Parasite di Bong Joon-ho
Commento
Gino Carbonaro
Quando Parasite (Parassita), film coreano di Bong Joon-ho riceve la Palma d’oro al Festival internazionale del cinema di Cannes, e subito dopo l’americano Oscar, oltre a decine di altri riconoscimenti e premi per migliore regia (Bon Joon-ho), migliore sceneggiatura (dello stesso regista), migliore attrice, migliore attore non protagonista, insomma migliore in tutto, ed è successo internazionale a pieno titolo, con i più grandi incassi, è atto dovuto non perdere la visione del film quando questo viene proiettato a Ragusa, al cinema Lumière.
Ma, ecco la storia. I membri della famiglia Ki-taek (due genitori, una figlia e un figlio) intelligenti, geniali, colti, ma tutti disoccupati, sono alla disperata ricerca quotidiana di un qualsiasi lavoro, pur di racimolare quel tanto che serve per guadagnare un pranzo, una cena. Di fatto si tratta di una famiglia omega, una delle tante che vive ai margini della società, in uno squallido e deprimente seminterrato, nei bassifondi di una grande città coreana. Famiglia senza storia, senza futuro, senza speranza.
Da subito, però, una novità. Bussa alla porta ed entra in casa un amico del figlio, studente universitario, che ha un lavoro, e insegna privatamente inglese alla figlia di un ricchissimo industriale informatico, e, dovendo recarsi all’estero per qualche tempo, aveva pensato di passare la sua occupazione all’amico Ki-woo. Segnalerà e raccomanderà lui il suo amico alla raffinata e delicata padrona di casa, la signora Park. Dunque, finalmente un lavoro. Insperata fortuna. Che però, viene subito spiegata col fatto che l’amico porta con sé una roccia “portafortuna”. Roccia che l’amico lascia in custodia alla famiglia, certo che potrà portare fortuna anche a loro.
Come si pensava, il giovane Ki-woo avrà il lavoro dell’amico, e da quel momento si aprirà ai suoi occhi un mondo che non aveva mai immaginato: quello della ricchissima famiglia Park, che vive in un lusso a lui sconosciuto: una enorme villa mozzafiato costruita dal più famoso architetto coreano, arredi modernissimi, spazi a non finire, giardino con prato verde e alberi esotici, una governante, una maestra d’arte per il figlioletto, un professore di inglese per la figlia, un autista personale. Insomma, il sogno mai sognato di una famiglia povera, che non riusciva a sbarcare il lunario. Una fortuna certamente dovuta alla magica pietra. Difatti, pian piano, entrato nelle simpatie della famiglia, il nuovo insegnante di lingua inglese Ki-woo riesce a sistemare in quella casa anche per i membri della sua famiglia. Però, il modo con cui riuscirà a trovare un lavoro anche a sorella, padre e madre nella famiglia Park è spietato, proprio di chi non ha scrupoli. La sorella sostituirà la maestra del bambino, che era andata via, ma il padre, Kim Ki-taek, prenderà il posto dell’autista di famiglia solo perché la figlia riesce a far licenziare quest’ultimo grazie ad un crudele escamotage, e la madre Choong-sook riuscirà a prendere il posto della governante ufficiale, che tutti i membri della famiglia fanno licenziare facendola passare per tubercolotica.
La roccia magica, ha dunque fatto il suo dovere. La fortuna ha baciato la famiglia sfortunata. Tutto sembra cambiato per il meglio. Ma, è a questo punto che il film prende una piega inaspettata, proprio quando la famiglia Park decide di regalarsi una breve vacanza, lasciando la villa in custodia alla nuova governante. Ghiotta opportunità per la famiglia Ki-taek, per andare a vivere tutti insieme nella lussuosa dimora in assenza dei legittimi proprietari.
Euforici per la inaspettata fortuna, la famiglia Ki-taek cena e si ubriaca con whiskey preso nella cantina della villa, utilizzando, perché no, il lussuoso bagno dei Park, i suoi profumi, i suoi saponi speciali, vivendo di fatto una dimensione di vita mai conosciuta. Ed è questa la trama del film che giustifica il titolo “Parasite”, di parassiti, egoisti e profittatori.
Da questo momento, però, il film si carica di imponderabili imprevisti. Difatti. Mentre i membri della famiglia Ki-taek ridono, scherzano e si sollazzano, brindando alla insperata fortuna, qualcuno suona il campanello del cancello. I “profittatori” ammutoliscono, mentre corrono a guardare al video-citofono, dove, sotto la pioggia battente di un temporale, appare tutto bagnato il viso della governante che avevano fatto licenziare. Dapprima pensano di non rispondere, ma alla fine la signora Ki-taek dà la voce. La ex-governante chiede di poter entrare solo per poco, per ritirare qualcosa che ha dimenticato di prendere quando è andata via. La motivazione è credibile, e la signora Choong-sook la fa entrare per scoprire che la inattesa visita aveva un altro scopo. La ex-governante era venuta per incontrare il marito che da anni vive nascosto nei sotterranei della villa. Scelta decisa, quella di stare nascosto sottoterra, per sfuggire alla ricerca dei molti creditori che lui aveva danneggiato.
Qui, la svolta. La ex-governante intuisce che sono stati proprio loro a farle perdere il lavoro, capisce di trovarsi davanti a persone senza scrupoli, e reagisce riprendendo col suo cellulare tutta la famiglia Ki-taek all’interno della villa, registrazione che avrebbe fatto vedere ai signori Park.
Ed è a questo punto che scoppia una lotta per ottenere il possesso del cellulare. Scontro all’ultimo sangue. Qui il film rivela che la battaglia avviene fra miserabili che difendono il loro diritto a vivere. Ed è guerra, che combattono come cani per stabilire a chi spetta l’osso della sopravvivenza, senza dimenticare che il tutto si svolge all’ombra di un benessere smisurato, quello di un industriale dall’olfatto finissimo che aveva notato come tutta la sua servitù puzzava. Ed era la puzza che ristagna sul corpo dei poveri, degli emarginati, dei vinti.
Mentre i protagonisti lottano corrono, si inseguono, fuggono, suona il telefono. La signora Choong-sook sa che deve rispondere, e chi chiama è la signora Park, la quale comunica il loro rientro, dal momento che è scoppiato un terribile temporale che rende impossibile la loro vacanza. A questo punto, il caos. Un imprevisto che mette la famiglia in crisi, perché bisogna rimettere tutto in ordine e fare in modo che al loro ritorno tutto possa tornare normale.
Ma, è proprio qui che riteniamo giusto non dar seguito al racconto del film.
A noi basta dire che la “pellicola” affronta uno dei problemi più angoscianti della nostra epoca: il rapporto fra ricchi e poveri, tra fortunati e sfortunati, fra vincitori e vinti. Di fatto, in questo film non c’è un primo protagonista, ma solo attori che recitano sul palcoscenico della vita. Perché il vero protagonista, se mai ce n’è uno, è la vita, con le sue violenze, le sue angosce, le sue lotte quotidiane per fissare a chi spetta sopravvivere nella giungla di questo pianeta Terra. Ed è film che per la prima volta orienta la cinepresa su un problema sociale nel quale tutti possiamo riconoscerci, costretti tutti a riflettere sul senso del nostro esistere, a meditare su un tema di vera filosofia.
A noi non spetta indicare il finale del film, abbiamo già detto, che può essere classificato nella categoria delle tragedie di tipo greco, accostandolo a ad Eschilo, Sofocle o Euripide. A scelta. Film amaro, ma potente, che pone un problema senza dare la sua soluzione. Gli ingredienti ci sono tutti. La mancanza di scrupoli, la menzogna, la capacità di cogliere al volo una occasione per avere un vantaggio, la lotta spesso all’ultimo sangue per poter sopravvivere, la aggressività. Ed è proprio in questo tema che ognuno di noi si riconosce, perché proprio questa è la vita.
Certamente il film non diventa un capolavoro e un successo mondiale solo per il racconto. Il film è grande per come viene raccontato, chiamando in causa fotografia, sceneggiatura, montaggio, effetti speciali, interpretazione e ovviamente la regia, non dimenticando che per tutta la durata della rappresentazione lo spettatore subisce una sorta di transfer che psicologicamente lo porta all’interno del racconto tenendolo in costante emozione e fibrillazione.
Chiudiamo affermando che il film rappresenta una pagina fondamentale nella Storia del Cinema, tenendo presente che il contenuto lascia registrare componenti culturali che attengono all’Oriente e all’Occidente. Tanto va detto perché la roccia portafortuna fa parte della cultura orientale, dimostra che l’aggancio alla fortuna richiama la Tyche di stampo greco, il Fato che decide il destino degli umani, ricordando il proverbio latino, il quale recita.. “Homo semper aliud, Fortuna aliud cogitat” (L’uomo pensa una cosa, ma la Fortuna ne pensa un’altra). Ed è quello che è accaduto in questo Film: lo spettatore pensa una cosa, ma il regista ci prende per mano e ci porta dove vuole lui per farci capire cosa può accadere in questo mondo.
il film ha la firma coreana, il riferimento alla Pizza e soprattutto la musica adottata, oltre a tante altre cose, sono un classici riferimenti della cultura occidentale.
Quando Parasite (Parassita), film coreano di Bong Joon-ho riceve la Palma d’oro al Festival internazionale del cinema di Cannes, e subito dopo l’americano Oscar, oltre a decine di altri riconoscimenti e premi per migliore regia (Bon Joon-ho), migliore sceneggiatura (dello stesso regista), migliore montaggio, migliore attrice, migliore attore non protagonista, insomma migliore in tutto, ed è successo internazionale a pieno titolo, con i più grandi incassi, è atto dovuto non perdere la visione del film quando questo viene proiettato a Ragusa, al cinema Lumière.
Ma, ecco la storia. I membri della famiglia Ki-taek (due genitori, una figlia e un figlio) intelligenti, geniali, colti, ma tutti disoccupati, sono alla disperata ricerca quotidiana di un qualsiasi lavoro, pur di racimolare quel tanto che serve per condividere un pranzo, una cena. Di fatto si tratta di una famiglia omega, una delle tante che vive ai margini della società, in uno squallido e deprimente seminterrato, nei bassifondi di una grande città. Famiglia senza storia, senza futuro, senza speranza.
Da subito, però, una novità. Bussa alla porta ed entra in casa un amico del figlio, studente universitario, che ha un lavoro, e insegna privatamente inglese alla figlia di un ricchissimo industriale informatico. E, dovendo recarsi all’estero per qualche tempo, aveva pensato di passare la sua occupazione all’amico Ki-woo. Segnalerà e raccomanderà lui il nome del suo amico alla raffinata e delicata padrona di casa, la signora Park. Dunque, finalmente un lavoro. Insperata fortuna. Che però, viene subito spiegata col fatto che l’amico porta con sé una roccia “portafortuna”. Roccia che l’amico lascia in custodia alla famiglia, certo che potrà portare fortuna anche a loro.
Come si pensava, il giovane Ki-woo avrà il lavoro dell’amico, e da quel momento si aprirà ai suoi occhi un mondo che non aveva mai immaginato: quello della ricchissima famiglia Park, che vive in un lusso a lui sconosciuto: una enorme villa mozzafiato costruita dal più famoso architetto coreano, arredi modernissimi, spazi a non finire, giardino con prato verde e alberi esotici, una governante, una maestra d’arte per il figlioletto, un professore di inglese per la figlia, un autista personale. Insomma, il sogno mai sognato di una famiglia povera, che non riusciva a sbarcare il lunario. Una fortuna certamente dovuta alla magica pietra. Difatti, pian piano, entrato nelle simpatie della famiglia, il nuovo insegnante di lingua inglese Ki-woo riesce a trovare in quella casa un lavoro anche per i membri della sua famiglia. Però, il modo con cui riuscirà a sistemare sorella, padre e madre nella famiglia Park non è regolare. La sorella sostituirà la maestra del bambino, che era andata via; ma il padre, Kim Ki-taek prenderà il posto dell’autista di famiglia solo perché la figlia riesce a farlo licenziare grazie ad un crudele escamotage, e la madre Choong-sook riuscirà a prendere il posto della governante ufficiale, che tutti i membri della famiglia fanno licenziare facendola passare per tubercolotica.
La roccia magica, ha dunque fatto il suo dovere. La fortuna ha baciato la famiglia sfortunata. Tutto sembra cambiato per il meglio. Ma, è a questo punto che il film prende una piega inaspettata, proprio quando la famiglia Park decide di regalarsi una breve vacanza, lasciando la villa in custodia alla nuova governante. Ghiotta opportunità per la famiglia Ki-taek, per andare a vivere nella lussuosa villa in assenza dei legittimi proprietari.
Euforici per la inaspettata fortuna, la famiglia Ki-taek si trasferisce nella villa, e cena e si ubriaca di whiskey preso nella cantina della villa, utilizzando, perché no, il lussuoso bagno dei Park, i suoi profumi, i suoi saponi speciali, vivendo di fatto una dimensione di vita mai conosciuta. Ed è questa la trama del film che giustifica il titolo “Parasite”, di parassiti profittatori.
Da questo momento, però, il film si carica di imponderabili imprevisti. Difatti, mentre i membri della famiglia Ki-taek ridono, scherzano e si divertono, brindando alla insperata fortuna, qualcuno suona il campanello del cancello. I “profittatori” ammutoliscono, mentre corrono a guardare al video-citofono, dove, sotto una pioggia battente, appare tutto bagnato il viso della precedente governante, quella che loro avevano fatto licenziare. Dapprima pensano di non rispondere, ma alla fine la signora Ki-taek dà la voce. La ex-governante chiede di poter entrare solo per poco, per ritirare qualcosa che ha dimenticato di prendere quando è andata via. La motivazione è credibile, e la signora Choong-sook la fa entrare per scoprire subito dopo che la inattesa visita aveva un altro scopo. La ex-governante era venuta per portare da mangiare al marito che da anni vive nascosto nei sotterranei della villa. Scelta decisa, quella di stare nascosto sottoterra, per sfuggire alla ricerca dei molti creditori che lui aveva danneggiato.
Qui, la svolta. La ex-governante intuisce che sono stati proprio loro a farle perdere il lavoro, capisce di trovarsi davanti a persone senza scrupoli, e reagisce riprendendo col suo cellulare tutta la famiglia Ki-taek all’interno della villa, registrazione che avrebbe fatto vedere ai signori Park.
Ed è a questo punto che scoppia una lotta terribile per ottenere il possesso del cellulare. Scontro all’ultimo sangue. Qui il film rivela che la battaglia avviene fra miserabili che difendono il loro diritto a vivere. Ed è guerra naturale, che combattono all’ultimo sangue come cani per stabilire a chi spetta l’osso della sopravvivenza, senza dimenticare che il tutto si svolge all’ombra di un benessere smisurato, quello di un industriale dall’olfatto finissimo che aveva notato come tutta la sua servitù puzzava. Ed era la puzza che ristagna sul corpo dei poveri, degli emarginati, dei vinti.
Mentre i protagonisti lottano, fuggono, si inseguono, suona il telefono. La signora Choong-sook sa che deve rispondere, e chi chiama è la signora Park, la quale comunica il loro rientro, dal momento che è scoppiato un terribile temporale che rende impossibile la loro vacanza. A questo punto c’è il caos. Un imprevisto che mette la famiglia in crisi, perché bisogna rimettere tutto in ordine e fare in modo che al loro ritorno tutto possa tornare normale.
A questo punto, è giusto non raccontare il seguito del seguito del film.
A noi basta dire che il film affronta uno dei problemi più angoscianti della nostra epoca: il rapporto fra ricchi e poveri, tra fortunati e sfortunati, fra vincitori e vinti. Di fatto, in questo film non c’è un primo protagonista, ma solo attori protagonisti che recitano sul palcoscenico della vita. Perché il vero protagonista, se mai ce n’è uno, è la vita, con le sue violenze, le sue disperate angosce, le sue lotte quotidiane per fissare a chi spetta sopravvivere in questa giungla della vita. Ed è film che per la prima volta orienta la cinepresa su un problema sociale nel quale tutti possiamo riconoscerci, costretti tutti a riflettere sul senso del nostro esistere, a meditare su un tema di vera filosofia.
A noii non spetta indicare il tragico finale del film, che può essere classificato nella categoria delle tragedie di tipo greco: accostandolo a scelta ad Eschilo, Sofocle o Euripide. Film tragico, amaro, ma potente, che pone un problema senza dare la risposta. Gli ingredienti ci sono tutti. La mancanza di scrupoli, la menzogna, la capacità di cogliere una occasione per avere un vantaggio, la lotta quotidiana spesso all’ultimo sangue per poter sopravvivere. Ed è proprio in questo tema che ognuno di noi si riconosce, perché proprio questa è la vita.
Certamente il film non diventa capolavoro assoluto solo per il racconto. Il film è grande per come viene raccontato, chiamando in causa fotografia, sceneggiatura, il montaggio, effetti speciali, e ovviamente la regia, non dimenticando che per tutta la durata della rappresentazione lo spettatore subisce una sorta di transfer che psicologicamente lo porta all’interno del racconto tenendolo in costante continua fibrillazione.
Chiudiamo affermando che il film rappresenta una pagina fondamentale nella Storia del Cinema, tenendo ancora presente il travaso oriente-occidente. Tanto va detto perché, mentre il film ha la firma coreana, il riferimento alla Pizza, la musica adottata, e tante altre cose, sono un classico riferimento all’Occidente.
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