2019/07/22

Marco D'Avola: i suoi sessant'anni


Risultati immagini per Marco D'Avola
Risultati immagini per Marco D'Avola

I SESSANT’ANNI DI MARCO D’AVOLA



Vita e Musica



Riconoscimento ad una luminosa carriera
Omaggio al grande Musicista

     La vita? È un viaggio. Una scoperta. Una scommessa. Un programma. Un’opera d’arte. La vita è tutto. È qualcosa che può essere accompagnato da modestia, capacità, impegno, passione e mille altre doti. La vita è una traccia, una impronta che ognuno di noi lascia del suo passaggio su questa Terra. E anche un dono che noi facciamo ai nostri simili, ai nostri conterranei. Chiaramente le tracce del nostro passaggio sono diverse. C’è, fra i tanti, chi vive per vivere, e c’è chi lascerà una forte “eredità di affetti”. Ed è il caso di Marco D’Avola, già insigne avvocato, ora Procuratore onorario della Procura di Catania, da sempre pianista, organista, compositore, musicologo che ha tenuto concerti in tutte le parti del mondo. Personalità poliedrica, che ha dato molto alla sua Città, se la Fjlarmonya Opolska e la Fjlarmonya Olsztinya, orchestre sinfoniche  polacche hanno interpretato un suo “Requiem”, e ancora il suo “Magnificat” eseguito per il Mozart Festival di Tokyo con la Shinguya Philarmonic Orchestra. Il M° Marco D’Avola, attualmente membro membro del “Royal College of Organists” di Londra, tiene concerti in tutto il mondo, mentre sue composizioni sono state trasmesse dalla RAI, da Radio Vaticana,  e da Radio e televisioni tedesche, francesi, spagnole, polacche, rumene e statunitensi. Da un quarto di secolo, inoltre, Ragusa ospita lo storico “Festival Organistico Città di Ragusa”. 

     Chi produce e dà disinteressatamente tanto a questa Terra non può restare “vox clamans in deserto”. Corre l’obbligo a ognuno di noi, dire “bravo” e “grazie” al Maestro D’Avola per questo suo nobile lavoro e contributo dato alla cultura mondiale.

     Tanto è accaduto venerdì, 19 luglio 2019 quando il Centro Studi “Feliciano Rossitto”  e il suo presidente  on. Giorgio Chessari e ancora, la Città di Ragusa, rappresentata dal suo Sindaco avv. Giuseppe Cassì, hanno ritenuto di festeggiare il sessantesimo anniversario del M° Marco D’Avola, proprio per sottolineare che la sua Città riconosce i meriti di questo grande musicista e uomo di cultura  e perciò lo ringrazia pubblicamente.

     Di fatto con questo “Omaggio” a un grande musicista,  la Città di Ragusa e il “Centro Studi Feliciano Rossitto” fissano il concetto che il M° Marco D’Avola è una eccellenza nel campo della musica e della cultura.

    La presentazione è stata aperta con le approfondite analisi del sacerdote pianista, organista, musicologo e storico dell’arte Carmelo Mezzasalma, che si è soffermato sui codici musicali, sulla originalità delle composizioni per “organo, ottoni e percussioni e sulla importanza del  lavoro svolto dal M° Marco D’Avola.

     Subito dopo gli ascoltatori presenti alla cerimonia, in un Auditorium gremito da amici e appassionati, hanno potuto ascoltare uno straordinario concerto tenuto dalle “Fanfare Ensemble”, gruppo di ottoni, percussioni e organo diretto dal M° Salvatore Di Stefano “ del Conservatorio di Catania e tutti hanno potuto apprezzare le composizioni del M° D’Avola, la finissima direzione del gruppo musicale, la potenza espressiva della prima tromba Carmelo Fede e del percussionista Giovanni Caruso, senza con ciò togliere i meriti a tutti gli interpreti che gestivano Corni, Tromboni, Tube, Trombone basso ed Eufonio. Serata da incanto ascoltare il “Concerto opus 32 n.2 “Excelsus super omnes” e la Messa da "Requiem opus 17". Un trionfo. Una serata indimenticabile. Una ovazione incredibile. Un atto dovuto riconoscere i grandi di questa nostra Terra. Apprezzabile l'iniziativa del Centro studi "Feliciano Rossitto".  

                                                     Gino Carbonaro

2019/07/02

La Poetessa di Silvia Cecchi


Dalla scatola delle fotografie di famiglia
La Poetessa 

di Silvia Cecchi


     Mio padre era fotografo, mia madre anche. Io lo ero di sponda. Figlio d’arte. E, capitava spesso di vedere un bel tramonto, un bel panorama e si cercava subito da bravi fotografi di bloccarne la bellezza con uno scatto. Si pensava di poter  afferrare l’aria, l’ineffabile, bloccare in eterno quella indescrivibile bellezza che a sorpresa ti offre la Natura. Ma, era delusione quando, sviluppato il rullino e stampata la foto, si guardava il risultato su un rettangolo di carta al bromuro d’argento. L’atmosfera non c’era. L’incanto neppure. L’immagine riportata era lontana dal vero. Una delusione.
     La stessa percezione di allora, lo stesso timore ho avuto quando davanti al mio computer ho creduto di poter consegnare a un potenziale lettore, ad una attenta lettrice,  il contenuto, ma soprattutto la bellezza di questo libro titolato “La Poetessa” dalla scatola delle poesie di famiglia, di Silvia Cecchi. 
     A leggere, da subito, ho capito di trovarmi davanti a qualcosa di nuovo, di originale, di intrigante, ma soprattutto di bello. Pensieri che si srotolano come su un elegante tappeto su cui il lettore, la lettrice incedono lentamente per gustare la bellezza di quel de-scrivere, profondità di un contenuto che sa leggere nell’animo di una Donna, poesia soprattutto ad ogni momento. Lettura. Che all’inizio ti incuriosisce, poi ti affascina, quindi ti prende.


Il contenuto del libro:  poesia e filosofia

    Si tratta di un racconto nel quale una Donna, “La Poetessa” (io narrante), rovistando tra le fotografie di famiglia all’interno di una scatola,  rievoca il suo passato, parlando a mezza voce. Monologo di chi parla con se stessa per ricordare esperienze tristi e meno tristi della sua vita.  Lettura di una realtà depositata nella memoria. 
       
     Dentro questo lungo racconto (o romanzo?) c’è il tutto della protagonista, che poi è la scrittrice, Silvia Cecchi, con il suo amore per la scrittura, con la sua cultura (fuori del comune) la sua filosofia della vita, la sua lettura della realtà con il suo inestricabile aggrovigliato inspiegabile labirinto, e le sue pene e i suoi dolori. Come pure la necessità umana di resistere, sopportare, tener duro. Necessità di accettare le traversie, per non lasciarsi travolgere dalle tempeste che ci colgono a sorpresa e ci trovano incapaci di opporre una resistenza. Perché nella vita ...

“Querce bisogna essere. Ben radicate sulla terra”

Ed è necessità restare sulla scena fino al gran finale, quando per ognuno di noi, la nostra storia sarà finita,  e si chiuderà il sipario.

        Da questo romanzo, che è storia di un’anima, si evince che la vita procede su due livelli: da una parte poggia sul reale (la vita), con le sue necessità, il suo improrogabile inesorabile destino, dall’altra riposa sulla 

“Beata levità dei sogni, e dei desideri dimenticati (...) 


supportati da una fantasia che lievita la realtà e la fermenta. Fantasia che è il lievito del nostro esistere, del nostro futuro, dei nostri progetti sognati.   

Fantasie rare, come le apparizioni, 
che nascono sempre 
come un prolungamento 
delle cose reali, concrete, di tutti i giorni.

    E la delusione? Quella si ha quando il sogno scoppia e si frantuma come bolla di sapone. Quando ci si accorge che

             “La vita duole dentro come un viscere freddo 
                           sul banco del pescivendolo”. 
                                “Quando ognuno di noi 
                          va incontro al proprio evento”.

“Quando viene da gridargli in faccia
a quel despota di un Destino”.

“Quando non si conosce abbastanza 
il male del mondo,
il fondo freddo di tutte le cose.” 

“Dolore che segna l’anima
che non è fatta per sopportare 
certi accadimenti, 
o si rompe a freddo
come la lastrina di ghiaccio 
quando sbrini il frigorifero 
o si rompe nella brace del dolore.

     Ed è allora che il lettore si accorge che il libro non appartiene alla categoria dei racconti ameni: leggi e metti da parte. Ma, si tratta di opera che ti obbliga a riflettere, meditare, per sorbire lentamente i messaggi impliciti, attenuati dalla sensibilità della scrittrice, che ti dicono come tutto nel libro vive all’insegna dell’arte, della eleganza formale, come pure di una filosofia soft, appena appena cennata, ma reale, vera, profonda. Perché? 

“La vita è un prolungamento delle cose reali, un grumo d’universo bisecato da rette metafisiche, in cui, uno spazio reale si interseca con uno spazio surreale” (...) e, conforto al tutto è il silenzio che puoi ascoltare (...) se ci si mette a singhiozzare in un angolo, non vista da nessuno..”.  

    Tante sono le chiavi di lettura del libro che consegniamo al lettore. Si pensi che la scrittrice cita in apertura Clarissa Pinkòla Estès, e il suo “Donne che corrono coi lupi”. E il fatto che protagoniste del libro sono due donne che vivono in un universo dove la cultura è quella dettata dal maschio. E la vita di una Donna è sempre segnata dal volere degli uomini.    
     
    Per chiudere, sentiamo doveroso leggere insieme il finale del libro e godere la bellezza descrittiva della nostra scrittrice, per valutare la forza, la bellezza, la intrinseca poesia del romanzo.

     “Un bel giorno le mille foglie della quercia si faranno piccole e scure, tante e gremite come un nugolo di storni di passo che siano calati sui rami tutti insieme. E un altro giorno, allo stesso modo, tutte insieme si libreranno nel cielo, e la quercia resterà lì, brulla con i suoi rami spogli”.      

E ancora, la chiusura finale:

“C’era nell’aria un respiro lieve … La vecchietta smemorata stava tornando per la via di casa, con la neve che le cancellava i passi, e l’ombra una volta davanti, una volta di dietro. L’attirò una luce, un canto come un coro di voci. Erano gli angeli - pensò - finalmente gli angeli. Oppure i suonatori che venivano a prenderla e l’avrebbero portata in un altro paese, ancora più lontano, dove c’è un’altra fiera, un altro mercato, altri boschi, altre strade… 

E allora... 

La poetessa non ci sarà più. Ci sarà solo il suo quaderno incompiuto. E, un quaderno incompiuto prima o poi trova sempre chi lo continuerà, finché il lettore un giorno lontano più non saprà distinguere se in esso vi sia una sola vita, o due, o chissà quante … unite. 

Postilla: Il libro sembra scritto a quattro mani. Come se la scrittrice Silvia Cecchi riferisse la storia vera di Anna Teresa Albanesi, poetessa, che nella sua vita non mancò mai di bloccare con una poesia tutte le esperienze della sua vita, e poco prima di lasciarci raccontò questa storia alla scrittrice. Interessante la confessione della “Poetessa” che della sua poesia dice:

     Sapere di avere salvato al caso qualcosa, di averla trattenuta dal franamento dei giorni, di averla messa dentro a parole che restano sul foglio di carta, che a pronunciarle hanno persino un suono (...)  

Ed è uno scopo nobile, anche quando si mette a dimora l’idea che quei fogli di carta 

“Dovessero servire solo 
a fare i denti buoni ai topi, 
che roderanno le mie parole in soffitta”.    

Ma, si sa che il tutto è un escamotage per scavare all’interno dell’anima, tentare di scoprire il senso del nostro esistere, il perché della vita e della morte, e ricordare con la poesia i segni lasciati dentro di noi dalla vita.                                            
                                         Gino Carbonaro