Le Verdi Praterie
L'Anarchia spiegata a mia figlia
Commento di Gino Carbonaro
Pippo carissimo ho appena finito di leggere lentamente ma avidamente il tuo saggio-documento titolato “l’Anarchia spiegata a mia figlia”. Ritengo lo scritto un atto dovuto. Una auto-analisi lucida doverosa e corretta della tua “filosofia dell’esistere”.
In realtà, il libretto dà modo di conoscere te, come persona, prima ancora di conoscere il progetto-programma politico di un anarchico puro.
Personalmente, io ho conosciuto te, prima di sapere cosa è l’anarchia. E di te ho percepito da subito una struttura mentale etica. E subito dopo ho dovuto ritenere corretto il fatto che le tue idee politiche poggiavano sulla morale. Personalità, la tua, che aveva come obiettivo la realizzazione di un uomo nel suo rapportarsi con gli altri. L’uomo col suo impegno sociale. Uomo come parte di una complessa ragnatela sociale all’interno della quale tutti operiamo, dando il nostro contributo e soprattutto un significato (leggi valore) alla vita che viviamo, al viaggio che stiamo facendo tutti insieme. Tutti noi particelle di una complessa sinapsi sociale.
Questa la percezione mia di te, e questo di te custodisco, con grande stima e ammirazione. Tu uomo con la “U” maiuscola. Curioso, attento per cercare di capire come va il mondo, come bisogna comportarsi con gli altri, come bisogna agire per realizzare un mondo diverso e migliore, un mondo realizzato da una idea. E per questo ho registrato la tua fame di cultura, la curiosità, l’impegno, la fattività sociale, il rispetto che nutri per gli altri. Molto di te è dentro di te protetto dalla grande ammirazione che i tuoi amici nutrono per te. Perché? Perché anche io ritengo che quello che deve possedere un uomo in questa società è la morale. l’Etica. E qui va richiamato l’etimo greco del termine:
Éthos = comportamento.
Per i Greci era importante intercettare nella persona il “pedigree” della famiglia, cioè le qualità migliori della famiglia, l’onestà soprattutto, dunque l’éthos. E era questa l’aureola del personaggio.
- Famiglia di persone che eccellevano in virtù = éthos virtuoso.
- Famiglia poco onesta = Individuo poco affidabile
- E questo vale per tutti noi, anche se per me, il tuo éthos, dopo aver letto “Le verdi praterie”, vale ancora di più.
Nel capitoletto titolato “Il partito” (suo ruolo, percezione e funzione) del libro “Le verdi praterie”, tu scrivi: “Per tutti noi, più che una organizzazione politica, il partito era relazioni, comunità, amicizie, lavoro, passione, scuola, chiesa, passato, presente, futuro (...) Non era pensabile un frammento di vita cui il partito fosse assente. Ai matrimoni, ai battesimi, alle feste consacrate e a quelle sconsacrate, nel dolore e nelle gioia: lutti, nascite, malattie, era sempre l’ambiente del partito a ritrovarsi (...) Noi bambini crescevamo in quel quel clima, portandoci addosso quel marchio che ci avrebbe condizionato per tutta la vita (...) Il partito era dimensione di vita totale”.
Questo è quello che tu affermi, e questo è il marchio ideale che è rimasto dentro di te. Una realtà da sogno. Un mondo che ritrovavi in quella famiglia allargata, amichevole, affettuosa, onesta, ideale degli appartenenti al partito comunista, dove era possibile incontrare di tanto in tanto un vecchietto, uomo-non-ricco, che per dimostrare il suo affetto verso te bambino ti donava un uovo ogni volta che sapeva di poterti incontrare. Un uovo che per lui, che forse aveva conosciuto la fame, era prezioso, ed aveva un valore materiale e ideale.
Per me lettore di quei passi che tu rivivi, è tutto un sogno. Un mondo buono, fatto di rispetto, di affetto, di altruismo, di lotta anche, per difendere questa realtà, questo ideale realizzato che non era nell’iperuraneo platonico, non era nel pensiero di qualcuno, ma era veramente esistito. Era questa la infanzia dei tuoi ricordi. Questo il marchio che avrebbe condizionato fortemente la tua vita. E poi? Poi c’era tuo padre, “uomo buono fra i buoni”, che trasformava la sua sofferenza antica di bambino pastorello in bontà, in una sorta di disperato altruismo etico, di ”solidarietà”, quando fissava il concetto che bisognava aiutare chi aveva bisogno, e perciò si prodigava nel fare trovare un sussidio, un aiuto anche minimo, ma necessario “a quei poveri che credevano al cambiamento della propria condizione e della società, di un movimento di persone che recava con sé la speranza di un mondo migliore”.
Poi, lentamente tuo padre diventò cieco, ma non si considerò mai un perdente. Cieca per lui (e per te) rimase la società nella quale viviamo. Società alla quale tu con sforzo cerchi di prestare un occhio, per far vedere come va il mondo e come dovrebbe andare.
Ma nel tuo DNA c’è anche tuo nonno Papè, l’uomo che ha conosciuto la fame vera, “...con i figli cresciuti malamente a fave e crusca, uomo vissuto in topaie adattate a casa, povere tane senza luce e aria, se non quella che permetteva la porta d’ingresso (...) uomo vissuto con una guerra assurda alle sue spalle strappata al lavoro e ai suoi cari per la conquista della Libia. Poi, tre anni al confine austriaco”, con il corpo straziato “da colonie di cimici che avevano preso residenza fissa sul suo corpo”.
Guerra che divorava i suoi figli. Guerra assurda. Imposta da altri. Dal Governo. Dal potere. Vita vissuta nella continua inclemenza di ingiustizie umane. Da qui la rabbia. Da qui il bisogno di un riscatto (ansia di riscatto, tu la chiami). La speranza in un mondo migliore, dove necessità e dovere era quella di opporsi “alla legge del nerbo e del bastone, agli infami che stavano al servizio dei Padroni, dei Baroni, alle guardie del Dazio corrotte e vili..” perché tutto era “frutto di una vita ingrata”.
Ed è proprio in questo libro “Le verdi praterie” che è possibile leggere la vita dei tuoi antenati, che è calco della vita sociale del tempo. Dove è possibile rilevare il passaggio dalla pagina di diario autobiografico alle pagine di storia che riguardano quasi tutta la società di un tempo. Mio nonno e mio padre inclusi.
L’Anarchia è ideologia e progetto di vita che condanna il potere e le ingiustizie in tutte le sue forme e lo attacca per eliminarlo, perché ognuno possa guadagnarsi una fetta di libertà meritata, che ad ognuno spetta di diritto.
Il programma dell’anarchico ricalca gli ideali principi della Rivoluzione Francese tuttora inscritti nel programma, nella bandiera e nell’animo del libertario:
Liberté, Fraternité, Ėgalité.
Principi-valori ideali che ogni uomo che transita su questa Terra deve fare suoi. Questi principi sono le Fiaccole che devono illuminare il cammino di ognuno di noi.
Il principio di libertà contiene implicitamente l’idea di lotta contro tutte le oppressioni, contro ogni autorità, e la lotta per la Giustizia sociale, lotta contro Chi (ma “Chi”) costringe anche oggi gli uomini alla miseria. E se l’anarchico non può realizzare tanto, può certamente essere un modello di vita sana, corretta, umana, fraterna, etica. Uomo che considera la sua vita una missione: convincere i ciechi, i pigri, gli egoisti, gli ignavi a muoversi per cercare di cambiare questa società, per estirpare ogni tipo di male.
A questo punto, nella lettura de “L’Anarchia spiegata a mia figlia”, dove tu spieghi a tua figlia (cioè a tutti noi) quello che è anche il tuo progetto di vita, io rilevo due momenti:
Il primo: una analisi lucida, una radiografia spietata della società e delle lordure e storture che la contraddistinguono. Il secondo momento mostra l’orizzonte lontano, forse irraggiungibile perché, si sa, che per chi va avanti l’orizzonte cambia, si sposta sempre. Ed è all’orizzonte che tu vedi come oasi lontana nel deserto di valori della vita e non vuoi chiederti se quello che vedi è miraggio o realtà.
Così rivivi il mondo vero della tua infanzia, il mondo sognato da tuo nonno, quello vissuto da tuo padre, da te, dalla società del passato, da quelli del partito, dai poveri, dagli assetati di giustizia. Mondo sognato e descritto tante volte da scrittori e filosofi. Fra i tanti mi transita per la mente la Repubblica di Platone. La Città del Sole di Campanella, Utopia di Tommaso Moro. Tutti pensatori alla ricerca di un mondo diverso e migliore. Così è il sogno. Così la tua Utopia.
Ma un mondo migliore è stato da sempre auspicato, sognato e vissuto da tutti gli uomini del passato nel periodo di Carnevale. Mondo “quando nessuno era costretto a lavorare, quando ogni cosa germogliava senza semi e senza bisogno di aratro, e questo accadeva “in tempi felici, quando tutti gli uomini erano onesti e dal carattere d’oro, e nessuno era servo e nessuno era padrone. Ė Saturno che parla e dice: “Questo era il mio regno, e quella fu l’Età dell’oro per l’umanità”. Parole di un Dio.
Le festività del Saturnale in Roma erano quelle dell’odierno Carnevale, dove per tutto quel periodo è festeggiata una idea: quella di un mondo diverso e spensierato.
La differenza con il tuo/vostro progetto di società diversa e migliore? E’ la fede-certezza che l’uomo possa modificare le incontrovertibili leggi della sua natura. La speranza-certezza che l’uomo possa capire che la violenza è crimine, che l’egoismo è peccato, che il bene esiste per tutti e per questo bene bisogna lottare e vivere. Realtà che si mescola col sogno.
Questo il secondo momento, che non è una analisi della realtà, ma l’idea che possa essere pensata, costruita, inventata con la volontà e la solidarietà una società giusta, sana, dove gli uomini possano sentirsi uniti da un afflato fraterno. E’ una idea. E’ una speranza. O forse soltanto una Utopia?
I due momenti, richiamano alla memoria le due facce di una medaglia con-legate da un cordolo. Il passaggio dall’una faccia (realtà) all’altra (ideale) è rappresentato dalla Rivoluzione, che è certamente un salto nel buio: rischioso, salto, nel buio. Perché si ritiene che chi ha creato questo mondo assurdo possa di punto in bianco togliersi la pelle, cambiare d’abito e modificarsi. Fra l’altro porre una idea a una realtà futura non è facile. Significherebbe modificare l’immodificabile. Far sì che chi nasce rotondo possa di punto in bianco diventare quadrato. Forse è possibile. Forse ci si sbaglia. Ma, il rischio esiste. Far diventare possibile l’impossibile. Porre per certo ciò che non si conosce e non è stato mai verificato.
Tanto sostengo perché, se si tratta di modificare un quadro di pittura che stai realizzando non è difficile. Tu lo hai creato e tu lo puoi modificarlo, quando e come vuoi. Ma qualcuno che è nato prima di noi (Giovenale, Orazio, Hobbes, Owen) ha fissato il concetto che l’uomo è tutto e il contrario di tutto, e ha sostenuto che è l’uomo il vero lupo del suo simile.
E tanto ho il coraggio di porre per certo, perché mi viene in mente un aforisma di Napoleone, che recita come.. “Nelle rivoluzioni ci sono quelli che le fanno e quelli che ne approfittano”.
E penso ai fratelli Gracchi, ai Fratelli Bandiera, a Curcio stesso, a Gesù anche, se è vero che è esistito, che nel cercare di modificare (solo con le parole) l’ordine costituito, è stato come tutti sappiamo eliminato (dal Potere). Non doveva parlare. Perché? Non è sempre facile realizzare un sogno.
D’altro canto, la storia ci dice che il mondo è una giungla dove vince “Chi-è-più”: più forte, più ricco, più veloce, più furbo, più intelligente, più astuto, più viscido, più senza-scrupoli. Le caratteristiche dell’uomo sono tante, variegate, imprevedibili, camaleontiche e tutte diverse. Nel fare una Rivoluzione, come tu dici, non si può porre ad ipotesi che la parola data sarà sempre mantenuta, e l’impegno preso verrà onorato.
Tanto continuo ad affermare ancora sostenuto da una statistica che dice come di cento uomini che dovrebbero lavorare ce ne sono cinque che devono lavorare per forza. Trenta che lavorano. Trenta che lavorano se li controlli e alla fine ce ne sono cinque che non li farebbe lavorare nessuno. Di fronte a questa lussureggiante qualità, alle possibili metamorfosi e alle differenza caratteriale degli umani non è consigliabile darsi da fare per una idea, anche perché oggi, malgrado tutte le ingiustizie che ci si augura siano perfettibili, non viviamo le dittature del passato.
E mi conforta ancora un racconto di un mio caro amico che in uno scritto titolato “I Garibaldini” racconta di come, tanto per gioco, una banda di bambini aveva deciso di giocare alla guerra con altre bande.. E racconta ancora come avevano immediatamente capito di doversi organizzare militarmente. I capi in alto sui gradini della Chiesa, ed erano colonnelli, e giù giù a rotoli, fra capitani e tenenti e sergenti e caporali, tutti pronti a formare una piramide. Piramide sociale che era stata già scoperta da Egiziani e Aztechi. Struttura socio-piramidale inscritta in ognuno di noi e negli animali tutti che sanno che per essere più forti devono fidarsi ed affidarsi al migliore, a un capo, al comando di uno solo o alla sua struttura militare e sociale. Si tratta di un impianto “etologico” inscritto in ognuno di noi. Se due persone vanno a cavallo, una sarà seduta di dietro, e una sarà seduta davanti, e sarà quella che avrà le redini e guiderà il cavallo.
Il termine “etologico” che abbiamo appena citato ha la stessa radice di “etico”. La differenza?
- “Etologico” è il comportamento naturale, istintivo inscritto nel DNA dell’uomo-animale.
- “Etico” è il comportamento ideale, quello che ci indica come ognuno dovrebbe comportarsi nel suo rapporto con gli altri: umani, animali, vegetali e con il pianeta-Terra che è la nostra casa Madre.
Tu, mio caro Pippo, come anarchico puro, sei un individuo etico. Rispettoso di tutti i diritti di tutti. Così ti ho conosciuto e così ti voglio ricordare. E chiudo sostenendo che ad ognuno di noi basta vivere la nostra eticità da single, senza imporre nulla agli altri. Tu sai che l’imposizione, anche di una sola idea, è violenza. E il rispetto è la vera legge. Obiettivo? Programma? Impegno? Vivere questa nostra breve esperienza di vita dando a chi ha bisogno, così come hai fatto tu quando nelle Ferrovie dello Stato lavoravi in alta montagna, a 20 gradi sotto zero, sotto il freddo, per te, per la tua famiglia, ma soprattutto per i passeggeri, per servire i tuoi fratelli.
Gino Carbonaro
La prima risposta
di Pippo Gurrieri al mio commento
Caro Gino
Come sempre sei molto profondo, preciso, a volte anche troppo lusinghiero. Apprezzo molto la tua analisi, il tuo cogliere aspetti dei mie scritti (e quindi miei) che a volte neanch'io stesso colgo... E ti ringrazio per aver posto la questione dell'etica, del comportamento, che per me è fondamentale, come anche tormento, verifica quotidiana, poiché il rapporto con la realtà costringe a una lotta senza tregua per cercare di essere se stessi. Anche se sull'ultima parte del tuo scritto ci sarebbe da aprire una gran bella discussione, dal "cu nasci tunnu nun mori quadratu" in poi. Ti stimo per la tua sincerità e schiettezza. Ancora grazie, e... ci sentiamo quando vuoi tu.
Un abbraccio
Pippo
Gino Carbonaro risponde ancora a Pippo Gurrieri
Pippo ciao,
Ho riletto il mio scritto e la tua risposta, molto bella. Volevo solo ribadire che per me (o per come tu la interpreti) l'Anarchia è una religione. La "tua" religione. E tu credi nel suo programma. Ma, è religione che si manifesta ed estrinseca o si applica totalmente in un primo momento, mentre si vive nel sistema che non si accetta. In questa prima fase si è anarchici come proseliti di una "religione-etico-politico-sociale" che si oppone a qualcosa che non va, dunque non coincide con il sistema globale e imperante. Non si accetta lo strapotere e l'arroganza umana che offende e pretende.
Poi (ma solo in un secondo momento) dovrebbe avvenire la spinta, l'idea di dovere applicare (o imporre) i principi del pensiero anarchico a tutti. E questo dovrebbe avvenire in un momento che si può definire ora "x". Che dovrebbe scattare quando stanchi di aspettare cambiamenti che non avvengono, ci si dovrebbe decidere a costruire il nuovo ideale e una vita ideale cancellando tutto ciò che si ritiene sbagliato o ha odore di "potere". E questo avverrebbe utilizzando altri individui che la pensano allo stesso modo. Sto facendo del tutto per non usare il termine rivoluzione. Perché? Mi fa paura. La rivoluzione è per me simile a un terremoto, e, subito dopo un terremoto, appaiono gli sciacalli. Fatta la rivoluzione, cmq può capitare che i promotori (organizzatori?) non si capiscano fra di loro. Perlomeno potrebbe accadere, perché sarebbe difficile risolvere problemi non prevedibili, quando la rivoluzione ne crea altri, non previsti.
Tu chiuderesti la carceri. Ma, i carcerati liberati come si comporterebbero? e i custodi delle carceri cosa farebbero? e Chi dovrebbe pensare a dare a questi una sistemazione diversa? E se anche dovessero fare qualcosa suggerita da qualcuno, mi chiedo, la farebbero, la saprebbero fare? E gli stipendi per sopravvivere chi glieli darebbe? Lo Stato? che non c'è.. Le banche? che vorresti eliminare?
Voglio chiudere qui il mio discorso fissando un concetto: l'uomo (tu, io) si dovrebbe da subito impegnare e vivere eticamente. Subito. I principi te/ce li detta la coscienza. E qui? ci fermiamo. Ognuno di noi sarebbe modello positivo per gli altri, lievito di una società che "io" non credo si possa modificare "totalmente" con una rivoluzione. Il Sistema è potentissimo e non è facile modificarlo neppure con la forza, che dovrebbe essere direttamente o inversamente proporzionale alla forza che ha il Potere vigente, con il suo apparato armato di polizia.
D'altro canto, supposto che la rivoluzione si potesse realizzare .. una Italia anarchica sola potrebbe essere strozzata da una seconda Santa Alleanza Benedetta dalla Chiesa e protetta dalle Armate Militari Europee. Questo il mio convincimento. Non è vigliaccheria la mia (o forse lo è). Ma tutti i rapporti fra persone e popoli sono rapporti di forza, come ben sanno tutti gli anarchici.
Quello che invece condivido delle idee anarchiche è la necessità di dimostrare fortemente (di contestare, manifestare) contro tutto ciò che si ritiene sbagliato, che realizza interessi privati contro la massa della collettivita impotente.
Questo, lo ritengo necessario. Perché, senza la contestazione che fa capire quale è la volontà del popolo il "Potere del Potere" sarebbe senza misura. Tracimerebbe recando danno a tutti. Il Potere, ha detto Martin Luther King avvelena e uccide.
Caro Pippo, discutiamo se hai tempo, se ti fa piacere e se condividi qualcosa delle mie povere e forse ingenue idee.
Gino
P.S. Ci vediamo fra non molto per il quadro. Tu intanto pensa bene alla trattativa. Il quadro vale molto per te (lo so) e per me, però..
La risposta ufficiale di Pippo Gurrieri
a Gino Carbonaro
a Gino Carbonaro
Ragusa 13 gennaio 2020
Caro Gino,
Vengo a rispondere al tuo ultimo scritto. Tu parli di religione; la parola non mi fa paura, poiché un attaccamento a principi, se non sfocia nel dogmatismo e quindi nel settarismo, è sempre atto positivo; e questo distingue i laici e tutti gli antidogmatici dai religiosi attaccati a una fede in maniera acritica.
L’anarchismo è il pensiero e il movimento che oggi si pone in antitesi al sistema dominante, cui contrappone l’anarchia, società senza classi e senza autorità costituita.
Tu hai paura del termine “rivoluzione” e del “fatto” rivoluzione; in qualsiasi atto di cambiamento, specie se radicale, cioè che va alle radici, c’è sempre un aspetto di salto nel buio; ma a volte questo può essere il vantaggio, poiché tutti i cambiamenti finemente programmati e pianificati hanno finito per ingabbiare la spontaneità, il libero svolgimento delle cose, lo sperimentare il nuovo, trasformando la festa in tragedia. Ghigliottine, prigioni, lager, gulag sono alcuni degli effetti più estremi che conosciamo. Ma nello stesso tempo l’insieme di queste esperienze, diciamo negative, ci fornisce un vasto catalogo di errori, di imbrogli, di false promesse, di strategie venerate come giuste ma rivelatesi inadeguate, tale da poterci permettere di rielaborare una rivoluzione diversa.
Le stesse esperienze di cui sopra hanno contenuto percorsi, aspetti che ne individuavano i limiti e le sbavature autoritarie, e li criticavano e combattevano, fornendoci anch’essi un insieme vastissimo di insegnamenti, di esempi, di idee su come una rivoluzione, ovvero un moto di sovvertimento di un ordine sociale autoritario-totalitario, non debba trasformarsi nel terrore bensì nell’inizio di una
- nuova era di libertà,
- mutuo appoggio,
- eguaglianza,
- fratellanza e sorellanza.
Quando fai l’esempio delle carceri caschi nella trappola.
Ma le carceri a cosa servono? Non eliminano le cause dei reati, non educano gli individui che contengono, anzi giungono all’obiettivo opposto: alimentano le ingiustizie, i rancori, gli odii, mentre il sistema sociale continua a produrre nuovi rei, nuova carne da macello per il sistema giudiziario. Le carceri sono la stessa cosa che nascondere la polvere sotto il tappeto.
Contestualizziamo: io nego legittimità a qualsiasi prigione, perché una società che non è in grado di eliminare le cause che provocano i cosiddetti reati, cioè che non è in grado di autocorreggersi, ma preferisce semplicemente agire sugli effetti, non ha nessuna legittimità a decidere sulla vita di una persona. Anzi, dico di più: una società autoritaria ha bisogno di produrre delitti per giustificare i propri apparati repressivi.
Detto questo, ho scritto che in una società utopistica, in una società che non è più questa, o che si sta emancipando verso prospettive di autogoverno, l’emergere di un qualsiasi reato è prima di tutto un segnale di allarme che deve indurla a ricercare gli errori e a correggerli.
Rispetto a chi si è “macchiato” del reato, la comunità deve esaminare l’atteggiamento più consono per un suo reinserimento.
E parlo di comunità, perché la società di cui parlo è basata sulle
che si pre-occupano di quanto avviene nel loro ambito territoriale e sociale; i tribunali applicano leggi pensate per tutti, senza considerare storie, vicissitudini, ambienti, tempi, ecc.
Le Comuni agiscono in un ambito proprio dove i soggetti e i fatti sono noti.
“Dietro ogni scemo c’è un villaggio” scriveva Fabrizio De Andrè; e anche dietro ogni soggetto che “devia” da un andazzo qualsiasi, c’è un villaggio, cioè c’è la sua comunità, che ne è responsabile, e che può adottare il più consono dei provvedimenti.
Detto questo, ho scritto che in una società utopistica, in una società che non è più questa, o che si sta emancipando verso prospettive di autogoverno, l’emergere di un qualsiasi reato è prima di tutto un segnale di allarme che deve indurla a ricercare gli errori e a correggerli.
Rispetto a chi si è “macchiato” del reato, la comunità deve esaminare l’atteggiamento più consono per un suo reinserimento.
E parlo di comunità, perché la società di cui parlo è basata sulle
Comuni, su piccole realtà autonome e autogestite
che si pre-occupano di quanto avviene nel loro ambito territoriale e sociale; i tribunali applicano leggi pensate per tutti, senza considerare storie, vicissitudini, ambienti, tempi, ecc.
Le Comuni agiscono in un ambito proprio dove i soggetti e i fatti sono noti.
“Dietro ogni scemo c’è un villaggio” scriveva Fabrizio De Andrè; e anche dietro ogni soggetto che “devia” da un andazzo qualsiasi, c’è un villaggio, cioè c’è la sua comunità, che ne è responsabile, e che può adottare il più consono dei provvedimenti.
Stiamo discutendo di una società futura, frutto magari di una rivoluzione, o semplicemente anche di eventi traumatici a livello climatico, sociale, ecc.
Se questo esperimento saprà contaminare le società circostanti, allora avrà gettato le basi per la sua sopravvivenza; altrimenti le Sante Alleanze e le Chiese smetteranno di sbranarsi fra di loro e si getteranno unite contro il nemico comune: la società della libertà.
E’ accaduto nella Spagna del 1936, dove fascisti, nazisti e comunisti sovietici hanno fatto di tutto per spegnere una rivoluzione libertaria che andava nella direzione dell’abolizione del Potere e dello Stato.
Quando cioè, per volontà soggettiva delle persone o per fattori oggettivi esterni, si vengono a liberare spazi per l’agire umano.
E’ accaduto nella Spagna del 1936, dove fascisti, nazisti e comunisti sovietici hanno fatto di tutto per spegnere una rivoluzione libertaria che andava nella direzione dell’abolizione del Potere e dello Stato.
Queste dolorosa consapevolezza ci serve ad essere prudenti nella scelta dei compagni di viaggio,
ma non ci impedisce di porci - come tu giustamente rimarchi - in maniera coerente “contro tutto ciò che si ritiene sbagliato”. Perché, e anche qui ti cito: “Il Potere avvelena e ubriaca”. Sacrosante parole; ma solo gli anarchici hanno sviluppato una teoria e un’esperienza storica capaci di far tesoro di questo assunto. Sono, siamo, gli unici che ci sbattiamo una vita a destra e a manca, rischiando, faticando, appassionandoci, senza chiedere nulla per noi, soprattutto nulla in termini di privilegi personali, perché il potere avvelena e ubriaca, e anche il migliore degli anarchici, messo a fare il sindaco, il deputato, il capo di governo, si trasformerebbe nella peggiore autorità.
ma non ci impedisce di porci - come tu giustamente rimarchi - in maniera coerente “contro tutto ciò che si ritiene sbagliato”. Perché, e anche qui ti cito: “Il Potere avvelena e ubriaca”. Sacrosante parole; ma solo gli anarchici hanno sviluppato una teoria e un’esperienza storica capaci di far tesoro di questo assunto. Sono, siamo, gli unici che ci sbattiamo una vita a destra e a manca, rischiando, faticando, appassionandoci, senza chiedere nulla per noi, soprattutto nulla in termini di privilegi personali, perché il potere avvelena e ubriaca, e anche il migliore degli anarchici, messo a fare il sindaco, il deputato, il capo di governo, si trasformerebbe nella peggiore autorità.
L’unica alternativa è stare alla larga da ogni potere e pensare/sognare una società che ne possa fare a meno.
Con un abbraccio
Pippo
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Mari Luna Malatesta
dà il suo contributo alla conversazione
Ragusa 14 gennaio 2020
Caro Gino
Ho letto con attenzione la tua seconda e-mail a Pippo Gurrieri; quella dove, quasi giustamente, definisci l'Anarchia una religione.
Ora, siccome sto leggendo un libro - che ti consiglio - di Isaiah Berlin "La libertà e i suoi traditori", un testo dove si affronta il pensiero di sei "traditori", tutti ricollocabili nel periodo della Rivoluzione francese (Helvétius, Rousseau, Fichte, Hegel, Saint-Simon e De Maistre), sei conferenze dove Berlin ci mostra come
- le sofferenze individuali e collettive scaturiscano dalla pretesa di intervenire astrattamente sui difetti e sui limiti della nostra specie, di voler raddrizzare con la violenza fredda di un sistema - filosofico, politico o economico - il "legno storto" dell'umanità, capirai che ho qualche perplessità sulla realtà di un futuro radioso e libertario.
Perplessità, a dire il vero, non solo mie: lo stesso Malatesta, ad esempio, sosteneva che bisogna avere fiducia nell'anarchismo e molto meno nell'anarchia. Anarchismo è "la filosofia applicata applicata o il metodo di lotta alla base dei movimenti libertari" ovvero l'etica, il fine non disgiunto dal mezzo. Anarchia, dice Malatesta, è come l'orizzonte al quale si tende, che ci fa muovere, e chissà se mai verrà raggiunto. L'orizzonte, e nel nostro caso l'Utopia, man mano che procediamo per raggiungerlo si allontana rendendosi sempre più inafferrabile e serve solo (ma non è poco) a farci muovere, camminare, progredire.
Condivido, quindi, le tue perplessità, ma non per questo smetto di credere nell'urgenza dell'Utopia e nella necessità di un'etica che contenga in sé il fine.
Non so cosa abbia risposto Pippo Gurrieri a questi tuoi quesiti, e mi piacerebbe leggere la sua risposta. Immagino possano richiamare gli stessi argomenti usati nel suo libro "L'Anarchia spiegata a mia figlia" .
Comunque, gli anarchici siamo così: ognuno di noi ha il proprio modo di vivere in questa famiglia, e alcuni sono come i parenti: non li scegliamo e anzi potremmo non condividere le loro modalità.
Con molti, se non con tutti, condividiamo però il fine: l'Uomo.
Spero di risentirti presto.
Un abbraccio affettuoso,
Mari Luna Malatesta
Mari Luna Malatesta
Ulteriore contributo di Mari Luna Malatesta alla conversazione
Dopo aver letto la risposta di Pippo Gurrieri, continuo ad avere le mie perplessità: giustamente lui fa riferimento ad un'idea federalista, di piccole comunità, ecc. Altrettanto giustamente, occorre ricordare che tutte le esperienze storiche, dalla Spagna del '36 ai vari esperimenti di Comune anarchica - tra tutte la comune Cecilia in Sud America- sono fallite. Per colpa di fattori esterni (Spagna '36) o per colpa degli anarchici stessi (Comune Cecilia).
Cambiare gli uomini o cambiare la società? Molti anarchici credono in un anarchismo "educazionista": sarà la rivoluzione che creerà le premesse per l'emancipazione umana, o sarà questa che porterà allo sbocco inevitabile della rottura rivoluzionaria? In altri termini, si deve prima educare la coscienza individuale e collettiva verso il libero e consapevole riconoscimento della superiorità umana e civile della società anarchica, per cui la rottura rivoluzionaria si presenti come punto finale di una più o meno lunga maturazione culturale o, al contrario, tutto questo si pone dopo tale rottura? E' la stessa storia dell'uovo e della gallina.
La risposta, forse, è in questa frase di Malatesta che ti anticipavo nella mia precedente mail e della quale , ora, ti allego l'esatta citazione: "L'anarchia è l'ideale che potrebbe anche non realizzarsi mai, così come non si raggiunge mai la linea dell'orizzonte, l'anarchismo è il metodo di vita e di lotta e deve essere dagli anarchici praticato oggi e sempre, nei limiti delle possibilità, variabili secondo i tempi e le circostanze." (Errico Malatesta, 1922)
Se non si va, non si sa, diceva mia nonna.
Un abbraccio e grazie per gli stimoli che generosamente fornisci sempre a chi ha la fortuna di esserti amica.
Your faithfull
M.L.M.
[1] Luciano, Dialoghi, Utet, p.142
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