Preti in Sicilia e bambini abbandonati
I Siciliani non avevano un buon rapporto con
i preti. Il che giustifica la notevole quantità di proverbi che ne dicono male.
Ai primi dell’800, secondo la testimonianza dell’abate Paolo Balsamo, [1]
il rapporto dei preti in Sicilia era di 1,8 per ogni cento abitanti: quasi
cento preti ogni seimila anime. Considerato il potenziale economico della Manomorta
[2] e le
ristrettezze dell’epoca (300
mendicanti per i 6000
abitanti di Chiaramonte Gulfi) potersi
fare prete era, per i tempi, come una vincita al lotto. Se si tiene conto che
l’economia era fondata sull’agricoltura e che il 90% degli
uomini lavorava in campagna e tornava a casa il sabato sera, mentre i preti restavano
in città, e le donne erano senza marito, si può spiegare quanto abbiamo detto
sopra. Chi scrive, ricorda che quando era piccolo, erano non pochi i mariti che progettavano di
bastonare preti. Si trattava di sacerdoti che avevano il vezzo di disturbare le
donne o che passavano per “dongiovanni”.
Nel medioevo i figli dei Papi si chiamavano
nipoti. A Scicli i figli illegittimi abbandonati venivano portati alla ruota
degli orfanotrofi. Ognuno di questi trovatelli veniva registrato
con il nome di Trovato a Scicli, Esposito a Napoli,
Projetto a Roma, Novello o Novelli a Padova. Erano nati i cognomi!
[1] Paolo
Balsamo, Giornale del viaggio fatto in Sicilia e particolarmente nella
Contea di Modica, Rotary Club, 1969
[2] Manomorta:
sono così definiti i beni immobili della Chiesa
di una volta. La denominazione derivava dal fatto che la Chiesa prendeva donazioni e
lasciti con una mano (la destra), ma non rivendeva, non redistribuiva i
beni che finivano di esistere per gli altri, anche per lo Stato, dal momento
che detti beni erano esenti da imposte. Per questo una mano (la sinistra) era
“morta”.
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