Dal siciliano alla lingua italiana
Limiti delle traduzioni
Spesso accade di dover tradurre in italiano qualche frase siciliana, ed è allora che si nota una differenza fra le due lingue. È come se italiano e siciliano, che pure sono lingue gemelle, ci fosserò delle diversità.
Per capire la differenza fra siciliano e italiano facciamo nostra la teoria di Giambattista Vico. Il filosofo napoletano formulò nel Settecento l’ipotesi che la storia dell’uomo e anche il suo linguaggio evolvono seguendo tre momenti: quello del senso, quello della fantasia e quello della ragione.
Il primo momento attiene alla lingua dell’uomo-scimmia che da poco si è posto in posizione eretta. In questa fase il linguaggio umano si esprime in forma cruda, sintetica, essenziale e fa uso di segnali del corpo e di movimenti mimetici. Nella seconda fase, la lingua evolvendo diventa creativa, fantastica, poetica, calda, e si amplia facendo uso di similitudini e di analogie. Nel terzo momento, la lingua è lineare, funzionale, ma fredda.
La differenza fra siciliano e italiano è da ricercare nel fatto che la prima è lingua creativa, poetica e calda, la seconda è lingua funzional-discorsiva e moderna.
Nella Sicilia di qualche anno fa una madre notava che i figli litigavano in continuazione e infastidita commentava: “Siti com’ê cani ch’ê jatti!” La lingua italiana scarta la versione analogica “siete come cani e gatti”, fra l’altro cacofonica, e dice funzionalmente che i ragazzi “litigavano come dannati”. Il concetto è lo stesso, ma il percorso linguistico adottato è diverso.
Così, di ragazzi che non studiano, non rispettano le cose degli altri e fanno dannare i loro genitori, un siciliano di vecchio stampo, sempre riferendosi a quei giovani, potrebbe fotografare l’evento con la frase: “Pigghiaru a strata d’âçitu!” La “via dell’aceto” è quella che prende il vino che si inacidisce nella botte. Il proprietario assaggiandolo, nota che il vino comincia a cambiare gusto, sospetta il cambiamento di stato del liquore attaccato dai microbatteri, capisce che il processo è irreversibile e sentenzia fatalisticamente: “Stu vinu pigghiau a strata d’â çitu”. La lingua italiana potrebbe tradurre lo stesso concetto con “questi ragazzi si stanno perdendo”, o frasi similari. Nelle due lingue, l’idea è la stessa, ma la forza di trasmissione è diversa. Lo stesso vale per frasi intraducibili come “Iu mŭnuzzu a çipudda e a ttia t’abbruscănu l’ôcchi” o anche “a jaddina fa l’ôvo e jaddu ci abbrusca u culu”, che vorrebbero dire: “Il problema è mio, perché ti immischi”: Gli esempi potrebbero continuare. La differenza fra le due lingue è la stessa che si registra nel campo dell’informatica fra analogico e digitale. Ma, il passato è passato. Non si può tornare indietro, anche se l’analogico, con le sue sbavature, i suoi fruscìi, il suo calore aveva il suo fascino.
Gino Carbonaro
Articolo pubblicato giovedì 12 0ttobre 2006 nella rubrica "Cultura & Spettacoli" del quotidiano "La Sicilia"
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