2015/07/27

NAUFRAGI: Andar per mare al tempo dei Greci


Epigrammi di Naufragi dalla Antologia Palatina



Naufragi e la Grecia

Queta non movere

     Il mare? 
Lo sconvolgono i venti,
    ma se nessuno lo smuove
    è l’elemento più docile, dolce, affascinante

            Solone 

                                                Naufragium fecit.. Bene navigabit 
                                                                    
                                                                                                                                                             Virgilio
                        
                                   

                                                                                  
                                                                                                   di Gino Carbonaro




Andar per mare oggi è un piacere. Si gode la brezza, il profumo dell’aria, il silenzio, la libertà, il distacco dagli altri, la bellezza della natura e il suo mistero. I rischi sono limitati al massimo, considerata la tecnologia delle imbarcazioni, le apparecchiature di bordo, la possibilità di prevedere  le condizioni atmosferiche.


Una volta non era così. Al tempo di Fenici, Greci e Romani, andar per mare significava “rischiare”. Non poco. Fra l’altro, le navi mercantili venivano non di rado sovraccaricate, quando i fondali marini vicino alle coste non
                                  

                                                Corbìta: una nave mercatile


potevano essere sondati. L'astrolabio messo a punto da Ipazia Alessandrina nel IV/V sec d.C. era costoso e non tutti lo sapevano adoperare. La bussola non era stata ancora inventata e le costellazioni che guidavano le rotte dei marinai potevano essere osservate solo se il cielo era sereno. Infine, cicloni e tempeste erano sempre possibili e imprevedibili, anche in primavera e in piena estate, oltre che nel periodo invernale.

Eppure non si navigava nel periodo invernale, e si lasciava il porto solo a partire dalla primavera e comunque dopo avere interpellato un indovino.


Come è possibile vedere, i rischi non potevano essere evitati e la possibilità di un naufragio era sempre all'ordine del giorno. In ogni caso, i "navi-fragi" erano una costante del mondo antico.


I Musei di tutto il mondo sono oggi sovraccarichi di reperti provenienti da naufragi. Le scoperte sono fatte non di rado casualmente da appassionati di pesca subacquea. 

Nel Museo di Kamarina, in Sicilia, oggi diretto dal dr. Giovanni Distefano, si è tenuta una interessante mostra di archeologia subacquea titolata proprio “Naufragi”, con quanto è stato portato fuori dai fondali marini da navi aggredite dalle tempeste e inghiottite dalle onde. 

In questo Museo è possibile ammirare una enorme quantità di anfore che costituivano il carico di una o più “Corbìte”, navi mercantili e da trasporto. Ma, della collezione fanno parte monete, a migliaia, e lucerne, e pentolame da cucina e timoni o ruote di poppa e di prua, e gli alberi che in queste barche portavano una sola vela trapezoidale, e ancora.. decine di ancore.
                                   

                                                                      Actuaria

A volte le imbarcazioni naufragate trasportavano pregevoli opere d’arte, come è il caso dei Bronzi di Riace, ritrovati casualmente in fondali marini, pregevole carico su nave da trasporto, che oggi possono essere ammirati al Museo di Reggio Calabria. E, a proposito di statue ci sovviene una storia che si raccontava a Roma. Due soldati avevano avuto l'ordine trasportare una statua di marmo su una nave. Malauguratamente la statua, certamente pesante, scivola dalla mani dei trans-portatori e si rompe in mille pezzi. Impossibile recuperarla. La rabbia dei responsabili è tanta. Ma, la soluzione fu trovata subito. Il decumano ordina ai due responsabili di sostituire la statua frantumata con un'altra ... di uguale peso. Ma, torniamo ai naufragi.

Naufragi, che evocano terribili tragedie umane 


Il naufragio è tragedia, che accadeva quando il mare si faceva crudele all'improvviso. I naufragi coinvolgevano la ciurma e i passeggeri, che, un volta morti venivano ricordati in epitaffi scolpiti su vuoti sepolcri detti "cenotafi", innalzati in memoria di chi non era stato possibile ritrovare le spoglie . L’ “Antologia Palatina”, storica raccolta di epigrammi (*) greci sopravvissuti nel tempo, contiene non poche di queste epigrafi riferite proprio a naufragi e a quanti uomini erano colati a picco con la nave.


Noi, di queste iscrizioni funebri scolpite su cenotafi riportiamo le più significative.


Le epigrafi, che ebbero notevole fortuna in epoca alessandrina, erano solitamente composte da poeti incaricati dai familiari del defunto. Di queste epigrafi (o epigrammi)  eccone qui di seguito un esempio.     
          
(*) Epigramma: composizione poetica brevissima. Difficoltà grave dell'epigramma è la brevità stessa, che è uno dei canoni più seguiti, una delle finezze dell’arte, come ammonisce il poeta Cirillo: “L’epigramma di un distico è bello: se tocchi i tre versi, tu compili un poema, non un epigramma”. In realtà l’epigramma è solo un componimento breve, ma libero e intenso. Fa pensare alla poesia do 'Oma Khayamm agli Haiku giapponesi e all'Ermetismo italiano che agli epigrammi greci si ispira.   
                                
                                     



Ora non resta altro che il nome

O viandante che passi vicino
al mio vuoto sepolcro,
se a Chio pervieni,
al padre mio Melesàgora
annuncia
che uno scirocco malvagio
distrusse la nave, le merci
e me stesso, e del suo "Euippos"   
il “buon-cavallo” della sua vecchiaia
non resta altro che il nome.


Asclepiade, Antologia Palatina, VII-500   
                                     

Sull’antica riva

Tumulo, che la tua stele
innalzi su questo lido tempestoso
dimmi quale uomo custodisci
e il padre e la sua patria.


Fintone, figlio di Bàticle, l’Ermionèo,
un grande flutto rapì
mentre affrontava le tempeste
invernali.


Leonida di Taranto, Antologia Palatina, VII-503






Cenotafio di Epièride


Sorto al tramonto dell’Iadi, (*)
un furibondo libeccio nei flutti dell’Egeo
travolse Epièride
con la sua nave e il suo equipaggio.

Qui vedi il vuoto sepolcro
che il padre lacrimando
innalzò al figlio.


(*) Ammasso di stelle nella costellazione del Toro


Pancrate, Antologia Palatina, VI-117
                                   




Naufragio!. e fu tragedia


Io grido il nome di Tímocle,
mentre sul pelago amaro
guardo, ovunque cercando
dove sia la sua salma.


Ahi! Già la divorano i pesci,
e io in una inutile lapide
invano porto incise le parole.

Naufragio fu, e fu tragedia!


Onesto, Antologia Palatina, VII-274
                                    
        
                                                             Nave da carico


Scivolai dalla vita


La forza, il vortice di un uragano di Euro
e le onde, e la notte quando fa buio
al tramonto di Orione, mi uccisero.


Scivolai dalla vita, io, Kallàiscro,
navigando nel mar della Libia.
Sono scomparso fra i gorghi delle acque,
subito preda dei pesci.


Questa pietra che dice di coprirmi..
inganna.


Leonida di Taranto, Antologia Palatina, VII-273






Cenotafio di Teleutàgora


Mare dal cupo rumore
perché hai tu rovesciato nei fondali
il mio Teleutàgora che navigava
su una piccola imbarcazione,
con il suo povero carico?


Perché hai alzato su di lui
le tue onde avide?


Ovunque ora sia, Teleutàgora,
privo di vita,
su qualche spiaggia
sei pianto solo da aironi e gabbiani
divoratori di pesci.


Allo stesso modo, anche Timares,
mentre osserva il cenotafio vuoto del figlio
piange amaramente
la perdita del suo Teleutàgora
inghiottito dalle acque del mare.
Leonida di Taranto, Antologia Palatina, VII-652


A un giovane morto per la Patria

Anche tu Kleanòride, sei morto
per amore della Patria. Tu che sempre 
affrontavi le tempeste e i venti invernali.
Nell'età che è ancora senza dolcezze 
di donna, morivi. Chiusero le onde
del mare la tua adolescenza.                      


Anacreonte Antologia Palatina (Trad. Salvatore Quasimodo)


Un tempo fu un uomo


Guarda.. a riva sbattuto sugli scogli,
Guarda lì dove si rompono le onde del mare
ciò che rimane d’un misero naufrago.

Qui il cranio nudo, senza denti,
là le unghie delle mani, e poi
i fianchi già spolpati,
e più in là i piedi, già scheletro.

Tutta è sconvolta l’armonia del corpo.
Queste reliquie sparse,
un tempo furono un uomo.

Felice chi appena nato
non vide la luce.


Filippo di Tessalonica, Antologia Palatina, VII-383


                                     
           
                                                                Nike di Samotracia
                                   (Era posta sulla prua di una nave alessandrina)



Nomen omen?


Filone armatore
costruì una nave
e la chiamò “Nike la Salvatrice”.
Augurio di buona fortuna!
Ma, è certo che in essa,
neppure Zeus può andare
sano e salvo.


Salvatrice è un bel nome,
ma quelli che vanno per mare:
o navigano aderenti alle coste
oppure? approdano allo Stige!


Nikarko, Antologia Palatina, XI-398

Epitaffio

a un giovane morto per la patria

Anche tu, Kleanorìde, sei morto
Per amore della patria. Tu che sempre
affrontavi le tempeste ai venti invernali,
nell’età che ancora è senza dolcezze
di donna, morivi. Chiusero le onde 
del mare la tua adolescenza.

      Anacreonte
    

Di nave non fidarti mai
                                 




Naviga, e non fidarti mai di una nave,
anche se larga o fonda.
Il vento prende ogni scafo.
Un uragano uccise Promako.
Un’onda gigantesca gettò
i marinai nei vortici del mare.


Ma, la sorte non gli fu avversa.
Nella sua terra ebbe tomba e onori
funebri dai parenti, quando la furia del mare
restituì generosa il suo corpo lungo la spiaggia.
Leonida di Taranto, Antologia Palatina, VI-665

                                   
                                 
Caronte il nocchiero dell'Acheronte

Il vento dell’Ade


Non addolorarti se lontano dalla patria sei morto.
Da ogni luogo della Terra
uno è il vento che ci porta all’Ade.


Anonimus, Antologia Palatina, X-3















Come una nave..  
(allegoria di una Etèra)

Una etèra è paragonata a una imbarcazione da carico.
Equipaggio della etèra sono gli uomini. I Greci sapevano scherzare.  


Ero già buona compagna
al commercio dell’uomo,
quando egli mi allestì per l’imbarco
di Venere Pandemia.


Poi mi dipinse la chiglia
perché mi vedesse Afrodite
lontano dalla terra 
filare in alto mare.


Equipaggiata alla moda
dei più alti bordi,
ho sottile velame
e lungo i fianchi lieve color di rosa.


O naviganti, coraggio, orsù,
tutti montatemi in poppa
che io so reggere il peso
di molti rematori.


Antifilo di Bisanzio, Antologia Palatina, IX-415



Epigramma: (un distico)
Preghiera ad Afrodite benigna


Se salvi i naufraghi, Afrodite benigna,
   salva anche me che sto morendo, naufrago in Terra.

                                                                          Alceo, Antologia Palatina, V-111


Appendice

Una storia di navi, di viaggi e di pericoli.


E’ storia che si raccontava una volta in Grecia..
Fidone (ma qualcuno traduce "Fifone"), gran commerciante ateniese, avrebbe dovuto imbarcarsi per raggiungere Alessandria d’Egitto. Per affari. Ma, il viaggio in mare era sconsigliato da tutti. Ma, pure le necessità erano tante, e avrebbe dovuto andar per mare. Per forza. Dunque, pensa bene di scendere al Pireo per cercare di capire come, quando, e soprattutto a chi fosse stato meglio affidare le sue ossa in quel viaggio colmo di rischi. Era una bella giornata di sole. Mare calmo. Luce del Sole che restituiva un color verde smeraldo alle acque del porto. Miriadi di navi erano alle ancore. Altre tirate a secco. Marinai parlavano fra di loro. Altri seduti a terra riparavano reti. Fidone si avvicina a uno dei marinai e timoroso chiede: “Buon uomo - mi scusi - ma quale di queste navi che vedo, Corbìte, Tesserarie, Horeie, Prosumie, Hippagoi, quale di queste navi che io vedo qui intorno sono le più sicure?” 
La risposta mugugnata a mezza voce dal marinaio non si fece attendere: “Le più sicure? Le navi più sicure? Quelle tirate a secco, Signore”.
 
Bronzi di Riace

Massima

Quando sei nel mare
e il mare è in tempesta
Vai Dove ti porta il vento

Postilla

Il Comune di Parigi ha adottato una Corbìta (poi, Corvetta) a simbolo della Città. Sintomatico è il motto..

                                                      

                    FLUCTUAT  NEC  MERGITUR


 Ondeggia 

(sballottata dalle onde)
ma non affonda

                           Un augurio per ognuno di noi




Leggi anche:

Il mare per i Greci 


http://ginocarbonaro.blogspot.it/2012/08/il-mare-ieri-e-oggi.html


                                                         Gino Carbonaro