Antinomia vita-morte
Essere e non-dover essere
È dilemma tragico quello che si trova a vivere l’uomo del XXI sec. Percepisce ragione e scienza come strumenti di potere, e si illude perciò di essere riuscito ad avere il dominio della natura, e forse anche dell’universo, in un futuro non lontano.
Comprende, l’uomo, di essere una macchina ricca di potenzialità non ancora conosciute; mentre, allo stesso tempo, l’uomo prende atto che esiste un limite invalicabile, rappresentato dalla estrema precarietà del suo “hardware”, dalla struttura biochimica che lo costituisce, materia vivente che dovrà inevitabilmente dissolversi nel nulla.
Il paradosso umano sta proprio nel vivere la vertigine di potere derivata dalla constatazione “obiettiva” dovuta alle scoperte forti della scienza, e parallelamente dall’essere costretto a percepirsi fuscello in balia di una sorte/natura, che ha deciso per lui tante cose, soprattutto quella del suo esser nato e del suo dover morire.
L’esistente-uomo vive in sé la coscienza di questa contraddizione: coscienza di dover fare un salto nel nulla, un passaggio dall’essere al non-essere, dalla consapevolezza di esistere, all’idea che dovrà comunque e in ogni caso dissolversi nel nulla.
Ed è proprio questa doppia informazione inviata al cervello (positivo = vivere + negativo = dover-morire) questo rapporto infame, inaccettabile, incomprensibile (ingiusto?) fra chi (ma, Chi?) ha deciso per lui il prima e il dopo delle cose, i rapporti e le leggi della natura, e noi, esseri viventi e devianti che ci portiamo appresso la centralina della rassicurante presunzione di possedere una forza, un potere (potere di che?) nella logica consonante della ragione.
Diversità di potenziale fra due sfere opposte e contrastanti (mondo fisico/razionale e mondo che sfugge al controllo della ragione) che fa andare in tilt il cervello, che non può, non riesce a contenere il sovraccarico della lacerante contraddizione (dell’essere e del non-dover-essere) che a livello logico si annullano e si azzerano.
Una trappola mortale (mai l’aggettivo è stato più appropriato!) che però finisce di essere tale se si assume per buona l’ipotesi elevata a postulato dalle religioni, che la vita continuerà anche dopo la morte.
Pia illusione che scioglie la contraddizione implicita nell’antinomia vita-morte, facendola rientrare nell’alveo di una logica coerente (?) e rassicurante che non conosce soluzione di continuità, e compone il tutto in un riposato equilibrio di proposizioni razionalizzabili, e pertanto capace e di porre fine agli interrogativi, capace di richiamare all’ordine tutte le osservazioni dissonanti, che sono da rimuovere, da esorcizzare, per alimentare l’illusione, perché si addormenti e plachi l’angoscia della morte che congela il pensiero razionale.
Malgrado ciò, l’uomo non cessa di coltivare la speranza, non dispera ancora di scoprire, novello dottor Fregalamorte, l’élisir di lunga vita, quello che dona l’immortalità, o l’eterna giovinezza a chi ne beve un sorso; o la pietra filosofale, che elargisce ricchezze e benessere a chi la possiede. La posta in gioco è alta: garantirsi l’eternità in questa vita, non in un’altra!
Gino Carbonaro