CHIE SATO RODEN
Zen e Musica Moderna Giapponese
di Gino Carbonaro
Abbiamo conosciuto Chie Sato Roden a Ragusa, quando, giungendo dagli Stati Uniti,
si presentò sul palcoscenico del piccolo Teatro Falcone-Borsellino. Partecipava
al Concorso Internazionale Ibla Grand Prize davanti a una
giuria composta da venticinque membri provenienti da tutte le parti del mondo.
Non mancammo di notare il suo costume
giapponese e il grazioso andamento della concertista, che prese delicatamente
posizione davanti allo Yamaha. Poi il silenzio calò nella sala.
Le prime note ci colsero di sorpresa.
Erano suoni sospesi, isolati, intensi, ricchi di echi profondi, suoni che
sembravano arrivare da lontano per vivere nell’istante e perdersi inghiottiti
dalla immensità del silenzio.
L’impressione era che protagonisti fossero
dei suoni puri che sembravano emergere da una aurora del mondo; in virtù di un
preciso intervento della concertista, venivano alla luce illuminando
l’oscurità.
Un solo suono
vibrato, o un grappolo di note, erano un tutto completo, definito, come una
singola unitaria pennellata di un ideogramma giapponese che riesce a far
vibrare il foglio di carta.
Fu subito chiaro che per Chie Sato il suono era vita,
incanto, magia, poesia; una sola nota conteneva il tutto della
musica, così come l’Universo che contiene se stesso in ogni singola parte.
Si coglievano in ampiezza, profondità e
bellezza quei suoni che sembravano modulare il respiro del vento; suoni che
erano anima del mondo, pnéuma (πνέυμα) avrebbero
detto i Greci. Ed era musica che raggiungeva l’animo dell’ascoltatore e lo
faceva vibrare.
Nella interpretazione di Chie venivano scandagliati spazi
sconosciuti dello spirito, veniva colta l’essenza della musica.
Musica dove il silenzio definisce la nota,
così come nella filosofia taoista il vuoto definisce il pieno.
Chie
Sato, esprime l’essenza dell’animo giapponese, proteso alla ricerca dello Zen.
Lo Zen è
presente in tutte le forme della cultura giapponese: arte dei fiori (Ikebana), architettura dei giardini (Shibumi), Teatro (Kabuki e No), danza, pittura, scrittura, cerimonia del Tè, tiro con
l’arco, insegnamento, e si coglie anche e soprattutto nella musica oltre che
nella religione.
Zen è, per i giapponesi, l’Essenza
dell’Universo e delle cose in esso contenute. Zen è vita, luce, suono e in una
parola armonia, con il quale la concertista, nel suo rapportarsi con il suono,
cerca di entrare in contatto con l’anima dell’Universo.
Rubando un concetto a Platone, si ha
l’impressione che Chie Sato sia in contatto con un mondo iperuraneo, là dove
tutto è pace e silenzio, ma è anche il luogo dove si custodiscono i suoni, meraviglia
della natura ed essenza dell’Universo.
In una
sala incantata dalla magica interpretazione di Chie, la pianista giapponese accende
di vita le note: note vibrate, note rubate, che sembrano apparire dal nulla, e
ora corrono, ora fuggono, a volte si inseguono, si sovrappongono, si
dissolvono, per riapparire improvvisamente dolci, ammalianti, sempre capaci di
cogliere ed esprimere quel mondo dal quale provengono: il fondo dell’animo, che
è anche il cuore dell’Universo.
È così che Chie Sato
ci introduce nel misterioso regno dei suoni, e per mezzo di quella musica
moderna giapponese si fa ambasciatrice di una cultura che non deve nulla a
nessuno, anche se in quei compositori c’è una forma di velato rispetto e
ammirazione per Debussy, per i suoi Nocturnes,
per La Mer o Images, per il Prélude à l’après-midi d’un faune e per il simbolismo musicale europeo di fine
Ottocento, che pure cercò di cogliere l’essenza delle cose, i messaggi che
l’uomo sentiva provenire da mondi e tempi lontani e spazi mitici.
Questo è oggi il senso della musica
giapponese moderna di Shigenobu Nakamura,
del quale Chie Sato interpreta White;
di Junko Mori con la sua Imagery; o Motohiko Adachi nel suo Per
pianoforte; e Toshiya Sukegawa in Landscape;
e ancora Yoko Kurimoto nel suo splendido Windows.
Quella sera, capimmo che per merito di questa grande interprete, la
musica giapponese aveva ritrovato la
propria identità musicale moderna.
Alla fine del concerto, giuria e pubblico del
piccolo teatro di Ibla, entusiasta, alzato all’impiedi, applaudì
lungamente Chie Sato. Tutti le eravamo grati per aver compreso quanto sia
importante la musica moderna giapponese. La maggioranza di noi aveva capito chi
avrebbe vinto quell’anno il primo premio dell’Ibla Grand Prize.
Gino Carbonaro