Il ponte di Genova
Michele Giardina
Pozzallo 16 gennaio 2019
Premessa: Il 28 gennaio 1986 alle ore 11,36 uno shuttle spaziale esplodeva pochi minuti dopo essere partito. La navicella spaziale imbarcava 5 uomini e 2 donne di equipaggio. Da Terra gli osservatori shoccati non credevano ai propri occhi. Una sociologa che aveva osservato la tragedia commentò: la tragedia che abbiamo appena notato riflette il disordine che esiste nei laboratori che hanno progettato e costruito lo shuttle. Ed era l'epigrafe che si poteva apporre sulla tomba di quei piloti sacrificati qualora ci fosse stata una tomba. La considerazione fatta dalla ignota sociologa sulla tragedia dello shuttle americano si adatta perfettamente alla tragedia del Ponte di Genova. La causa della tragedia è da ricercare in un disordine che caratterizza la vita sociale italiana.
Un mese fa,
il nostro Michele Giardina aveva appena finito di presentare il suo ultimo libro
“Mal di mare”
quando, mi telefona per comunicarmi che aveva finito
di scrivere un altro libro, e che lo avrebbe pubblicato entro gennaio del 2019. Si
trattava di un dossier, titolato
“Il ponte di Genova”,
considerazioni sul “Ponte Morandi”
crollato il 14 agosto 2018. Disastro storico, che ha
fatto registrare 43 morti, centinaia di feriti, danni per miliardi e disagi
incredibili alla città di Genova.
A questo
punto, le mie considerazioni personali:
1.
La prima
riflessione discendeva dalla relativa “prolificità” letteraria di questo scrittore., il quale mi fa leggere un suo libro con cui si chiude l’anno 2018, e ne ha già pronto un altro per il 2019.
Io che qualche libro ho scritto, so che "un libro è un
libro".
Un libro è come un ponte, per costruirlo ci vuole tempo, studio, materiale,
attenzione, professionalità.
Insomma, mi sono sorpreso, non poco, ma,
siccome conosco il Michele Giardina scrittore, ho pensato che si potesse
trattare del canto del Cigno.
Tchaikovsky ne ha fatto un capolavoro.
2.
La seconda
considerazione che però ho tenuto dentro di me, è stata quella di credere che questo
tema (un ponte che crolla) non può
interessare granché un lettore. Dunque,
un tema caro solo al sentire del giornalista, anche se le vere notizie sono sempre
legate a una grande sventura: tsunami, terremoti e altro.
Comunque, tenni per me le considerazioni,
e ricevuto il libro che il mio amico mi inoltrò in pdf, cominciai a leggerlo. Ma, mi accorsi
quasi subito che mi sbagliavo. Perché? Mano a mano che andavo leggendo sentivo
come un senso di vergogna. Mi accorgevo che l’argomento, importantissimo, era
un tema che io tentavo di rimuovere. Difatti, queste notizie non belle entrano
dentro di noi e scompigliano i meccanismi di difesa che il nostro inconscio
crea attorno a noi per proteggere la nostra serenità.
Gli eventi, tragici, sono come
terremoti sociali e mentali, difficili da decifrare, che fanno male alla
psiche. Sono terremoti sociali che subito si trasformano in terremoti mentali,
psicologici, perché nessuno vuole ascoltare di
disastri e sapere delle digrazie altrui. Insomma, di fronte alle cose
che fanno male, cerchiamo di difenderci con la tecnica dello struzzo.
Ma, a leggere il libro di Michele Giardina, non è
possibile fare gli struzzi. Lo scrittore ti acchiappa e ti costringe:
a.
A leggere i
fatti,
b.
poi a riflettere,
pensare, e trarre le necessarie considerazioni, dunque
c.
a meditare.
Di fronte a
questi eventi, la prima domanda che ognuno di noi si pone è ..
· Ma come è
potuto accadere?
· Ma, non ci
sono persone che controllano?
· E non c’è
nessuno che controlla i controllori?
· Ma, chi
gestisce il pacchetto delle autostrade?
Ma, può accadere? che una famiglia (una qualsiasi famiglia di questo mondo)
decide di andare al mare il giorno prima di ferragosto, il 14 agosto, in piena
estate, per fare prendere un po’ di sole ai bambini e far respirare un po’ di
aria iodata alla moglie, carica la macchina con ombrellone e altro, mette in
moto, parte felice, entra in autostrada fermandosi prima per pagare il
pedaggio, e dopo un poco si vede volare come un uccello per capire, senza
averne colpa, come è l’inferno, prima di lasciare questa triste realtà, e
giungere con tutta la famiglia nell’altro mondo.
Ma, dove
sono i responsabili, dove erano prima, in piena estate? Al mare? In vacanza? in
Italia, all’estero, sotto gli ombrelloni? Nelle loro ville di lusso, a pranzo
con il loro esercito di avvocati? Serviti da un altrettanto nutrito esercito di
camerieri?
A questo
punto nello scrittore Michele Giardina si sveglia il giornalista di razza (l’Uomo!) colui che per anni, giorno
dopo giorno, ha potuto constatare sul
campo tutto ciò che in questa società ha bisogno di essere rilevato e corretto.
Tutto ciò che non va.
La sua voce
di giornalista è stata sempre come un ruscello di acqua che scende impetuoso dalle
montagne, ma adesso, di fronte a questo evento che è terremoto sociale, di
fronte a un fiume che tracima, la notizia ha bisogno di un fiume o anche di un oceano di parole. Di un libro intero! Di un dossier che deve mettersi agli atti
della storia, perché non si dimentichi. Ci accorgiamo tutt’ad un tratto di
trovarci davanti a un libro di sociologia, di politica, di etica tradita, ma
anche di giornalismo puro, e anche di filosofia, quando lo scrittore ci fa
porre la domanda..
Ma, in che mondo viviamo?
Insomma, “Il
ponte di Genova” si rivela essere un libro con la “Elle” maiuscola, un libro
che è un
J’accuse
che parla di malcostume, di responsabilità, di possibili
connivenze, di poteri occulti, di assassini (perché
di omicidi si tratta per i 43 morti coinvolti nel crollo di un ponte) di
colletti bianchi (intoccabili), di
superficialità (imperdonabole), di
burocrazia (insensibile), di menefreghismi,
di manciugghia, cancrena, di incurabile cancro sociale, di amministrazione
pubblica che esiste, ma non esiste, che invece di risolvere i problemi, (perché questo è il suo compito
istituzionale) è lei a rappresentare
il vero problema di una società malata, che nessuno riesce a curare.
Burocrati (o burosauri) potenti,
inattaccabili, dal potere immenso.
Insomma,
questo ultimo libro di Michele Giardina si
configura come Testamento di chi, dopo anni di lavoro sociale, come
giornalista, torna a fotografare una realtà che non cambia, che ruota su se
stessa.
E pone l’ipotesi allarmante che
il
Ponte Morandi
possa essere il simbolo di una Italia malata.
Ponte attaccato dall’ossido di ferro e dalla Burocrazia anch’essa ossidata, inamovibile,
pachidermica, anchilosata, che non ha fretta, che, non controllata da nessuno, dimentica
i suoi doveri e li rimanda. E scopre il nostro scrittore che tutto in Italia e
nella società, tutto è ponte, e il ponte è pur sempre un patto sociale che non
deve mai dissaldarsi e peggio che mai, crollare. Un ponte unisce. Invece, il
nostro Michele, elenca, a decine, le metafore di ponte crollati perché dissaldati nella loro struttura, a partire
dalla tragedia del Vajont, Longarone, disastro mostruoso, con 1910 vittime,
assassinate dalla superficialità e dagli interessi di irresponsabili personaggi
che sono sfuggiti alla punizione. E ricorda la tragedia del Moby Prince. Due
navi che si investono perché, messo il pilota automatico, i responsabili della
nave (imperdonabile superficialità) erano andati nel salone della nave per godersi
la partita di calcio trasmessa in televisione. I passeggeri? Arsi vivi.
Responsabilità? Nessuna responsabilità! “C’era la nebbia e le navi non si
vedevano”. Ma, la vera la nebbia è quella che “qualcuno” vuole infilare nel
nostro cervello per non farci vedere.
Sono
notizie, quelle che Michele Giardina elenca, notizie crude, che fanno male e
costringono a dire:
Ma, in che mondo viviamo?
Interrogativi che si allargano a macchia d’olio.
A questo punto il libro non interessa solo la sociologia
o la politica, ma diventa, come si è detto, un libro di filosofia, in quanto si
pone delle domande che attendono delle risposte.
La prima considerazione che fa Michele Giardina è la seguente:
Le società poggiano sulla morale.
Anzi, tutto poggia sulla morale. Anche la religione. La
famiglia, l’umanità tutta. E tutto dentro ognuno di noi deve poggiare su un
solido programma morale.
Senza etica non esiste società,
esiste un aggregato umano che non ha obiettivi sociali, ma egoismi.
Anche questo
libro nasce da una esigenza: dal bisogno di supportare
la morale sociale spesso ferita.
Ed elenca, il nostro Michele Giardina, una serie di
uomini che investono parte dei loro profitti per
donazioni. Perché anche il capitalismo deve avere una sua etica.
Etica del
Capitalismo
Si tratta di
grandi capitani di industria del passato e del presente.
Si tratta di grandi
filantropi.
Qualcuno potrebbe ricordare anche Schweizer, e lo stesso Nobel, ma
il nostro Michele Giardina preferisce citare giustamente il mitico Andrew
Carnegie, (Dunfermline,
Scozia 1835 – Lenox, Massachussets, Stati
Uniti, 1919) il primo storico
filantropo, naturalizzato americano, il 5° uomo più ricco del mondo uno degli
uomini più ricchi del mondo, che sovvenzionò fondò Università, Biblioteche, e
regalò alla umanità Musei, Parchi. Carnegie!
Colui che sosteneva che non si può diventare ricchi senza arricchire gli altri. E, il riferimento era fatto ad Adamo Smith,
il primo grande storico ed economista,
altro scozzese.
E poi, Bill
Gates (1955) fondatore della Microsoft, il quale sostiene che un sistema sociale
deve avere un forte senso dell’etica, e dona per questo e da anni, miliardi di
dollari a organizzazioni umanitarie.
Lo stesso vale per Armando Ortega, il proprietario di
Zara, e Mark Zuckeberg proprietario di
FB, e così via, a dimostrare che è possibile far convivere gli utili e la
morale. Solo in questo caso la gioia del costruire è vera e totale.
Le mie
impressioni sul Libro. Cosa mi ha dato?
Il libro mi ha fatto pensare. Ed è il più grande
riconoscimento alla grandezza di un libro. Un libro deve far pensare. Non aggiungo altro.