutta c’è il fruttosio, e il fruttosio non è zucchero (sottili sofismi linguistici di cui non capivo il senso) e nel miele c’è il saccarosio che si trova anche nelle frutta mature. E seppi che l’uva e il melone erano dannosi, nemici di frontiera da evitare, e però la mela si poteva mangiare, soprattutto la mela verde. Mi sentivo sempre più solo e confuso. Confuso e arrabbiato perché capivo che il diabete è un male con il quale avrei dovuto convivere a vita, una menomazione, insomma, e per gestirlo, pensavo, devi conoscerlo. Ed ebbi il sospetto che i medici, in generale (mi si scusi la generalizzazione) ripetevano al mattino quello che avevano letto in qualche rivista la sera di qualche anno prima o, peggio ancora, ripetevano quello che gli raccontava il “collaboratore scientifico”, quel Signore “distinto, diverso, e con la puzza al naso”, fornito di una grande borsa di pelle che non rispetta mai il suo turno quando sta seduto con gli altri nella sala d’aspetto del medico, ed entra sempre con premurosa arroganza prima degli altri nello  studio dello specialista per rimanervi un tempo che  non trans-corre mai.
I collaboratori scientifici sono specialisti ambulanti e tuttologi dei farmaci che devono propagandare, e per questo motivo, vivaddio! aggiornano, cioè illuminano le menti dei medici, fugando le tenebre della ignoranza che sta sempre in agguato, e come un polipo agguanta e fagocita tutti. E allora? Capii che dovevo cercare di capire cosa era veramente questo diabete che a volte veniva aggettivato come “mellito” e a volte veniva considerato “giovanile”, con classificazioni, come si può ben vedere, dotte e profonde, che a me sembravano inutili. Di certo, la prima cosa che imparai fu la seguente: pane, pasta, riso, patate, castagne (ma anche i legumi) sono carboidrati, cioè in tutto simili agli zuccheri. L’unica differenza è che lo zucchero è un carboidrato al 100% e viene assorbito dall’organismo quasi in tempo reale, mentre gli alimenti summenzionati sono carboidrati all’88%, ma hanno bisogno del tempo per essere assimilati.

I carboidrati sono quelli che forniscono l’energia necessaria al corpo umano, e hanno bisogno di insulina per essere metabolizzati. In caso contrario (nel caso il soggetto non riesca a secernere insulina) i carboidrati (trasformati in glucosio) restano in circolo ad addolcire il sangue che li veicola, aumentando (anche di molto) lo standard di presenza di glucosio nel sangue.

   Alla ricerca delle cause


    Per comprendere  cosa è il diabete, cercai di capire la funzione dell’insulina leggendo una enciclopedia medica. Ma, quella lettura non mi fu molto di aiuto. La voce “insulina” è riportata qui appresso, ma solo per far capire che un non-addetto ai lavori non può capire, e che comunque quello che c'è scritto non serve. Io suggerisco di non leggerla.
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Funzioni dell’insulina

Ruolo dell’insulina è quello di favorire, legandosi ad un recettore esterno della membrana cellulare, la penetrazione di glucosio nelle cellule del muscolo scheletrico, del cuore, del tessuto adiposo e delle ghiandole mammarie in allattamento. Tale funzione è possibile grazie all'interazione dell'insulina col suo recettore trans-membrana, il quale a sua volta è legato ad un particolare peptide intracellulare che costituisce, nel citoplasma, la prima risposta ormonale. Il recettore insulinico infatti promuove la fosforilazione su tre residui di tirosina del peptide IRS-1, il quale a sua volta, riconosciuto dalla proteina fosfatidininositolo 3-chinasi, promuove la fosforilazione, ad opera di quest'ultimo enzima, del gli cero-sosfolipide fosfatidininositolo 4,5-bisfosfato in fosfatidininositolo 3,4,5-trisfosfato. Ciò produce un'altra serie di cascate enzimatiche alquanto complesse, al termine delle quali, dopo fosforilazione, è attivata la proteina insulino sensibile, o PKB, i cui effetti sono vari e molteplici. Innanzitutto, essa incentiva la sintesi di glicogeno nel fegato e nel muscolo scheletrico, tramite un meccanismo di regolazione covalente sull'enzima responsabile dell'inattività della glicogeno sintasi (che instaura un legame glicosidico che unisce i vari monomeri di glucosio a formare appunto glicogeno), e di pari passo disincentiva la demolizione del glicogeno a produrre glucosio (che è presente in abbondanza in un organismo stimolato a secernere insulina), tramite l'attivazione di una proteina fosfatasi, che defosforila a sua volta la glicogeno fosforilasi, inattivandola, e con ciò facendo riducendo la mole di enzima che rende glucosio a partire da glicogeno. L'insulina inibisce, all'interno della cellula, l'enzima Adenilato ciclasi, responsabile della formazione di AMP ciclico (cAMP) a partire da ATP. Ciò induce la membrana a modificarsi per far entrare il glucosio, che immediatamente viene fosforilato a Glucosio-6-P dalla glucochinasi o dall'esochinasi. In questo modo il Glucosio modificato, essendo carico negativamente (per via delle cariche - del gruppo fosfato ionizzato a pH fisiologico), non può uscire dalla cellula (gradiente elettrochimico sfavorevole).
I suoi ormoni antagonisti sono il cortisolo (ormone alla base dell'insulinoresistenza), l'adrenalina, il glucagone, l'aldosterone e il GH. Gli ormoni che invece migliorano la sua azione sono il testosterone, il fattore di crescita insulino-simile e, in minor misura gli estrogeni (stimolano la sintesi della proteina, Cortisol Binding Globulin, che lega e inibisce il cortisolo).
Queste due catene derivano da un unico polipeptide da cui viene escisso il Peptide C, corto frammento proteico, apparentemente privo di funzioni fisiologiche che, in quanto secreto insieme all'insulina, è un utile indicatore della funzionalità insulare.

Insulina:  il ruolo nel metabolismo


Il quadro che alla fine mi son fatto del diabete è in buona sintesi il seguente:
  • Il corpo umano è un aggregato di cellule che devono essere nutrite.
  • Il cibo che noi introiettiamo viene “trasformato” nello stomaco, che separa le scorie dalle sostanze nutritive. Le scorie, ricche di azoto, vengono convogliate in uscita (feci), le sostanze nutritive vengono consegnate al sangue che le veicola in tutte le parti del corpo per nutrire le cellule.
  • Si tratta di carboidrati, proteine, vitamine, ma anche  magnesio, zinco, cromo, calcio, olio alfa, olio omega, e chissà quante e quali altre sostanze necessarie e non ancora rilevate.

Ruolo dell’insulina

  • E però (questo è il punto)  per far sì che le cellule possano assimilare (ma, si dice “metabolizzare”) proteine, vitamine, carboidrati e tutto il resto, serve l’insulina, un ormone prodotto dal pancreas, e immesso nel flusso sanguigno nel quantitativo necessario affinché l’attività metabolica si realizzi.
  • Più cibo introiettiamo, più insulina (sempre q.b.) secerne il pancreas. Se l’organismo è sano, il principio che regola questa meravigliosa macchina umana è quello del feed-back. L’insulina è "sempre " secreta in quantità equivalente al fabbisogno. 
   
La cellula affamata chiede di essere nutrita  
(repetita iuvant)


Adesso ri-vediamo lo stesso processo dal punto di vista delle cellule.
Quando le cellule (del corpo) hanno esaurito le riserve di energia, mandano un impulso al cervello dicendo: “Ho fame! Ho fame”. Noi riceviamo l’impulso e diciamo a noi stessi: “Che ore sono? Ah! è mezzogiorno! Ho proprio fame! Devo mangiare qualcosa.” Per questo ci sediamo a tavola, mentre il cibo che va nello stomaco inizia la sua trasformazione.

Sistema circolatorio


    Il sangue, recita l'enciclopedia, è un tessuto connettivo fluido contenuto nei vasi sanguigni degli animali, dalla composizione complessa, che fa parte della più ampia categoria dei tessuti connettivi. L'aggettivo che si riferisce al sangue, "ematico", viene dal greco αἶμα, αἴματος (aima, aimatos), che significa proprio "sangue", mentre il nome italiano deriva dal latino sanguis, sanguinis, di medesimo


     Le sostanze necessarie a nutrire le cellule - si è detto - vengono consegnate al sangue, il pancreas comincia la secrezione di insulina (q.b.) per consentire alle cellule di metabolizzare il nutrimento. Alimentate le cellule, ci sentiamo bene e torniamo alle nostre attività.
    Lo schema sopra riportato riguarda l’individuo sano con “metabolismo corretto”. 
Ora vediamo cosa accade se l’individuo è diabetico conclamato.
  • Le cellule del diabetico hanno fame, e mandano un impulso al cervello segnalando la loro condizione di sofferenza. Il diabetico, che in questa prima fase si comporta come un soggetto sano, si siede per fare onore alla tavola. Il cibo va nello stomaco per essere lavorato. Il necessario di vitamine*, proteine* e carboidrati è immesso nel sangue, ma!.. ahi! qui è la differenza! Il corpo del diabetico non secerne insulina, o ne secerne poca, comunque non in quantità sufficiente ad espletare la funzione, e le cellule “non possono essere nutrite!” Dunque? Vitamine, proteine, carboidrati e quant’altro è necessario all’organismo rimangono in circolo nel sangue, vagolando senza meta, come una valigia che all’arrivo in aeroporto non viene ritirata da nessuno, e continua a ruotare sul tapis-roulant.
  • Di fatto, le cellule del diabetico soffrono il supplizio di Tàntalo. Tantalo è figura mitologica che aveva offeso gli Dei, che furenti per l’onta subita si vendicano legando il reo a un albero posto sulla riva di un fiume. Frutti maturi e profumati pendevano dai rami di quell’albero. Acqua fresca e pura bagnava i suoi piedi. Ma, legato in quel modo, Tantalo non poteva alimentarsi, non poteva bere, e non poteva sfiorare con mani legate le belle vergini nude che gli giravano attorno in provocanti atteggiamenti. Un supplizio quello di Tantalo, un supplizio quello delle cellule del diabetico, costrette (per punizione) a morire lentamente di fame e di sete, mentre la sessualità di Tantalo (e del diabetico) se ne va a qual paese.

La spirale perversa   

      A questo punto, si innesca nel diabetico una spirale negativa, un circolo vizioso. Le cellule sofferenti piangono per la fame reclamando la privazione di  nutrimento: “Aiuto! Aiuto! Stiamo morendo di fame!” Il diabetico sente di aver fame e mangia ancora, e ancora,  senza che le sue cellule riescano a nutrirsi e, sofferenti cominciano a invecchiare, mentre lui (il diabetico) comincia a dimagrire per denutrizione. Ma, nel diabetico conclamato, soffre (come tutti gli altri organi) anche il pancreas che riduce la secrezione di quel poco di insulina che è solito produrre, e si affatica ancora il cuore, anch’esso denutrito, e pur sempre costretto a pompare sangue vischioso senza essere nutrito, e veicola/pompa sostanze immesse in circolo e non metabolizzate, che il tempo guasta trasformando il sangue in una fluida cloaca. E soffrono i reni che devono purificare (!) ciò che non può essere filtrato, mentre l’orina diventa un putrido cocktail di sostanze maleodoranti in decomposizione. E non si nutrono le cellule dei capillari, del cervello, degli occhi, dei denti. Per questo, una volta, il rischio di un diabetico era quello di diventare cieco, di perdere la vista, i denti o di zoppicare. 
  • Così, il diabetico, ignaro del suo male e sempre più denutrito, diventa psicologicamente depresso, non riesce a muoversi, perde l’equilibrio, avverte malessere alle ginocchia, si sente spossato, ha bisogno di sedersi, riposare, dormire. Il diabetico in crisi è incapace di concentrarsi, parlare, ascoltare, mentre insorge stipsi che lo costringe a restare seduto sulla tazza del gabinetto, senza potersi decidere.
  • Il diabetico - si è detto - ha fame, e ritiene (erroneamente) che se sta male e non ha energia la prima cosa da fare è proprio quella di mangiare, ma se mangia, contribuisce inconsapevole ad alimentare la spirale perversa.
  • Si spiega, così, perché il diabete, che al suo insorgere è solo una disfunzione, diventa “causa non secondaria” delle malattie elencate dalla medicina, e di tantissime altre ancora non conosciute.

Ritorno alla normalità
Alimentazione bilanciata e corretta
Importanza del movimento e dello sport

  • Diagnosticato il diabete, l’obiettivo è quello di ritornare all’interno di una spirale virtuosa. Lo schema suggerito dalla medicina è il seguente:
  1. Ridurre drasticamente i carboidrati facendoli rientrare nel confine della normalità.
  2. Uso di ipoglicemizzanti. Questo, se il medico è certo che il pancreas del paziente è integro, e può produrre ancora insulina, anche in dosi minime. Oppure,
  3. Prescrizione di insulina sintetica (una volta di maiale), che dovrà essere iniettata prima dei pasti in quantitativo da valutare con molta attenzione, e comunque indovinando il q.b. (quantum).

    Obiettivo del diabetico è ora quello di evitare qualsiasi eccesso alimentare e di adottare una dieta bilanciata e sana, che comprenda la gamma delle sostanze necessarie per fornire al corpo “tutti” gli alimenti necessari: proteine, vitamine (soprattutto vit. B che è quella che nutre il sistena nervoso centrale e periferico), carboidrati, sostanze minerali quali zinco, magnesio, cromo, tutti deputati a funzioni specifiche per il benessere dell’organismo.
  • A questo punto, l’errore del diabetico potrebbe essere quello di applicare la dieta con eccesso di zelo, tentando di penalizzarsi, digiunando in modo arbitrario, rischiando carenze alimentari.  Anch’esse fonte di altre malattie.

Giusta misura e alimentazione corretta
(cosa mangiare, cosa “non” mangiare)

  • Alimentazione corretta è quella che fa uso di sostanze ricche di fibre (pane e pasta integrali, legumi, soia segale, altri prodotti integrali, porridge/avena) e di alimenti ricchi di vitamine (succo di limoni per la vit. C, lievito di birra per vit. la B, aglio per sciogliere i grassi in eccesso nel sangue e limitare il combattere il colesterolo,. Evitare grassi animali (sugne) presenti in tanti prodotti industriali (soprattutto nei biscotti). Evitare prodotti alimentari le cui procedure non sono conosciute (vedi margarine). Evitare eccessi di formaggi, salumi, e così via. In conclusione, il diabetico dovrà diventare un virtuoso.
  • La giusta misura dovrà diventare regola di vita. Ma, la giusta misura non è solo legge fondamentale della alimentazione del diabetico, ma principio generale della vita delle persone sane, anche se la giusta misura può cambiare da soggetto a soggetto, tant’è che molte persone sogliono dire: “Ma ju nun manciu nenti!”  (io non mangio niente) quando invece mangiano come cavalli. Per questo si dice che la giusta misura è come la pelle dei polmoni che si allarga e si restringe a piacimento.
  • Nel nostro caso, la giusta misura è riferita al “reale” fabbisogno giornaliero del corpo (tantum-quantum) da imparare a capire e a... praticare.
  • Il diabetico non potrà mangiare più per far piacere allo stomaco o alla gola. Ora, di necessità, mangerà per vivere e non vivrà per mangiare. In buona sostanza dovrà fare (anche se in ritardo) quello che avrebbe dovuto fare prima dell’insorgere della disfunzione pancreatica.  
Ecco ora gli alimenti che servono all’organismo

Carboidrati. Principale fonte di energia  negli organismi viventi. Carboidrati sono pane, pasta, riso, soia, patate, castagne, zuccheri, ecc., i legumi ancora  contengono carboidrati e potrebbero essere ragionevolmente presenti a tavola. E ancora, la frutta secca.
  1. I legumi sono indispensabili perché contengono
    1. carboidrati, si è detto,
    2. scorie
    3. proteine vegetali che possono sostituire la carne
    4. vitamine, minerali
  2. Carne, per il suo contributo di proteine
  3. Pesce, per il suo contributo di proteine e olio "beta".
  4. Frutta secca (mandorle, noci, arachidi, ecc.) perché oltre alla parte calorica fornisce molte e fondamentali vitamine (olio "alfa").
                                                                 … continua


Postilla:

     Crampi notturni? Sono dovuti a carenza di vitamina B (che nutre il sistema nersoso centrale e periferico). Il diabetico consuma moltissima vit. B. 
     La vitamina B si trova (fresca ed economica) nel lievito di birra. Sciogliere mezzo panetto (10 grammi) in un bicchiere di acqua, o acqua con limone, e bere a pranzo e cena. Dunque un panetto al giorno (20 centesimi!). Si consiglia di non abbandonare mai il lievito di birra a tavola. Il gusto è ottimo.
Il lievito ha il gusto del pane.

Leggere sul Blog di Gino Carbonaro articolo 
su 

1. Insulina, calcolo delle calorie
2. Scuola Medica Salernitana

2011/04/30

L'uomo, la ragione, l'angoscia della morte


Antinomia vita-morte
Essere e non-dover essere

     È dilemma tragico quello che si trova a vivere l’uomo del XXI sec. Percepisce ragione e scienza come strumenti di potere, e si illude perciò di essere riuscito ad avere il dominio della natura, e forse anche dell’universo, in un futuro non lontano.
     Comprende, l’uomo, di essere una macchina ricca di potenzialità non ancora conosciute; mentre, allo stesso tempo, l’uomo prende atto che esiste un limite invalicabile, rappresentato dalla estrema precarietà del suo “hardware”, dalla struttura biochimica che lo costituisce, materia vivente che dovrà inevitabilmente dissolversi nel nulla.
    Il paradosso umano sta proprio nel vivere la vertigine di potere derivata dalla constatazione “obiettiva” dovuta alle scoperte forti della scienza, e parallelamente dall’essere costretto a percepirsi fuscello in balia di una sorte/natura, che ha deciso per lui tante cose, soprattutto quella del suo esser nato e del suo dover morire.
     L’esistente-uomo vive in sé la coscienza di questa contraddizione: coscienza di dover fare un salto nel nulla, un passaggio dall’essere al non-essere, dalla consapevolezza di esistere, all’idea che dovrà comunque e in ogni caso dissolversi nel nulla.
     Ed è proprio questa doppia informazione inviata al cervello (positivo = vivere + negativo = dover-morire) questo rapporto infame, inaccettabile, incomprensibile  (ingiusto?) fra chi (ma, Chi?) ha deciso per lui il prima e il dopo delle cose, i rapporti e le leggi della natura, e noi, esseri viventi e devianti che ci portiamo appresso la centralina della rassicurante presunzione di possedere una forza, un potere (potere di che?) nella logica consonante della ragione.
     Diversità di potenziale fra due sfere opposte e contrastanti (mondo fisico/razionale e mondo che sfugge al controllo della ragione) che fa andare in tilt il cervello, che non può, non riesce a contenere il sovraccarico della lacerante contraddizione (dell’essere e del non-dover-essere) che a livello logico si annullano e si azzerano.
     Una trappola mortale (mai l’aggettivo è stato più appropriato!) che però finisce di essere tale se si assume per buona l’ipotesi elevata a postulato dalle religioni, che la vita continuerà anche dopo la morte.
    Pia illusione che scioglie la contraddizione implicita nell’antinomia vita-morte, facendola rientrare nell’alveo di una logica coerente (?) e rassicurante che non conosce soluzione di continuità, e compone il tutto in un riposato equilibrio di proposizioni razionalizzabili, e pertanto capace e di porre fine agli interrogativi, capace di richiamare all’ordine tutte le osservazioni dissonanti, che sono da rimuovere, da esorcizzare, per alimentare l’illusione, perché si addormenti e plachi l’angoscia della morte che congela il pensiero razionale.
     Malgrado ciò, l’uomo non cessa di coltivare la speranza, non dispera ancora di scoprire, novello dottor Fregalamorte, l’élisir di lunga vita, quello che dona l’immortalità, o l’eterna giovinezza a chi ne beve un sorso; o la pietra filosofale, che elargisce ricchezze e benessere a chi la possiede. La posta in gioco è alta: garantirsi l’eternità in questa vita, non in un’altra!

                    Gino Carbonaro

2011/04/27

L'Uomo e il Tempo


La lotta contro il Tempo

    Nella vita degli uomini, il Tempo è il più temuto interlocutore, quello con cui si è costretti a fare i conti quotidianamente. Quante volte ci troviamo a dire: “Oggi ho perso un mucchio di tempo..! Ma, dove va il tempo..? Vorrei avere il tempo per leggere un libro, per portare i miei figli a passeggio..”
    Non avendo tempo, rubiamo tempo al sonno, sottraiamo tempo alle cose importanti, cerchiamo di recuperare il tempo che perdiamo ai semafori o in banca, e facciamo gli scongiuri per non incontrare per strada un automobilista che ci fa perdere tempo, perché il tempo è vita, e la nostra vita trans-corre veloce.
    Per questa inesorcizzabile mancanza di tempo, abbiamo perduto la speranza di godere l’incanto di un’alba, la bellezza di un tramonto, il piacere di stare in famiglia o con gli amici, e  quello di stare con noi stessi.
    All’interno del tempo che divide il giorno dalla notte, e i secoli in anni, mesi ed ore, del tempo che condiziona la nostra esistenza, l’espediente che mettiamo in atto è quello di correre. Di corsa ci alziamo al mattino, di corsa ci prepariamo, di corsa prendiamo un caffè. E sempre di corsa ci ritroviamo in macchina per raggiungere l’ufficio, il negozio, il posto di lavoro. Siamo padroni del globo terrestre, ma schiavi di tempo. Sentiamo che gli anni passano veloci, e spesso si bruciano come fiammiferi che tiriamo fuori da uno scatolo, fino a quando ci accorgiamo, ahimè,  che sono finiti.
     Come il cane che cerca di mordersi la coda, noi inseguiamo il tempo, senza renderci conto che il tempo non si fa acchiappare, senza capire che il tempo non si può dilatare correndo, né si può annullare fuggendo.
   Oggi, le considerazioni sul tempo sono pratiche e funzionali, ma, nei tempi antichi, il tempo “finito” era contrapposto a una eternità infinita, e massime e proverbi sul tempo erano all’insegna della filosofia e della poesia. Scriveva un antico poeta egizio: “Scorre la sabbia nella clessidra della vita. La meridiana, serva del tempo, ubbidisce al corso della luce solare; le ore avanzano inarrestabili, e con esse i giorni, i mesi, gli anni, e vola l’alata età, nel tempo che si dissolve incorporeo”. E mentre tutto sottostà alle leggi del tempo, gli uomini si sottopongono a lifting facciale, le donne cercano di arginare i segni del tempo proteggendo il viso con creme e mascara. Ma, è così che nasce l’inganno.
    In tanta amarezza, il poeta latino esortava a cogliere l’attimo fuggente, a vivere il giorno nella bellezza irripetibile di un momento gioioso.
   Nel medioevo, sulle meridiane solari era consuetudine apporre una epigrafe. Una di queste recitava: “Mentre parlo, l’ora fugge (Dum loquor, hora fugit).” E altre ancora: “Tutte le ore feriscono, l’ultima uccide (vulnerant omnes, ultima necat)”. Oppure: “Io sono ombra, e ombra sei anche tu, io tengo conto del tempo, e tu?”
   
                                                   Gino Carbonaro

2011/04/26

Buddismo e concetto di "Energia" nel Giappone di oggi


Etica & Armonia 
Universale
 




Energia è concetto fisico-chimico: energia eolica, muscolare atomica. 


Per il buddismo e per i giapponesi, Energia è la grande anima dell’Universo, lo Spirito Immortale che viaggia e penetra le cose: piante, pietre, acqua, alberi, tutto vivificato da questa energia divina. Anche il canto degli uccelli, tramonto, mare in tempesta, luna, un cielo stellato e persino l’arte umana, sono frutto di questa energia.
   
Nell’incanto di un albero in fiore, in una radura di bosco, in un haiku o bonsai, il giapponese coglie la bellezza di un dio che per lui si rivela nella natura. Dove c’è energia c’è bellezza, arte, poesia, armonia. Dove questa manca, c’è il nulla o il vuoto.
    
Fine dell’uomo è quello di far sua questa energia e di non disperderla. L’equazione è chiara: energia è vita; lo spreco di energia è male, danno, morte. 

La meditazione-concentrazione di Budda immobile è mezzo per accogliere energia cosmica senza disperderla. Anche il pensiero è energia.

   Questo principio si riflette nella vita dei giapponesi. Il pesce mangiato vivo, guizzante, è energia che passa senza spreco da un organismo all’altro. Così nel sesso è necessario non sprecare il prezioso seme dell’uomo, dando con ciò lungo piacere alla coppia. 

Il dire male degli altri è dispersione di energia e perciò riprovevole. Un ritardo per chi si reca al lavoro, una metropolitana che non rispetta le tabelle di marcia, ma anche  un impiegato che non risponde al telefono, un parcheggio non fornito ai cittadini, una toilette maleodorante, una piccola disfunzione del sistema e persino un conflitto sociale sono considerati disarmonici e sprechi di energia.
    
Si tratta di principi che religione, etica e buone maniere condannano, perché rappresentano un male da cui bisogna guardarsi per evitare una dannosa entropia sociale.
  
Il Giappone che si è aperto all’occidente poco più di un secolo fa non ha conosciuto la rivoluzione francese, ma da sempre ha stabilito che rispetto della gerarchia e ordine sono il modo migliore per non sprecare energia. 

Un posto per ogni cosa,  ogni cosa al suo posto. Dunque, rispetto per tutto ciò che ci circonda, e benevolenza (che è forma di rispetto) nei confronti del prossimo. 

L’etica giapponese si sviluppa su una interfaccia speculare. Ai doveri del cittadino, corrispondono obblighi inderogabili da parte di chi gestisce la cosa pubblica o dirige una azienda. 

Un superiore può indicare la retta via al subordinato che sbaglia, ma si scuserà per averlo ripreso. Nessuno ha il diritto di rimproverare un suo simile. 

In Giappone la burocrazia non è invasiva. Il sadismo burocratico è veleno, e ogni abuso di autorità provoca imperdonabile perdita di energia per il cittadino, per l’azienda e per la società.    

Ci si chiede se, con automobili e apparecchiature digitali, non dovrebbe essere importato in occidente anche un po' del modello etico giapponese. Forse è solo questione di tempo!

                 Gino Carbonaro