2020/01/30

ZIQ di Lina Maria UGOLINI Compagnia G.o.D.o.T. Ideal Ragusa gennaio 2020

    TEATRO

    Nel gennaio 2020, a Ragusa, un evento speciale. 
La compagnia G.o.D.o.T di Federica Bisegna e Vittorio Bonaccorso presentano uno spettacolo di grande spessore culturale. Si tratta della pièce teatrale.. 



Compagnia G.o.D.o.T. 

Ziq è sulla spiaggia 

di

Lina Maria Ugolini

con
Giuseppe Arezzi
Federica Bisegna
Vittorio Bonaccorso





 Commento di Gino Carbonaro

1
     Non capita tutti i giorni di andare a Teatro e trovare che quella serata è diversa, e lo spettacolo a cui stai assistendo è qualcosa di eccezionale. Che non hai mai visto e sarà difficile che possa sempre assistere a qualcosa di simile. Dunque?

 Spettacolo eccezionale, interpretazione sublime. Regia e musica, al di là dell’immaginabile. Mai, io, mi sono trovato a vivere una emozione così intensa davanti a una rappresentazione teatrale. 

    Ho pensato subito alla potenza Shakespeariana del soggetto e a quanto ha scritto Aristotele a proposito della tragedia, perché “Ziq” non è dramma. Ziq è tragedia. 

     E la pièce teatrale di Lina Maria Ugolini esprime la tragedia che stiamo vivendo in questi tempi oscuri. E pensavo ancora al concetto aristotelico di catarsi, applicabile qui, perché io personalmente mi sono sentito coinvolto sino alla fine dello spettacolo. 

     È chiaro che gli operatori avevano raggiunto il loro scopo. Lo spettacolo? Mi ha lasciato senza parole. 

     I miei complimenti all'Autrice Lina Maria Ugolini, a Giuseppe Arezzo, straordinario nella sua unicità interpretativa. Complimenti alla Regia di Vittorio Bonaccorso, superlativa, e alla Musica di Pietro Cavalieri, originale, funzionale e bellissima.--

2
     Federica, non ho detto tutto. 

  Ieri sera, dopo mezzanotte, quando ho scritto il mio commento al Vostro spettacolo,  non ho detto tutto. Il Teatro, si sa, è classificato “prosa”. 

    Nessuno avrebbe potuto pensare che sulla scena potesse germogliare tanta inimmaginabile poesia. Poesia nata da una sorta di composito Ikebana offerto ..

  • dal testo (potente) di Lina Maria Ugolini.
  •  
  • dalla interpretazione stupenda dell’Attore Unico, il diciannovenne Giuseppe Arezzi, che ha superato se stesso cogliendo l’anima del testo, dolce, profonda e dalle mille intense sfumature, 

  • dalla fantastica "mise en scène" della Regia, di Vittorio Bonaccorso (intensa, delicata, vibrante), 

  • dalla Musica che ne sosteneva, creava e suggeriva l’atmosfera interpretativa. 

  • Teatro pittura. Teatro parola. Teatro opera d’arte. Dove la logica del discorso si scioglieva, e i contorni della parola si sfaldavano per consegnarsi alla poesia, alle parole che non hanno confine. 

  •     Realtà che si consegna al sogno. Vita che grida la speranza. Concetto che denunzia l’uomo. Pensiero crudo inviato  alla coscienza dello spettatore perché rifletta sul senso del nostro esistere. Tragedia. Altissima arte. Miracolo di un fatto artistico realizzato a più mani da uno staff che ha dato l’anima a uno  spettacolo che è prodotto alto di una cultura matura, stupenda. 

  • Questo il vero senso del Teatro. Complimenti. A Tutti.  

  • A piene mani. 
                                     
                                        Gino Carbonaro

3. 

Federica Bisegna risponde

    Grazie ancora e ancora... In questo momento, leggere parole di così sincera ammirazione è per noi linfa vitale. 
     Tante volte ci chiediamo che senso abbia fare quello che facciamo a Ragusa, nell'indifferenza delle istituzioni che a parole ci dicono "bravi" ma nei fatti non ci sostengono in nessun modo, abbiamo perso persino l'utilizzo gratuito dei teatri, nell'indifferenza di gran parte dei dirigenti scolastici soprattutto degli istituti superiori che per evitare "differenze" rifiutano tutte le nostre proposte perché gli altri potrebbero offendersi, nell'indifferenza di una certa categoria di Pubblico che ci dice "ho bisogno di rilassarmi... Fa ridere? Allora no..." e soprattutto nella difficoltà di lavorare in spazi inadeguati sotto tutti gli aspetti per realizzare in pieno le visioni di Vittorio. 

     Le sue parole ci riforniscono di "illusioni" per continuare a Sognare come ci ha insegnato il grande Fellini di cui ricorre il centenario ❤️


LILIANA SEGRE Il suo discorso a Bruxelles gennaio 2020

Prima
Bruxelles/2
Siate farfalle che volano sopra i fili spinati
di Liliana Segre
Pubblichiamo un estratto del discorso che la senatrice a vita Liliana Segre ha tenuto ieri al Parlamento europeo di Bruxelles 

 Parlamento Europeo a Bruxelles 
Lo storico immortale discorso di 

Liliana Segre

27 gennaio 2020



     Comincio con il ringraziare l’amico David Sassoli che mi ha invitato qui oggi. Non posso nascondere l’emozione profonda nel vedere le bandiere colorate di tanti Stati affratellati in questo Parlamento dove si parla, si discute e ci si guarda negli occhi. 

     Alla giornata del 27 gennaio a volte è stata data un’importanza che in fondo non c’è. 

     Auschwitz non è stata liberata quel giorno. Quel giorno l’Armata Rossa vi è entrata ed è molto bello il discorso che fa Primo Levi ne "La Tregua dei quattro soldati russi" che non liberano il campo perché i nazisti erano già scappati, ma si trovano di fronte a questo spettacolo incredibile.

     Uno spettacolo più tardi incredibile per tutti coloro che lo vollero guardare, mentre qualcuno non lo vuole vedere nemmeno adesso e dice che non è vero. Si tratta dello stupore per il male altrui.

     Queste sono le parole straordinarie di Primo Levi e che nessun prigioniero di Auschwitz ha mai potuto dimenticare. 

     Il 27 gennaio avevo 13 anni ed ero operaia schiava nella fabbrica di munizioni Union. Di colpo arrivò l'ordine immediato di cominciare quella che venne chiamata “Marcia della morte”. 

     Io non fui liberata il 27 gennaio dall’Armata Rossa, facevo parte di quel gruppo di più di 50 mila prigionieri ancora in vita obbligati a una marcia che durò mesi. 

     Quando parlo nelle scuole dico che.. 
     
     Ognuno nella vita deve mettere una gamba davanti all’altra, che non si deve mai appoggiare a nessuno perché nella “Marcia della morte” non potevamo appoggiarci al compagno vicino che si trascinava nella neve con i piedi piagati e che veniva finito dalla scorta se fosse caduto. Ucciso. 

     La forza della vita è straordinaria, è questo che dobbiamo trasmettere ai giovani di oggi.

     Noi non volevamo morire, eravamo pazzamente attaccati alla vita qualunque essa fosse per cui proseguivamo una gamba davanti l’altra, buttandoci nei letamai, mangiando anche la neve che non era sporca di sangue.

     Prima attraversammo la Polonia e la Slesia, poi fu Germania. Dopo mesi e mesi arrivammo allo Jugendlager di Ravensbruck. 

     Eravamo solo giovani, ma sembravamo vecchie, senza sesso, senza età, senza seno, senza mestruazioni, senza mutande. 
  
     Non si deve avere paura di queste parole perché è così che si toglie la dignità a una donna. Giorno dopo giorno, campo dopo campo, mi trovai alla fine del mese di aprile 1945.

     
     Quanto era lontano il 27 gennaio, quante compagne erano morte in quella marcia, mai soccorse perché nessuno aprì la finestra o ci buttò un pezzo di pane. 

     Non fu solo il popolo tedesco, ma i popoli di tutta l’Europa occupata dai nazisti in cui abbiamo visto i nostri vicini di casa essere aiutanti straordinari dei nazisti. 

     In Italia i nostri vicini ci denunciavano, prendevano possesso del nostro appartamento, anche del cane se era di razza.

     Questa parola, razza, la sentiamo ancora, e allora dobbiamo combattere questo razzismo strutturale che resta. 

     La gente mi chiede come mai si parli ancora di antisemitismo. Io rispondo che c’è sempre stato, ma non era il momento politico per tirare fuori il razzismo e l’antisemitismo insiti nell’animo dei poveri di spirito. 

     E poi arrivano i momenti più adatti, corsi e ricorsi storici, in cui ci si volta dall’altra parte. E allora tutti quelli che approfittano di questa situazione trovano il terreno più adatto per farsi avanti.

     Quando subito dopo la guerra per caso restai viva e tornai nella mia Milano con le macerie fumanti, ero una ragazza ferita, selvaggia, che non sapeva più mangiare con forchetta e coltello, ancora abituata a mangiare come le bestie. 

     Ero criticata anche da coloro che mi volevano bene: volevano di nuovo la ragazza borghese dalla buona educazione. 

     È difficile ricordare queste cose e devo dire che da 30 anni parlo nelle scuole e sento ormai come una difficoltà psichica a continuare, anche se il mio dovere sarebbe questo fino alla morte. 

     Io ho visto quei colori, ho sentito quelle urla e quegli odori, ho incontrato delle persone in quella Babele di lingue che oggi non posso che ricordare qui, dove tante lingue si incontrano in pace. 

     Nei campi era possibile comunicare con le compagne che venivano da tutta l’Europa occupata dai nazisti solo trovando parole comuni, altrimenti c’era solo la solitudine assoluta del silenzio. 

     E le bandiere qui fuori di cui parlavo all’inizio mi hanno fatto ricordare quel desiderio di trovare con olandesi, francesi, polacche, tedesche e ungheresi una parola comune. 

     In ungherese ho imparato una sola parola, “pane”. È la parola principale che vuol dire fame, ma anche la sacralità di una cosa oggi sprecata senza nemmeno guardare cosa si butta via.

     Da almeno tre anni sento che i ricordi di quella ragazzina che sono stata non mi danno pace. Non mi danno pace perché da quando sono diventata nonna, trentadue anni fa, quella ragazzina che ha fatto la “Marcia della morte” è un’altra persona rispetto a me: io sono la nonna di me stessa. Ed è una sensazione che non mi abbandona.

     È mio dovere parlare nelle scuole, testimoniare. Ma non posso che parlare di me e delle mie compagne. Sono io che salto fuori. Quella ragazzina magra, scheletrita, disperata, sola. 

     E non lo posso più sopportare perché sono la nonna di me stessa e sento che se non smetto di parlare, se non mi ritiro per il tempo che mi resta a ricordare da sola e a godere delle gioie della famiglia ritrovata, non lo potrò più fare. Perché non ce la farò più. 

     Anche oggi fatico a ricordare, ma mi è sembrato un grande dovere accettare questo invito per ricordare il male altrui. Ma anche per ricordare che si può, una gamba davanti all’altra, essere come quella bambina di Terezin che ha disegnato una farfalla gialla che vola sopra i fili spinati. 

     Io non avevo le matite colorate e forse non avevo la fantasia meravigliosa della bambina di Terezin. Che la farfalla gialla voli sempre sopra i fili spinati. Questo è un semplicissimo messaggio da nonna che vorrei lasciare ai miei futuri nipoti ideali. 

     Che siano in grado di fare la scelta. E con la loro responsabilità e la loro coscienza, essere sempre quella farfalla gialla che vola sopra ai fili spinati.



Il discorso Liliana Segre, 89 anni