L’uomo, lo specchio, il ritratto
Immagini. Le percezioni che abbiamo di uomini, animali e cose sono immagini che la mente valuta. Ciò che è bello attira, ciò che è brutto viene rimosso. La giovinezza attrae, la vecchiaia è temuta. Tutto al mondo è fatto all’insegna del bello e dell’armonia. Tutti cerchiamo di mostrarci giovani e piacenti. E, pur sapendo che l’apparenza inganna, siamo portati a valutare positivamente ciò che è ammaliante e gradevole a guardarsi.
Da qui, l’uso di abiti firmati, di auto che promettono piste fuori strada, adozione di atteggiamenti che simulano ricchezza, charme, potere, sesso. Tutto per far credere agli altri che noi siamo diversi e migliori. Si pensi a cosa fanno i fiori (colori, profumi, forme) per attirare insetti impollinatori.
Lentamente, finiamo per confondere forma e sostanza, l’apparenza con l’essere. Ed è legge di questi tempi adottare il principio pseudo-cartesiano del “Sembro, dunque sono!” E ancora, “Io sono quello che gli altri pensano di me”.
I Romani erano informati sul rischio che si corre nell’affidarsi alle apparenze. Virgilio avvertiva: “Nimium crede colori”, non credere a titoli, esteriorità, colori, e faceva riferimento alle amanitae falloides, funghi belli e.. mortali. Fedro scriveva: “Barba non facit philosophum”, che traduciamo “L’abito non fa il monaco”.
Sono molte le cose false che hanno sembianze di vere. Molte le maschere con le quali appare-e-si-nasconde la realtà. Fortuna è per noi che nessuno può portare a lungo il travestimento, e tolta la pellicola esterna, scopriamo la vera natura di uomini e cose.
Lo strumento per verificare la nostra (vera o falsa) identità è lo specchio, che consultiamo al mattino, e quando è possibile a tutte le ore della giornata, per verificare “de visu” a che punto è l’icona con la quale ci presentiamo agli altri. Ed è lì, allo specchio, che intercettiamo rughe e capelli grigi che ci affrettiamo a camuffare. Da qui vanità, boria e arroganza. Il vuoto che si fa sostanza.
In tutto simile allo specchio è il ritratto fotografico. Mezzo che blocca l’attimo fuggente, e fissa l’immagine da noi preferita, quella che (si spera) non verrà attaccata dai guasti del tempo. Ed è documento assoluto, il ritratto, quasi verità di per sé evidente che congela l’immagine che noi vogliamo conservare nel ricordo.
Anche qui, le foto belle vengono conservate per essere inviate al futuro, ai posteri, mentre le foto brutte vengono cestinate. L’assurdo della foto-ritratto sta nel fatto che la realtà, sempre in continuo mutamento, viene congelata in una immagine bloccata in millesimi di secondo dalla velocità dello scatto di una macchina fotografica.
Il “narciso” che è in noi è appagato. L’immagine, che riflette la realtà che muta, è sottratta al tempo. Solo l’immagine è vera. Tutto il resto? Aleatorio!
Gino Carbonaro