Canto dell'Hybla
di Giorgio Occhipinti
presenta Gino Carbonaro
Centro
Studi Feliciano Rossitto
25
marzo 2017, ore 18,00
Apertura
Un
cordiale saluto a voi tutti amici carissimi e un grazie anche da parte mia per
essere venuti a questo appuntamento con la poesia di Giorgio Occhipinti, per il
battesimo della sua terza fatica letteraria, dell’opera “Canto dell’Hybla”.
Un
grazie ancora al “Centro Studi Feliciano Rossitto” che è ormai considerato da
tutti il Tempio della Cultura di questi nostri Iblei. Un grazie al
Presidente on. Giorgio Chessari e ai suoi collaboratori, Ornella Cappello e
Pippo Antoci, per avere dato a tutti noi la possibilità di incontrarci,
di discutere, di creare Arte, Cultura, Poesia, Teatro, Musica, e in
una parola, crescere, in quei campi che gli antichi Greci avevano dedicato alle
Muse, alla filosofia e alla politica.
Questa
sera è il momento di Giorgio Occhipinti, scrittore e poeta che non è alla
sua prima esperienza letteraria. Sappiamo, difatti, che nel 2005 ha pubblicato
la “Cava della gazza”, che è stato portato in scena dal regista Giorgio
Sparacino, mentre nel 2014 ha pubblicato “Spatulidda, il narratore della
gemma iblea”.
Si
tratta di opere che già dai titoli lasciano capire che tutta la ispirazione dei
lavori del nostro Giorgio Occhipinti nasce dalla nostra Terra, cioè dagli
Iblei. La “gazza”, è
l’uccello “più” presente in queste nostre colline, il “più” invadente, più
“arrogante”, più dotato di sicumera.
Nella sua
seconda opera protagonista diventa la “Spatulidda”, il nostro gladiolo
selvatico, bellissimo, che nasce spontaneo e abbellisce le nostre cave proprio
in questo periodo..
Con le
due opere precedenti Occhipinti connota la nostra terra, gli Iblei, con
elementi che li caratterizzano, rilevando una sostanziale diversa identità con
il resto della Sicilia.
Nel
presentare il libro, mi sembra atto dovuto fare gli elogi al pittore, Armando Sparacino per la delicata
copertina e i deliziosi disegni che corredano il libro.
Per il resto un mio amico suggeriva tempo
fa che la cosa migliore per iniziare a presentare un libro è quella di
partire dal titolo:
“Il canto
dell’Hybla”
Sembra
giunto stasera il momento di chiarire cosa vuol dire “Hybla” per noi e cosa
vuol dire per l’Autore del libro.
Prima dei Greci questa parte della Sicilia
era abitata dai Siculi. Un re siculo si chiamava Hyblon, la città dove
regnava questo re si chiamava Hybla. I monti che appartenevano a questo re
erano detti monti Iblei.
All’arrivo
dei Greci che sottomisero i Siculi ci furono tre città chiamate Hybla: Hybla
major, Hybla minor e Hybla parva, la piccola. La più grande (“mega”
per i Greci) fu definita Mégara, la minore fu chiamata Hybla Erèa,
la piccola Hybla della quale si sconosce il sito …
Il
nome “Ibla” per la nostra Ibla è nato a tavolino, forse al Circolo di
Conversazione di Ibla. Dopo il terremoto del 1693, i ragusani si spostarono in
alto e quella chiamarono “Ragusa Superiore”, difatti era più in alto di Ragusa
“Inferiore”. Questo senso di inferiorità attribuito alla nobiltà che
continuò a vivere nella città bassa, non poteva essere digerito dagli abitanti
di Ragusa che pensarono bene di cambiare il nome. Nobili erano gli abitanti di
Ragusa Inferiore e nobile doveva essere il nome della loro città: Ibla aveva
buoni antenati.
Ma,
tornando alla storia va detto che i Greci, che portarono qui la loro cultura,
rilevarono la bellezza dei monti Iblei coperti di querce, soprattutto nelle
valli, e registrarono la bellezza del manto di fiori che copriva le colline
calcaree a primavera e nutriva api che davano il miele divino, cibo degli dei,
si disse. E, sempre i greci, si dissero
convinti che la regione era abitata da divinità. E dissero che la Ninfa dei
boschi che abitava gli Iblei si chiamava Hybla. E siamo al punto: il “Canto
dell’Hybla”, non è il canto di
Ibla-città, ma il canto di Hybla-ninfa dei boschi.
Giorgio
Occhipinti è con questa dea che dialoga e di cui si fa voce. Ed è alla Grecia e
ai suoi miti che fa continuo riferimento questo libro.
E però, questa
apertura non deve portarci fuori strada. Certamente quello che fa da base a
questa poesia è il grande amore che Giorgio Occhipinti ha per la sua terra, per
il passato, per le tradizioni, per la Grecia e per i suoi miti, e per un poeta
greco soprattutto che il Pindaro dalla poesia corale con i suoi voli
pindarici.
E
siamo alla mitologia greca che ci dice come noi siamo tuttora partecipi di
quella cultura (greca) e di quella mitologia che la linguistica ci
ricorda.
Basti
pensare a toponimi come Acreide (detto di Palazzolo) dove “Acròs”
vuol dire “estremità”, dunque città che segna il confine dello Stato di
Siracusa. Basti pensare a “Pantalica”, termine greco che deriva da “Panta”
che vuol dire “tutto” e “Lykòs” che vuol dire “lupi”, dunque “Tuttolupi”,
e ancora “Lycodia”, termine composto da “Lykos” = Lupo + Oidé =
canto. Dunque “Canto dei lupi”, luogo dove si seniva l’ululato dei
Lupi. Sono termini che in linguistica segnano la connotazione di una presenza
greca.
Ma
anche il nome Fidone è greco.. Essendo il re che regnava in un’isola che
Ulisse visitò due volte, per non dire che un altro re, Fidone, fu colui che in
Grecia introdusse la moneta metallica. E noi in questa parte della Sicilia
siamo pieni di Fidone.
Giorgio
Occhipinti, sente in modo viscerale che questa terra ha qualcosa di greco, e
qualcosa di divino che non è stato né può essere cancellato, e modula la sua
poesia dialogando con la Ninfa Hyblea, divinità che è donna.
Così,
le sue composizioni, quelle che definiscono il titolo del libro potrebbero
trasformarsi in egloghe di virgiliana memoria. In piccolo, questo libro di
poesie potrebbero essere considerate una sorta di Bucolicum carmen.
Perché in molte parti la ispirazione, con il suo riferimento alla natura, è
bucolica.
Mito e Natura, Vita, Bellezza, Poesia
che
sono un tutt’uno.
Natura che è cielo,
… natura che è mare,
sabbia del mare, roccia bianca calcarea dei nostri monti.
Natura che è divinità che si offre in
tutta la sua bellezza con le sue
… albe argentate e con le sue
aurore dorate.
Natura che è dea che
ritrovi nei tramonti infuocati.
Natura che è vita, che è alimentata dal sole che bacia le acque
del mare, Natura che comprende la sessualità, l’amore, il candore, il pudore.
Natura dalla quale, come un fiore, germoglia il mito.
Hybla, è la terra dei fiori che
nutre le api, natura che contiene la femminilità,
la donna con la quale l’uomo dà senso al suo esistere.
Filosofia
C’è
in questo libro “Hybla” tutta la filosofia di un uomo (l’Autore), che deve dare
senso alla sua vita e sente che la vita in tutte le sue espressioni ha un
alcunché di divino, e per questo va vissuta e rispettata.
Hybla che è anche la
Terra del Sole, un Eden
dove vivevano i primi
abitanti degli Iblei. Eden perché i monti Iblei erano ricchi di
possibilità di vita. Le acque soprattutto, quindi i boschi con tutti gli
animali che in essi vivono, e poi ancora i ripari sottoroccia e le grotte.
Qui i Greci sentivano la vita, e sentono
che in quella che poi fu chiamata macchia mediterranea dovevano vivere delle
divinità, Priapo, Pan, Dioniso, e soprattutto le Ninfe, dee dell’amore,
divinità floreali, le Driadi divinità forestali che vivevano nelle
foreste di querce.
I protagonisti
del libro che stiamo per presentare sono
così Hybla, la Donna, la Driade ninfa, il Mito, la
Natura, il Poeta. Protagonisti che si intrecciano,
dialogano, si sovrappongono continuamente con una serie di
Voli pindarici,
proprio di chi sente che il mondo in cui
vive non è il suo vero mondo. Così, il poeta vola in un mondo altro, diverso e
migliore.
Questa
era la condizione psicologica del grande poeta greco Pindaro, che
poetava facendo riferimenti alla realtà in cui viveva, per volare in una realtà altra e diversa, sognata e
desiderata.
Questo
è quello che si registra in questa opera del nostro poeta. Lo scopo di questo
volare è quello di
allontanarsi dal mondo in cui
viviamo
che lui non accetta,
selezionando solo ciò che è bello: i miti, per esempio e certa storia del
nostro passato, vera o fantastica non importa, per farsi accogliere e cullare
da quelle meraviglie che lui considera doni della Natura: albe, tramonti,
contatti con la sabbia del mare che accarezza la carne, contatti offerte dal
Sole che bacia le acque del mare e illumina e scopre i colori, che filtra tra
le foglie (che i Greci chiamavano Calipso), in una esplosione di
vita e di bellezza. Ma, per chi scrive è pure il trionfo della fantasia e del
sogno di una dimensione di libertà.
Sotto questo aspetto, il poeta
sembra parlare spesso in
nume
et enigmate,
vate-cantore
che racconta a volo
d’uccello quello che gli suggerisce la fantasia e il sogno, mentre
compie il suo viaggio quasi in
trance
nel tempo e nel passato,
che
Giorgio Occhipinti considera come sacro custode dei valori, e per questo lo
autorizzano ad usare parole arcaiche ed arcane, con versi da
“trobar-clus”,
tipico dei poeti
della lingua d’oc.
Così,
vien fuori che le chiavi di lettura del libro sono tante, e le
interpretazioni libere.
Dialogo
- monologo
Una ninfa (dal greco antico νύμφη-giovane fanciulla, in lingua latina Nymphe), in mitologia greca e nella mitologia latina è una divinità minore naturale di genere femminile,
generalmente associata ad un particolar luogo o morfologia. Diversamente dalla altre figure divine, le ninfe sono
considerati spiriti animanti l'ambiente naturale e di solito sono raffigurate
come belle e giovani nubili fanciulle, che amano danzare e cantare; la loro
caratteristica libertà amorosa le distingue inoltre dalle mogli e figlie delle
ristette caste delle polis greche.
Esse sono amate da molti ed abitano
nelle regioni di montagna o nel folto all'interno delle foreste, ma se ne
trovano anche attorno ai laghi, presso i corsi d'acqua, nei mari e nell'oceano.
Le ninfe acquatiche e quelle celesti erano immortali, mentre le altre potevano
morire di vecchiaia o essere colte dall'orrendo status di vecchiaia, o
avrebbero potuto essere grate ad una morte incombente avvenuta in varie forme:
l'esempio di Scilla e Cariddi è
esemplare, in quanto una volta entrambe erano delle ninfe.
Altre ninfe, sempre a forma di
fanciulle, facevano parte spesso del corteo di un dio, come Dioniso, Hermes o Pan, o di una dea, in genere
la cacciatrice Artemide[1]. La
mitologia
greca annovera molte ninfe, il cui aspetto di bellissime fanciulle
eternamente giovani attirava molti uomini mortali ed eroi. Vi è un'ampia
varietà di miti su di esse; questi racconti le associano spesso ai satiri, di
cui erano il frequente bersaglio e da cui proviene il nome dato alla tendenza
sessuale della ninfomania.