Ipazia Alessandrina
Mondo Cattolico e Greco-romano
a confronto
Il vescovo Cirillo
e la purificazione dal Male
Lo scontro
Le
colpe di Ipazia
Ipazia,
era nata ad Alessandria d’Egitto nel 370 d.C. Era figlia di Teone (335-405),[1] matematico, fisico astronomo, e rettore del Muséion.
Ipazia, che pur essendo donna aveva seguito la strada del padre e gli studi
all’interno del Muséion, faceva notare ai cristiani della sua città che
Platone, Socrate e altri filosofi greci del passato avevano enunciato principi
etici sostanzialmente identici a quelli predicati da Gesù. Dunque, secondo lei,
era possibile trovare punti di contatto per una convivenza pacifica con le
altre comunità religiose di Alessandria d’Egitto. Lo scrittore Celso, nel suo
“Alethés logos” (Discorso sulla verità) riporta alcune delle pagine
nelle quali Platone[2] parla di
un Dio “Primo Bene” che “non può essere descritto a parole, ma nasce all’improvviso
nell’anima, come una luce accesa da una scintilla che vi sia balzata”.[3]
Certamente il punto di vista di Platone era quello di un filosofo che non
prometteva la salvezza nell’aldilà, non predicava miracoli, non pretendeva una
preventiva professione di fede dai suoi discepoli. Platone insegnava. Non
predicava. E non poteva dire: “Dio è così e così, Dio ha creato questo e
quello, Dio ha un figlio che ha fatto fare a una donna vergine, Dio ha mandato suo
figlio a parlare con gli uomini, e soprattutto non imponeva. E non aggiungeva:
“Tu devi credere a quello che dico io perché io detengo la verità”.[4]
Nelle sue considerazioni Platone procede sempre alla luce della
ragione e sviluppa di necessità una catena logica consequenziale e discorsiva,
mentre i Cristiani fissano concetti, e non provano i contenuti della loro
dottrina.
Cionondimeno, esigono fede cieca e accettazione su tutto ciò che è
scritto nella Bibbia o predicato da qualche autorevole uomo di religione.
Eppure, il messaggio di Platone non entra in dirittura di collisione con quello
di Gesù. Tutt’altro. Difatti, le considerazioni di Gesù contro i ricchi si
colgono in bocca anche a Platone, quando il filosofo greco afferma che “è
impossibile essere particolarmente buoni ed eccezionalmente ricchi”.[5] Verità che scaturiscono da un’etica che
rappresenta il fiore della logica. Platone e con esso Gesù, non enunciano
verità discese dal cielo. In particolare, Platone non impone il concetto “se
vuoi salvarti devi credere a quello che dico io, altrimenti vattene”. Questa
non sarebbe filosofia. Per non dire che già cinque secoli prima di Cristo,
Platone aveva sostenuto il principio di “porgere l’altra guancia ad ogni forma
di violenza o di ingiustizia”.[6]
La soluzione per un possibile incontro e
una pacifica convivenza fra Ebrei, Greci e Cristiani sul problema religioso
avrebbe potuto essere possibile, ma il fanatismo iniziatico dei Cristiani
creava una barriera insormontabile. Il dictat dei cristiani era categorico: “O
con noi in tutto, o contro di noi. E voi? Dovete accettare quello che diciamo
noi”.[7] In caso
contrario verrà applicato il diritto. Ovviamente, il diritto della forza, in
ogni caso e comunque. E Ipazia verrà aggredita, per essere offerta in
sacrificio al Dio dei cristiani, immolata all’interno di una Chiesa, in preda a
furore iconoclasta che scaturiva dai monaci parabolani, polizia personale di
Cirillo, vescovo di Alessandria d’Egitto. Vendetta! Contro tutte le Eve del
mondo. E i suoi resti, infine, gettati nell’immondezzaio pubblico.
La logica che presiede a questo omicidio?
“Tu donna, sei creatura di Satana, sei melma, e nella melma devi finire”. Nel
contempo verrà ridata alle fiamme la preziosa Biblioteca di Alessandria
d’Egitto, che custodiva il sapere storico dell’umanità. Il sapere laico frutto
della intelligenza e della logica umana. Era cominciata la vera guerra contro
Satana e contro la Donna. Da questo tragico evento ha inizio un tenebroso
Medioevo.
L’uccisione di Ipazia nella testimonianza
di Socrate Scolastico,
vescovo cristiano e storico della Chiesa
Era il mese di marzo del 415,
e correva la quaresima. Un gruppo di cristiani «dall'animo surriscaldato,
guidati da un lettore di nome Pietro, si misero d'accordo e si appostarono per
sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal cavallo, la
trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario. Qui,
strappatale la veste e denudatala, la uccisero usando affilati cocci di conchiglia.
Dopo averla squartata e fatta a pezzi. Membro a membro, trasportarono i
brandelli del suo corpo nel Cinerone, immodezzaio pubblico, e ne cancellarono
ogni traccia bruciandoli. Il luogo e le modalità della morte di Ipazia esprimono
simbolicamente le idee dei cosiddetti cristiani: “Tu sei spazzatura e nella
spazzatura devi morire. Questo procurò non poco biasimo a Cirillo e alla
Chiesa di Alessandria. Infatti, stragi, lotte e azioni simili a queste sono del
tutto estranee a coloro che meditano le parole di Cristo.
Ipazia
Alessandrina è stata vittima di una violenta
misoginia e di un comportamento ritenuto trasgressivo agli occhi di un gruppo
di “Parabolani”, estremisti cristiani facenti parte di una confraternita
guardia del corpo armata del Vescovo di Alessandria di Egitto, e per questo
crudelmente assassinata per mano di fanatici dell’epoca che consideravano fuori da ogni logica il fatto
che una donna poteva pensare in proprio, avere sue idee, proporre una filosofia
dell’esistere diversa da quella cristiana e avere discepoli che la rispettavano,
e seguivano le sue lezioni. Se Ipazia fosse stata cristiana e soprattutto
cattolica, “forse” avrebbe potuto aspirare a diventare santa.
Invece, Santo e Dottore dell’Incarnazione
è stato eletto il vescovo Cirillo, da
Papa Leone XIII il 28 luglio 1882, quel vescovo che era stato l’indiretto (o
diretto) responsabile dell’omicidio di Ipazia, così come denuncia lo storico
Socrate Scolastico (allievo di Ipazia) a cui la Maestra aveva insegnato a
considerare la filosofia «uno stile di vita, una costante, religiosa e
disciplinata, per la ricerca della verità».
Per la magnifica libertà di parola e di azione
che le veniva dalla sua cultura, Ipazia interloquiva in modo assennato anche
con i capi della città, e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo
agli uomini. A causa della sua straordinaria saggezza e preparazione filosofica
tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore
reverenziale. Ipazia era sciolta nel parlare, accorta ed equilibrata nelle
azioni. Tutta la città a buon diritto la amava e la rispettava grandemente.
Anche i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche,
erano soliti recarsi prima da lei. Così, come ad Atene era abitudine dei
politici di consultarsi con i filosofi prima di prendere una decisione
importante. Anche se la filosofia del IV e V sec. era in crisi, ad
Alessandria il nome di Ipazia restava degno di stima e di ammirazione per
coloro che amministravano gli affari più importanti del governo».
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[1] Teone aveva scritto un saggio
sull’“Astrolabio piano” e ricopiato gli “Elementi di Euclide” e “L’Almagesto di
Tolomeo”.
[2] Celso, p. 139
su Platone Ep.7, 341 c-d-b, Corriere della sera.
[3] Sembrano parole
di un illuminato Zen,
[4] Ed
era quello che aveva predicato Paolo, Epistole
VI, 9
[5] Le
parole di Gesù in Mt. 19,24; Mc. 10,25;
L. 18,25; la frase di Platone in Leg. 743a.
[6] Platone, Critone, 49 d-e; cfr.
Mt. 5,39; L. 6,29).
[7] Celso, p. 139
su Platone Ep.8, 340 d, Corriere
della sera.