Una esperienza, questa raccolta di olive!
Sono i primi di novembre del 2007. A
raccogliere olive accade questo. La
mattina, ci alziamo quando l’aurora tinge di oro la collina, e
lentamente ci prepariamo a scendere nel Fondo Leone. Prima di andare, io affilo
le forbici con la pietra inumidita con olio, preparo la motosega, olio e
miscela, poi mettiamo tutto nelle carriole e via, giù nel campo degli ulivi.
Qui ti organizzi. Scegli l’albero che ti sembra più carico, disponi le reti,
avvicini le scale, sposti le carriole sotto i rami, così che alcune olive
cadranno direttamente nel contenitore, infili i guanti, impugni il piccolo
rastrello di plastica, afferri un ramo e cominci dolcemente a far staccare
le olive.
All’inizio,
fra noi, si fa qualche commento, che si ascolta a stento, poi non si sente
altro che il fruscio dei rami e il ticchettio delle olivette che cadono sulla
rete o nella carriola, mentre qualche oliva impudente e qualche fogliolina si
infilano dentro la camicia e sotto la canottiera. Ma di
questo ti accorgerai al ritorno a casa, quando vai nel bagno o nella camera da
letto.
Lentamente, accade il miracolo: il tempo sembra fermarsi e tu entri in un’altra
dimensione, quasi un altro mondo. Il silenzio si fa profondo, appena rotto dal
rumore delle scale che vengono spostate, della forbice che viene usata per
alleggerire il fogliame e riuscire a entrare meglio con le mani dentro i
rametti. Di tanto in tanto qualcuno di noi parla, dà un suggerimento:
raccogliere le olive che si depongono sotto i piedi e potrebbero essere
calpestate. Per un poco cambia il programma, si modifica la posizione del corpo
e dei muscoli. Fra tanto procedere, ti accorgi che un uccellino curioso si è
avvicinato per posarsi sulle frasche vicine, poi lo senti fuggire all’improvviso
contento e timoroso della sua bravata, dell’essersi avvicinato così tanto, di
aver rischiato tanto.
Nel frattempo lo sguardo esplora tra le foglie per
intercettare qualche olivetta nascosta o mimetizzata, e ti transitano vaghi
pensieri per la mente. Ti chiedi perché nella vita si corre tanto. Ti chiedi
cosa si insegue, cosa si vuole conquistare, e ti chiedi perché questa raccolta
di olive, questa ginnastica delle mani, questo vagare dello sguardo, questo
stare immobile e in movimento allo stesso tempo, fa bene all’animo, alla
psiche, al corpo.
Questo rapporto con la natura è un rapporto con te stesso,
con gli altri che sono con noi, con i quali godiamo questo incanto, viviamo
questa esperienza vera, profonda, ricca, fatta di un nulla che è il tutto, e ti
fa parte del miracolo dell’Universo. Allora, chissà perché, penso ai Greci, ai
Romani per i quali l’ulivo era simbolo di pace e di amore. E mi vengono in
mente gli Ateniesi che avevano i campi attorno alla loro città pieni a distesa
con piante di olivo disposte a quinconce e consideravano l’ulivo dono di
Pallade Athena, la dea che avevano eletto protettrice della loro città.
Nella
raccolta delle olive percepisci esattamente il concetto di dono,
la logica profonda delle cose: tu hai dato alle piante il tuo amore, le hai
curate, le hai fertilizzate con abbondante concime stallatico, le hai dissetate
nelle lunghe e torride estati della nostra terra, hai provveduto a far arare il
terreno tre volte nell’anno, a gennaio, maggio e ottobre; le hai ripulite di
tutto il seccume, le hai potate, ne hai curato le ferite prodotte dai
parassiti, e, di ritorno, hai visto le piante rinverdire, sorridere, gioire,
esplodere di salute nella sana gioia di vivere. Poi, dopo mesi, ritrovi il
magico ritorno, il dono, il dire della pianta: questo è tuo, questo è il frutto
del mio seno.
Mondo
bucolico, mondo georgico. Sono concetti obsoleti che non appartengono più al
mondo moderno, ma erano intercettati e definiti da Greci e Romani. E vanno qui
ricordati, perché vengono da lontano, da un mondo che non c’è più. Bucolico
è il rapporto che l’uomo ha con la natura, quando da questa senti emanare
profumo, silenzio, poesia, ossigeno, e senti che un nume divino abita e
protegge il luogo dalla bellezza sacrale che tu senti emanare dalle ombre
fresche e profonde degli alberi, e di quel dio senti la presenza e il
linguaggio nel fruscio discreto delle foglie, nel cullarsi dei rami sospinti da
zéfiri, nelle due farfalline bianche che gioiosamente disegnano l’aria
inseguendosi. Ma di quel nume senti ancora la sua presenza nel profumo violento
dei carrubi in fiore che giunge alle nari ad una improvvisa levata di vento. Durante
la raccolta delle olive, noi godiamo di questa atmosfera bucolica.
Georgico è il rapporto che l’uomo ha con la natura quando questa ti riempie di
doni che nutrono. Quando la natura è madre che nutre. Tu puoi raccogliere un
grappolo di olive e senti il dono della madre-natura che ti dà la vita; ed è
come quando tu prendi delicato un grappolo di uva matura dalla vite pregnante,
porti l’uva alla bocca e succhi il nettare degli dei, dono della … natura. Ci sei
vicino! Ma, non hai il coraggio di dire che quella è opera di Dio. A
mezzogiorno poi, tutti a casa. C’è stanchezza, ma lo spirito è pulito, sazio di
cose buone, soddisfatto, perché nutrito di cose belle. La raccolta delle olive
è training che porta l’uomo a sentirsi bene, ristorato nelle forze, sano nel
corpo, sereno nello spirito.
Ed è
così che si è consapevoli di possedere un tesoro, che si è coscienti di essere
fortunati. Ora, finalmente a tavola, si aspettano gli spaghetti con la salsa
profumata fatta dalla padrona di casa: pomodoro fresco con odoroso basilico, e caciocavallo
grattugiato, un piatto regale.
Maurice gioisce senza dire niente, ma si vede che è felice di questo rito,
che è forma di comunione profonda. La mamma è
serena e felice di essere mamma e moglie di un uomo che il destino le ha assegnato. Poi laviamo i piatti e sistemiamo aiutiamo a sistemare il
tutto. Maurice e io facciamo il pisolino, la
mamma continua i lavori in cucina, fa un salto al computer, legge le sue
e-mail.
Dopo, e, di nuovo al lavoro per continuare la raccolta, la
comunione con noi stessi, il rapporto con la natura, mentre le gazze che
stavano a curiosare nella nostra assenza svolazzano via al nostro arrivo.
Quando
avremo raccolto molte olive, allora le sistemeremo nelle cassette di
plastica, poi riempiamo la Panda e andiamo al frantoio per macinarle e prendere
l’olio, che è il frutto del nostro lavoro. Il viaggio per andare a Scicli dura
40 minuti perché con la macchina carica si va piano.
Qui,
nell’oleificio “Fidone”, forse lontano parente
della nonna, si vive un’altra forte esperienza
umana. Qui troviamo tonnellate di olive già poste nei contenitori e, in attesa,
decine di contadini e raccoglitori dai visi stanchi e soddisfatti, non meno di
noi, con decine di recipienti. Attendono in silenzio il loro turno. Il rumore
dei macchinari in movimento non rende agevole la conversazione.
I macchinari e
le ruote in movimento del frantoio emettono un rumore combinato, omogeneizzato,
impasto di mille diversi e strani rumori che coprono i gridolini di sofferenza
delle olive frantumate. Ma, la gioia è tanta, quando arriverà il tuo turno, e
ancora qualche ora dopo quando le nostre olive entrano per
essere lavorate, e allora vedrai arrivare il tuo olio dal colore indescrivibile, proprio
di un verde smeraldo quasi arcobaleno di verdi. Ora chi
vuole può riflettere e dire che anche l’uomo è come le olive, al torchio dà il
meglio di se stesso, ed è vita quella che produce. Gino Carbonaro