La mia fisarmonica
Una dichiarazione d'amore
Da quando avevo 12 anni, la fisarmonica è stata la mia compagna, il conforto della mia vita.
Non è facile dire cosa abbia di diverso da tutti gli altri strumenti, ma quando apri il mantice e lo metti in tensione per esprimere il suono, ti accorgi che la fisarmonica ha un'anima.
Quel mantice è il polmone di uno strumento che respira, strumento che è vivo, a cui tu affidi i tuoi sentimenti, le tue sensazioni.
Parlo di mantice, perché la vita della fisarmonica (come quella degli umani) è data dal respiro, cioè dai polmoni, ed è nella pressione di questo polmone artificiale, nella delicata modularità del suono, che tu puoi entrare in contatto con le parti più profonde e meno conosciute di te stesso.
La fisarmonica è strumento che soffre, che piange, che sorride, strumento che ti prende e ti trasporta in un mondo altro.
Non è facile dire cosa abbia di diverso da tutti gli altri strumenti, ma quando apri il mantice e lo metti in tensione per esprimere il suono, ti accorgi che la fisarmonica ha un'anima.
Quel mantice è il polmone di uno strumento che respira, strumento che è vivo, a cui tu affidi i tuoi sentimenti, le tue sensazioni.
Parlo di mantice, perché la vita della fisarmonica (come quella degli umani) è data dal respiro, cioè dai polmoni, ed è nella pressione di questo polmone artificiale, nella delicata modularità del suono, che tu puoi entrare in contatto con le parti più profonde e meno conosciute di te stesso.
La fisarmonica è strumento che soffre, che piange, che sorride, strumento che ti prende e ti trasporta in un mondo altro.
Per anni, cosa da non credere, per anni ho ritenuto che la fisarmonica fosse lo strumento dei mendicanti, dei poveri, strumento che aveva alcunché di buffo con quel suo aprirsi e chiudersi in modo strano, strumento che tutti ritenevano come un nato illegittimo nell'universo degli strumenti musicali.
Fisarmonica!? Anche il nome è strano. Difatti, cosa vuol dire questa parola? Per questo, gli addetti ai lavori (i musicisti professionisti) l'hanno sempre guardata con distacco, quasi con la puzza al naso. Come qualcosa che avrebbe potuto stimolare il singhiozzo o il vomito. Qualcosa da cui tenersi alla larga. Ed è proprio da quella prima percezione non-positiva o pregiudizio, che la fisarmonica non si è ancora liberata, ed io stesso, per decenni, mi sono ritenuto un "musicante" di bassa lega, proprio perché non avevo scelto di studiare arpa, violino, tromba, pianoforte, cioè, uno strumento nobile.
Poi, un giorno la illuminazione. Capii da solo che la fisarmonica era speciale per la delicatezza, finezza, morbidezza con cui mi consegnava i suoni. Era la fisarmonica la grande interprete dei Tanghi argentini, e cominciai ad abbracciare quel mio amore in modo diverso: il braccio sinistro si collegò meglio con la mia anima, e il rapporto, mentale e spirituale, cambiò, e finalmente venne la musica, quella vera. Questo credo di avere capito.
Poi, un giorno la illuminazione. Capii da solo che la fisarmonica era speciale per la delicatezza, finezza, morbidezza con cui mi consegnava i suoni. Era la fisarmonica la grande interprete dei Tanghi argentini, e cominciai ad abbracciare quel mio amore in modo diverso: il braccio sinistro si collegò meglio con la mia anima, e il rapporto, mentale e spirituale, cambiò, e finalmente venne la musica, quella vera. Questo credo di avere capito.
Mi sono accorto da solo, e dopo tanti anni, che lei, la Fisarmonica, era stata da sempre la mia fedele amica, e da allora la incontro quasi tutte le sere, la abbraccio con dolcezza per fare l'amore con lei. Poi vado a letto sereno.
ALTRE CONSIDERAZIONI
Una amica mi invita a riflettere sul mio rapporto con la Fisarmonica, cioè con la musica.
La mia personale impressione? È quella di ritenere che io ho un rapporto particolare
con il suono.
Un rapporto che per me ha tutte le connotazioni di una malattia. Quasi droga, quando non suono, di necessità, vado in astinenza.
Rapporto, che io considero un modo per cogliere la parte più profonda e
sconosciuta di me stesso.
Non c’è per me nulla di più bello del suono che viene fuori dalla mia fisarmonica. Tu crei la frase musicale, la produci, la consegni allo spazio, all’aria, a chi ascolta è colui che si predispone a cogliere il messaggio (non-verbale) dei suoni.
Basti pensare che mai ho voluto interpretare "Les feuilles mortes" e "Ne me quitte pas" a coloro che solitamente sono distratti. La mia musica? Per me ha qualcosa di sacro. Dunque la rispetto. Comunque, adesso vado a suonare, e pongo l’ipotesi che anche tu che leggi mi stia ascoltando.
Musica? Ponte d'amore che lega due persone, due anime, e annulla le distanze. La musica è la vera religione. È il linguaggio dell’uomo nel suo non lungo viaggio in questo universo.
Gino Carbonaro
Come è nato il mio rapporto con la musica e dopo con la fisarmonica?
Il primo contatto con la musica? Un giradischi, anzi un grammofono, che mio padre aveva acquistato prima di partire per la guerra. Era musica in casa. Bastava montare un disco di vinile 78 giri, marca "La voce del padrone", quindi girare varie volte una manovella per mettere il moto il piatto, e piano piano da una sorta di trombone veniva fuori la voce del padrone, la registrazione di una canzone.
C'erano canti, musica e quant'altro nei dischi di corredo al grammofono. E io? Ascoltavo e vivevo la musica. Un giorno, però, venne nello studio un violinista, voleva farsi riprendere (lui e il violino) per ricordo. Mia madre colse l'occasione per scattare una fotografia anche a me, bambino di pochi anni. Va detto ancora che mio padre, grande amante della musica, si era fatta scattare una foto con una fisarmonica. Era una bella foto, mantice aperto, mio padre sorridente, ed era foto che io guardavo spesso, anche perché era incorniciata ed esposta sul tavolo dove facevo i compiti. Ma non basta. C'era, a pochi metri dalla mia/nostra casa di Via Mormino Penna n. 48 a Scicli, la Chiesa di Santa Teresa, chiusa, ma non sconsacrata, la cui chiave era in possesso di Donna Peppa, la vecchietta che mi adorava. Spesso apriva la Chiesa per qualche motivo, e allora, noi bambini che giocavamo fuori, entravamo incuriositi. Donna Peppa ci lasciava fare e noi ci divertivamo a salire la scala a chiocciola per arrivare nel campanile, senza avere la autorizzazione a suonare le campane. Però, a metà della scaletta serpeggiante, che ci portava verso la cupola, dormicchiava, impassibile, coperto di polvere, ragnatele, e cacatine di gechi e di topi, un organo. Quello sì, si poteva suonare, e Pinuccio, il mio amico del cuore e io provavamo a farlo suonare. Pinuccio pompava l'argano e io come per suonare battevo i tasti coperti di polvere e ragnatele, mentre il suono veniva fuori miagolando, e insieme gustavamo la magia di quel suono strumentale e strano. Non era musica, ma era intervento di bambini su qualcosa di sconosciuto. Una gioia, un divertimento. Una esperienza indicibile quel suono con cui parlava a noi uno strumento con il suo linguaggio sconosciuto.
Abitava nei dintorni della mia casa una famiglia di mendicanti che tutte le mattine passava nella piazzetta antistante la Chiesa di Santa Teresa. La cosa curiosa? La prima ad apparire seduta su un piccolo carro trainato da una cane bianco peloso e sporco era la matriarca, una donna senza gambe seduta su un carrettino, che procedeva tenendo in mano le redini che giungevano sulla bocca del cane. Subito dopo seguiva un vecchio, certamente il marito, e ancora dopo il giovane figlio barcollante, filiforme, una sorta di asparago umano, che abbracciava e faceva gracchiare una piccolissima fisarmonica, che stava quasi incollata al petto. Il ricordo di quello strumento rimase scolpito nella mia memoria.
Erano i primi degli anni Quaranta. All'epoca mio padre era in guerra, ma la sorpresa per me fu quando tornando dalla guerra, il mio genitore portò con sé a braccio un piccolo mobiletto di legno che io non avevo mai visto e che imparai a chiamare Radio. Radio che fu sistemata sul comodino accanto al letto e fu collegata con una serie di fili di metallo a loro volta agganciati nei tubi dell'acqua, che servivano come antenne per ricevere meglio le "onde" sonore. Fu per mezzo di questa radiolina che per la prima volta ascoltai la musica interpretata e trasmessa da chissà chi. Per me quell'ascolto fu un miracolo, una novità, una cosa bella. Credo di avere ascoltato anche una bellissima canzone della zona balcanica. Così decisi di pensare dopo tanti anni.
Sempre parlando di musica e canti, devo aggiungere che la mia stanza da letto aveva una piccola finestra che si apriva sulla strada principale (era la via Mormino Penna al n. 48) dove in piena notte passavano i carri, mentre i carrettieri cantavano le struggenti canzoni siciliane. Io ascoltavo la musica, il canto, senza capire le parole. Però, quando per caso mi svegliavo e mi facevo accarezzare l'animo da quei canti, le mie guance si rigavano di lacrime. Ritengo sia avvenuto così l'imprinting musicale su di me bambino.
Difatti, in seguito, la musica popolare siciliana diventò la mia musica.
Storia del Tamburo (manca)
A questa premessa va aggiunto ancora questo. Quando avevo poco più di 11 anni (ora da Scicli, mio padre si era trasferito a Modica), tutti i lunedì si presentava nello studio un giovane barbiere per consegnare un rullino di negativi , che ritirava stampati il lunedì successivo, quando consegnava un altro rullino. Dalle foto che ritirava, si capiva che oltre che barbiere era un fisarmonicista. Fisarmonica che io conoscevo per averla vista a mio padre (nella foto) e al mendicante che tutte le mattine passava da Via Mormino Penna.
All'improvviso, senza capire da dove mi fosse venuto, io, poco più alto di un metro e venti, avvicinai le mie mani al suo braccio, gli tirai la camicia, e mentre si girava per guardarmi gli chiesi se aveva intenzione di insegnarmi la fisarmonica. Gino Livia (si chiamava così) mi guardò dall'alto in basso, fece i suoi calcoli, e mi rispose: "Sì!" ... e procuratosi un foglio di carta scrisse il nome del libro che avrei dovuto studiare. Si chiamava "Bona", un classico libro di solfeggio. La lezione sarebbe cominciata il lunedì successivo.
Da quel momento (e per sei mesi) fu solo solfeggio: semibreve, minima, croma, biscroma, semibiscroma: una sofferenza inaudita per me che, studente di scuola media, in una scuola complicata e crudele, non trovavo il tempo per studiare. Difatti non fui mai bravo nel solfeggio e lo feci inalberare spesso, e non poco. Però, fu questa la partenza. In ogni caso, quando il destino volle, il Maestro decise finalmente di cominciare lo studio della fisarmonica e ne fu acquistata una con i tasti ridotti, per dita di me bambino, e si partì con lo studio di uno strumento che da subito sentii come parte di me: tastiera e tasti a destra, bottoniera a sinistra, mantice al centro. Prime semplici composizioni.
Al cominciare, lo studio della fisarmonica, mi sentii respirare. Mi innamorai subito dello strumento e cominciai a studiare e impegnarmi con passione. Però, dopo altri otto mesi di studio di fisarmonica, il mio maestro decise si emigrare in Venezuela, a Buenos Ayres, per aprire lì un più redditizio salone di barbiere, e mi lasciò con quello che mi aveva insegnato. In verità non era poco, se da allora continuai da solo, senza maestro, da semplice autodidatta.
Col tempo, col tempo, ho scoperto tante cose dello strumento, e, forse, della fisarmonica ho capito altre cose, che il mio amato maestro non arrivò a insegnarmi.
Ora, che ne ho ottanta di anni, posso dire che la fisarmonica è stata la mia fedele compagna da più di mezzo secolo. Ora ho deciso! La porterò con me nell'aldilà, e suonerò sulle nuvole per rallegrare gli angeli. Spero solo che il sogno si possa realizzare.
Come è nato il mio rapporto con la musica e dopo con la fisarmonica?
Il primo contatto con la musica? Un giradischi, anzi un grammofono, che mio padre aveva acquistato prima di partire per la guerra. Era musica in casa. Bastava montare un disco di vinile 78 giri, marca "La voce del padrone", quindi girare varie volte una manovella per mettere il moto il piatto, e piano piano da una sorta di trombone veniva fuori la voce del padrone, la registrazione di una canzone.
C'erano canti, musica e quant'altro nei dischi di corredo al grammofono. E io? Ascoltavo e vivevo la musica. Un giorno, però, venne nello studio un violinista, voleva farsi riprendere (lui e il violino) per ricordo. Mia madre colse l'occasione per scattare una fotografia anche a me, bambino di pochi anni. Va detto ancora che mio padre, grande amante della musica, si era fatta scattare una foto con una fisarmonica. Era una bella foto, mantice aperto, mio padre sorridente, ed era foto che io guardavo spesso, anche perché era incorniciata ed esposta sul tavolo dove facevo i compiti. Ma non basta. C'era, a pochi metri dalla mia/nostra casa di Via Mormino Penna n. 48 a Scicli, la Chiesa di Santa Teresa, chiusa, ma non sconsacrata, la cui chiave era in possesso di Donna Peppa, la vecchietta che mi adorava. Spesso apriva la Chiesa per qualche motivo, e allora, noi bambini che giocavamo fuori, entravamo incuriositi. Donna Peppa ci lasciava fare e noi ci divertivamo a salire la scala a chiocciola per arrivare nel campanile, senza avere la autorizzazione a suonare le campane. Però, a metà della scaletta serpeggiante, che ci portava verso la cupola, dormicchiava, impassibile, coperto di polvere, ragnatele, e cacatine di gechi e di topi, un organo. Quello sì, si poteva suonare, e Pinuccio, il mio amico del cuore e io provavamo a farlo suonare. Pinuccio pompava l'argano e io come per suonare battevo i tasti coperti di polvere e ragnatele, mentre il suono veniva fuori miagolando, e insieme gustavamo la magia di quel suono strumentale e strano. Non era musica, ma era intervento di bambini su qualcosa di sconosciuto. Una gioia, un divertimento. Una esperienza indicibile quel suono con cui parlava a noi uno strumento con il suo linguaggio sconosciuto.
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Ma c'era un'altra storia con la musica. La racconto. Abitava nei dintorni della mia casa una famiglia di mendicanti che tutte le mattine passava nella piazzetta antistante la Chiesa di Santa Teresa. La cosa curiosa? La prima ad apparire seduta su un piccolo carro trainato da una cane bianco peloso e sporco era la matriarca, una donna senza gambe seduta su un carrettino, che procedeva tenendo in mano le redini che giungevano sulla bocca del cane. Subito dopo seguiva un vecchio, certamente il marito, e ancora dopo il giovane figlio barcollante, filiforme, una sorta di asparago umano, che abbracciava e faceva gracchiare una piccolissima fisarmonica, che stava quasi incollata al petto. Il ricordo di quello strumento rimase scolpito nella mia memoria.
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Altro rapporto con la musica
Altro rapporto con la musica
Sempre parlando di musica e canti, devo aggiungere che la mia stanza da letto aveva una piccola finestra che si apriva sulla strada principale (era la via Mormino Penna al n. 48) dove in piena notte passavano i carri, mentre i carrettieri cantavano le struggenti canzoni siciliane. Io ascoltavo la musica, il canto, senza capire le parole. Però, quando per caso mi svegliavo e mi facevo accarezzare l'animo da quei canti, le mie guance si rigavano di lacrime. Ritengo sia avvenuto così l'imprinting musicale su di me bambino.
Difatti, in seguito, la musica popolare siciliana diventò la mia musica.
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Tanto premesso, aggiungo ancora che il mio primo strumento musicale fu il tamburo. Storia del Tamburo (manca)
A questa premessa va aggiunto ancora questo. Quando avevo poco più di 11 anni (ora da Scicli, mio padre si era trasferito a Modica), tutti i lunedì si presentava nello studio un giovane barbiere per consegnare un rullino di negativi , che ritirava stampati il lunedì successivo, quando consegnava un altro rullino. Dalle foto che ritirava, si capiva che oltre che barbiere era un fisarmonicista. Fisarmonica che io conoscevo per averla vista a mio padre (nella foto) e al mendicante che tutte le mattine passava da Via Mormino Penna.
All'improvviso, senza capire da dove mi fosse venuto, io, poco più alto di un metro e venti, avvicinai le mie mani al suo braccio, gli tirai la camicia, e mentre si girava per guardarmi gli chiesi se aveva intenzione di insegnarmi la fisarmonica. Gino Livia (si chiamava così) mi guardò dall'alto in basso, fece i suoi calcoli, e mi rispose: "Sì!" ... e procuratosi un foglio di carta scrisse il nome del libro che avrei dovuto studiare. Si chiamava "Bona", un classico libro di solfeggio. La lezione sarebbe cominciata il lunedì successivo.
Da quel momento (e per sei mesi) fu solo solfeggio: semibreve, minima, croma, biscroma, semibiscroma: una sofferenza inaudita per me che, studente di scuola media, in una scuola complicata e crudele, non trovavo il tempo per studiare. Difatti non fui mai bravo nel solfeggio e lo feci inalberare spesso, e non poco. Però, fu questa la partenza. In ogni caso, quando il destino volle, il Maestro decise finalmente di cominciare lo studio della fisarmonica e ne fu acquistata una con i tasti ridotti, per dita di me bambino, e si partì con lo studio di uno strumento che da subito sentii come parte di me: tastiera e tasti a destra, bottoniera a sinistra, mantice al centro. Prime semplici composizioni.
Al cominciare, lo studio della fisarmonica, mi sentii respirare. Mi innamorai subito dello strumento e cominciai a studiare e impegnarmi con passione. Però, dopo altri otto mesi di studio di fisarmonica, il mio maestro decise si emigrare in Venezuela, a Buenos Ayres, per aprire lì un più redditizio salone di barbiere, e mi lasciò con quello che mi aveva insegnato. In verità non era poco, se da allora continuai da solo, senza maestro, da semplice autodidatta.
Col tempo, col tempo, ho scoperto tante cose dello strumento, e, forse, della fisarmonica ho capito altre cose, che il mio amato maestro non arrivò a insegnarmi.
Ora, che ne ho ottanta di anni, posso dire che la fisarmonica è stata la mia fedele compagna da più di mezzo secolo. Ora ho deciso! La porterò con me nell'aldilà, e suonerò sulle nuvole per rallegrare gli angeli. Spero solo che il sogno si possa realizzare.