Carmelo Assenza e l'anima antica
della Contea di Modica
di Gino Carbonaro
È poesia, quella di Carmelo Assenza,
dove vengono richiamati i valori fondanti
di questa società antica:
il lavoro - “u travagghiu” - e il sudore - “u sururi”.
I “Canti Popolari della Contea di Modica” danno
il via alla sua attività di ricercatore, ed è con questa opera che Carmelo
Assenza si pone sulla strada segnata da Lionardo Vigo, Salvatore Salomone
Marino, Giuseppe Pitré, Serafino Amabile Guastella, Corrado Avolio. Demopsicologi, si diceva
allora, che hanno dato un contributo fondamentale al salvataggio di tanta parte
delle nostre tradizioni popolari.
Parallelamente
alla sua passione per le tradizioni popolari, Carmelo Assenza manifesta il suo amore
per la poesia, e pubblica “Muorica è n paisi” (1970)
silloge di liriche composte in dialetto modicano, rivelandosi con ciò poeta di eccezionale valore. Ogni poesia è un idillio di greca memoria, con il quale il Nostro
continua la strada segnata dalla poesia
popolare.
In “Muorica è n paisi”, Carmelo Assenza si
rivela poeta lirico ed epico a un tempo. Lirico, perché coglie l’anima che
alita nelle cose, epico in quanto si fa interprete dell’épos di un popolo,
quello modicano, con il suo profondo amore per la campagna e per la natura.
Ogni poesia è un quadro che blocca una emozione, un evento di microstoria
minore denso di significati e carico di una spiritualità sacrale.
Nella poesia “A lu carrittieri”, Carmelo
Assenza recupera una scena, un tempo consueta, quando i carrettieri che
andavano di notte cantavano tristi melopèe; ed era concerto naturale al quale prendeva parte lo stridìo
ritmato delle bóccole su cui ruotava l’asse del carro, il passo dell’animale che segnava il tempo,
le “cianciane” appese agli “armiggi” degli animali. Ma, alla “notturna”,
dedicata alla Luna e alle stelle, partecipano certamente grilli e cicale, dopo
avere accordato i loro strumenti. Era questa la realtà sognata di un tempo, e
nessun racconto in prosa può far rivivere quel momento magico.
“Quannu stanca a
terra rormi/ allustriata ri la
Luna / a lu scrusciu ri çianciani
/s’accumpagna na canzuna/ E li ridda e li çicali
/ accurdati li viulina/ ci rrispùnnunu sunannu / quasi finu a la matina / E sti
sona fanu u viersu / u carrettu annaculìa / ccu la testa ô tummarieddu / ogni
tantu accappuzzìa”. (p.23)
Della raccolta “Muorica è n paisi” fa parte
la poesia “Vota muredda”, una delle più belle e amare liriche della silloge. Lo
sfondo è ancora la campagna modicana, protagonista un contadino che ara e parla
con la mula che sente estenuata dalla fatica. Il linguaggio essenziale, proprio
della cultura contadina, è agganciato al concetto che scarta ogni sdolcinatura
bucolica. Oggetto della conversazione è la sofferenza, la lotta strenua e
quotidiana dell’uomo per guadagnarsi col sudore del corpo il diritto alla
sopravvivenza, per lui e per la sua famiglia. La poesia si trasforma così in
documento totale, tragico, che coglie il nucleo fondante dell’anima e della
storia dell’uomo.
“Iàutu cca, nica, accura ca n-tì scorna / Vasciu… cciù
vasciu!... supra dà camina / Comu si ttutta baschi a stamatina! / Comu ti
pari n-zéculu şta torna! / Vota muredda, supra la virsura / Ti fa comu nu
mantiçi lu çiancu / E cchi ti pari ca iu nun sugnu stancu? / E sunu l’ossa çini
ri friddura / Tira nicuzza, ancora na menzura / Aiutami a campalla sta
famigghia / Iu ti prumiettu n-zaccu ri canigghia / e uoriu e favi nta la
manciatura”. (p.33)
Ora,
il Poeta rivolge lo sguardo a una scena, allora consueta, che fa rivivere un
evento di vita e di costume millenario. Sino a pochi decenni fa, la mietitura
veniva fatta a mano, con l’uso della falce, da squadre di “jurnatari” disposti
“a lenza”. Il caporale dava l’ordine di partenza dopo avere invocato l’aiuto
divino. Le donne - i fimmineddi - seguivano la squadra per raccogliere le
spighe cadute. Nella scena di vita ripresa da Assenza è riportato ogni
particolare del vestiario: l’uso delle cannelle - i canneddi - che i mietitori
infilavano nelle dita della mano sinistra per proteggerle dalla falce. Nella
poesia “Mititura”, Carmelo Assenza inserisce, quasi un innesto un passo di un
vecchio canto popolare siciliano:
“Tutti su’ a lenza / a fauçi nta ritta / nt’a
manca li canneddi / li manicheddi misi a li urazza (…) ’N testa lu caporali /
vutànnusi ccu l’àutri:/ “Forza picciuòtti, ha ssiri na fumata / stu
vignali…tagghiati vasciu / ca abbisogna a pagghia…”
Dieci anni dopo, Assenza pubblica “Mura a ssiccu”, l’opera più matura e più amata da tutti per
la presenza della omonima poesia, oggi considerata il canto per antonomasia
della terra iblea. Questa, che è opera della maturità, si colora di un tocco
scuro. Le venature sono romantiche. L’ombra
della morte accompagna gli eventi. Nella poesia “Mura a ssiccu” Carmelo Assenza parla con quelle pietre
antiche che egli sente dotate di anima. Il dialogo-monologo è struggente e si
chiude con l’auspicio che dopo la morte il Nostro possa avere “ppi cummuogghiu
n-muru a-ssiccu
/cumminatu a mannaruni…”
Il percorso spirituale di Carmelo Assenza raggiunge il
massimo del pathos nella lirica “U cicuriaru ravanti ô Crucifissu” (p. 67)
dialogo-preghiera di un venditore di cicoria che nel giorno del venerdì
santo chiede al Signore di sapere quale
peccato ha commesso, dove ha sbagliato nella vita, per meritare le sofferenze
che è costretto a patire, cosa ha fatto per avere “stu cuorpu miu ridduttu a
nnenti”. Il cicuriaru è l’uomo, il poeta che cerca una risposta ad uno dei
tanti interrogativi che assillano tutti. Perché Dio e la Natura che è sua creatura
sono sempre presenti nella poesia di Meno Assenza.
In
altra lirica, lo sguardo di Assenza si rivolge alla “Massarìa” che egli ricorda
come luogo di vita, mentre ora è disabitata, abbandonata. Solo una campana,
appesa nel cortile e mossa dal vento, “vuzzichìa” lugubri rintocchi. Lo stesso
tema ritorna nella poesia-monologo “Casuzza ri campagna”:
"Casuzza ri campagna
abbannunata / fatta ri petra a-ssiccu e di lumarra / rintra nun c’èni cciù lu
parra-parra…”
È poesia, quella di Carmelo Assenza, dove
vengono richiamati i valori fondanti di questa società antica: il lavoro - “u
travagghiu” - e il sudore - “u sururi”. Tutto, in questi idilli, ha il sapore
di una religione antica, vissuta in una atmosfera che rimanda ai Mani tutelari
dei Romani o alla religiosità Shinto dei Giapponesi, che sentono la presenza di
un’anima in tutto ciò che esiste, e che è stato creato con amore da Dio o dalla
mano dell’uomo.
Un proverbio cinese recita: “Diecimila
parole non valgono un disegno”. Noi diciamo che mille disegni e mille parole
non riescono a trasmettere l’incanto e le emozioni che fa vivere in noi una
poesia di questa raccolta. In ciò consiste la grandezza dei poeti veri. In ciò
la grandezza di Meno Assenza e il merito che gli viene riconosciuto oggi dalla
Città di Modica e dal Rotary Club di Modica, proprio perché in queste poesie è
riuscito a cogliere l’anima antica di questa terra.
Gino Carbonaro
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