Ingabbiati dalla cultura
Delitto d’onore!
Storia dimenticata dei Siciliani di una volta
Sino a qualche anno fa c’era nel popolo siciliano qualcosa che probabilmente non si ritrovava in nessuna parte del mondo. Parliamo del concetto di onore.
Due uomini parlavano, prendevano un accordo, si impegnavano sulla loro parola, ed era un patto che siglava un atto.
L'accordo era sigillato da una parola d’onore. Ed uomini d’onore erano quelli che si impegnavano a mantenere l’accordo.
Il patto d'onore
Il patto d’onore era indissolubile e poteva essere sciolto solo dalla morte. Non importava che l’accordo fosse commerciale, legale o illegale. L'accordo univa le due persone, le rendeva compari o complici, legati allo stesso destino nella indissolubilità di un patto che doveva essere rispettato. Tutto era compiuto all’insegna dell’assoluto, dell’immodificabile secondo una logica super-umana.
Era impensabile che il patto siglato da una stretta di mano e garantito da due persone d’onore non venisse onorato. Se ciò fosse accaduto, le conseguenze sarebbero state tragiche. E ciò era risaputo da tutti. Chi non manteneva l’impegno, agli occhi del Siciliano di qualche decennio fa, era un disonorato che non meritava di continuare a vivere su questa terra e pertanto doveva tornare là da dove era venuto. Seppellito. A mangiare terra (si diceva così!). L’affronto, gravissimo, che in dialetto si diceva "sgarru", poteva essere lavato solo col sangue, sciolto con la morte di chi aveva avuto la superficialità e l’arroganza (ma si diceva superbia) di non mantenere la sacra parola dell’onore.
Parimenti veniva macchiato di disonore chi aveva ricevuto lo sgarbo, colui che era stato leso nella sua dignità di uomo, qualora non avesse provveduto a lavare nel sangue il terribile affronto. In questo caso avrebbe subìto una terribile sanzione sociale: il disprezzo della collettività e con esso la emarginazione del gruppo (chiddu? eni omu di m-merda!).
Faida
La Legge dell’Onore era un aspetto della faida, di una arcaica legge naturale che sanciva il ricorso alla vendetta personale per lavare l’onta dell’affronto subito. Il principio della faida è etologico. La specie umana, come quella animale, seleziona i migliori, i più forti, ed elimina inesorabilmente i vigliacchi. Chi subisce un affronto, chi ha subito "’na tagghiatina ’i facci" senza reagire è verme, e non merita di appartenere a un gruppo di persone onorate; e se non ha la forza di far valere il suo diritto, merita di non appartenere alla onorata famiglia dei siciliani.
A ben vedere è la legge che regola gli appartenenti alla mafia. Ogni patto deve essere punto di riferimento assoluto, vita natural durante. Così per la punizione, che discende dallo sgarro e si potrebbe definire vendetta.
A ben vedere è la legge che regola gli appartenenti alla mafia. Ogni patto deve essere punto di riferimento assoluto, vita natural durante. Così per la punizione, che discende dallo sgarro e si potrebbe definire vendetta.
L’etica familiare dei Siciliani
Da questa cultura dell’onore e del rispetto discendeva l’etica delle famiglie. Nella Sicilia di una volta il marito era capo indiscusso della famiglia, aveva potere sulla moglie che era obbligata ad eseguire le sue volontà.
Da questa cultura dell’onore e del rispetto discendeva l’etica delle famiglie. Nella Sicilia di una volta il marito era capo indiscusso della famiglia, aveva potere sulla moglie che era obbligata ad eseguire le sue volontà.
Ogni maschio è "uomo di rispetto" solo se si fa rispettare, ed è perciò "’ntisu", cioè se la sua parola ha un suo peso specifico e viene ascoltata.
Chi gestisce l’immagine pubblica è il maschio. E' l'uomo che ha responsabilità sulla famiglia che, se vuole essere rispettata deve essere di riflesso "onorata". L’onore della famiglia è dato da tre cose fondamentali: dal lavoro del capofamiglia, dalla fedeltà della moglie e dalla verginità delle figlie femmine.
La moglie che tradisce il marito ha infranto una promessa fatta in chiesa davanti al sacerdote. Non ha mantenuto la parola data e di conseguenza rende "cornuto" il marito (affronto terribile!) disonorando la famiglia e il clan. Per il marito che ha subìto lo "sgarro" il dilemma non era "cornuto". Difatti, non offriva alternativa. La scelta? (si fa per dire!) Uccidere probabilmente in un giorno di festa o soltanto di domenica e sulla pubblica piazza, davanti a tutti, coram populo, in forma ufficiale e spettacolare, colui che gli aveva mancato di rispetto mettendogli la corona (corna o corona sono termini linguisticamente sinonimi). La stessa fine avrebbe potuto fare la moglie che solo nel migliore dei casi sarebbe stata arrestata, e dopo “equo processo” messa in carcere, colpevole di alto tradimento. Tanto prevedeva l'antico codice italiano.
Più grave era la situazione socio-familiare quando a subire violenza sessuale da parte di un uomo era una giovane donna. Tanto si verificava anche nel caso in cui un giovane fidanzato avesse preteso la “prova d’amore” prima del matrimonio, ma successivamente non avesse mantenuto la promessa di portarla all’altare.
Ancora una volta, l’onta dell’offesa avrebbe coinvolto non solo la ragazza non più vergine, che perciò diventava svergognata, disonorata (si diceva "sbrugnata"), ma anche la famiglia estesa ai parenti collaterali, tutti disonorati per “simpatia” in seguito alla perdita della verginità della ragazza e all’atto violento. E tutti in attesa di recuperare l’onore. Anche in questo caso, per recuperare l’onore della famiglia la via era quella sacrificale. Lavare nel sangue l’onta subita. Sola differenza era che in questo caso l’esecuzione di morte, per essere piena e totale, doveva essere fatta dalla ragazza che aveva subito l'affronto. Anche in questo caso il sacrificio doveva avvenire davanti a tutti. E la legge? La legge italiana, fino al 1 settembre 1975, prevedeva il delitto d’onore (e lo giustificava) facendo sì che la punizione del reo non superasse i due-tre anni di carcere. Ma si trattava di una "lex" che, paradossalmente poteva essere applicata solo in Sicilia (Regione a Statuto Speciale!). A riconoscimento delle sue arcaiche leggi.
Ancora una volta, l’onta dell’offesa avrebbe coinvolto non solo la ragazza non più vergine, che perciò diventava svergognata, disonorata (si diceva "sbrugnata"), ma anche la famiglia estesa ai parenti collaterali, tutti disonorati per “simpatia” in seguito alla perdita della verginità della ragazza e all’atto violento. E tutti in attesa di recuperare l’onore. Anche in questo caso, per recuperare l’onore della famiglia la via era quella sacrificale. Lavare nel sangue l’onta subita. Sola differenza era che in questo caso l’esecuzione di morte, per essere piena e totale, doveva essere fatta dalla ragazza che aveva subito l'affronto. Anche in questo caso il sacrificio doveva avvenire davanti a tutti. E la legge? La legge italiana, fino al 1 settembre 1975, prevedeva il delitto d’onore (e lo giustificava) facendo sì che la punizione del reo non superasse i due-tre anni di carcere. Ma si trattava di una "lex" che, paradossalmente poteva essere applicata solo in Sicilia (Regione a Statuto Speciale!). A riconoscimento delle sue arcaiche leggi.
E’ questa la cultura che regolava i comportamenti dei Siciliani sino o poco meno di quarant’anni fa. Tanto è documentato da un libro importantissimo, oggi dimenticato, forse rimosso, intitolato “Le svergognate”, pubblicato nel 1963, la cui autrice Lieta Harrison, di padre americano e madre inglese è nata a Ragusa durante la seconda guerra mondiale.
Gino Carbonaro