2020/01/30

ZIQ di Lina Maria UGOLINI Compagnia G.o.D.o.T. Ideal Ragusa gennaio 2020

    TEATRO

    Nel gennaio 2020, a Ragusa, un evento speciale. 
La compagnia G.o.D.o.T di Federica Bisegna e Vittorio Bonaccorso presentano uno spettacolo di grande spessore culturale. Si tratta della pièce teatrale.. 



Compagnia G.o.D.o.T. 

Ziq è sulla spiaggia 

di

Lina Maria Ugolini

con
Giuseppe Arezzi
Federica Bisegna
Vittorio Bonaccorso





 Commento di Gino Carbonaro

1
     Non capita tutti i giorni di andare a Teatro e trovare che quella serata è diversa, e lo spettacolo a cui stai assistendo è qualcosa di eccezionale. Che non hai mai visto e sarà difficile che possa sempre assistere a qualcosa di simile. Dunque?

 Spettacolo eccezionale, interpretazione sublime. Regia e musica, al di là dell’immaginabile. Mai, io, mi sono trovato a vivere una emozione così intensa davanti a una rappresentazione teatrale. 

    Ho pensato subito alla potenza Shakespeariana del soggetto e a quanto ha scritto Aristotele a proposito della tragedia, perché “Ziq” non è dramma. Ziq è tragedia. 

     E la pièce teatrale di Lina Maria Ugolini esprime la tragedia che stiamo vivendo in questi tempi oscuri. E pensavo ancora al concetto aristotelico di catarsi, applicabile qui, perché io personalmente mi sono sentito coinvolto sino alla fine dello spettacolo. 

     È chiaro che gli operatori avevano raggiunto il loro scopo. Lo spettacolo? Mi ha lasciato senza parole. 

     I miei complimenti all'Autrice Lina Maria Ugolini, a Giuseppe Arezzo, straordinario nella sua unicità interpretativa. Complimenti alla Regia di Vittorio Bonaccorso, superlativa, e alla Musica di Pietro Cavalieri, originale, funzionale e bellissima.--

2
     Federica, non ho detto tutto. 

  Ieri sera, dopo mezzanotte, quando ho scritto il mio commento al Vostro spettacolo,  non ho detto tutto. Il Teatro, si sa, è classificato “prosa”. 

    Nessuno avrebbe potuto pensare che sulla scena potesse germogliare tanta inimmaginabile poesia. Poesia nata da una sorta di composito Ikebana offerto ..

  • dal testo (potente) di Lina Maria Ugolini.
  •  
  • dalla interpretazione stupenda dell’Attore Unico, il diciannovenne Giuseppe Arezzi, che ha superato se stesso cogliendo l’anima del testo, dolce, profonda e dalle mille intense sfumature, 

  • dalla fantastica "mise en scène" della Regia, di Vittorio Bonaccorso (intensa, delicata, vibrante), 

  • dalla Musica che ne sosteneva, creava e suggeriva l’atmosfera interpretativa. 

  • Teatro pittura. Teatro parola. Teatro opera d’arte. Dove la logica del discorso si scioglieva, e i contorni della parola si sfaldavano per consegnarsi alla poesia, alle parole che non hanno confine. 

  •     Realtà che si consegna al sogno. Vita che grida la speranza. Concetto che denunzia l’uomo. Pensiero crudo inviato  alla coscienza dello spettatore perché rifletta sul senso del nostro esistere. Tragedia. Altissima arte. Miracolo di un fatto artistico realizzato a più mani da uno staff che ha dato l’anima a uno  spettacolo che è prodotto alto di una cultura matura, stupenda. 

  • Questo il vero senso del Teatro. Complimenti. A Tutti.  

  • A piene mani. 
                                     
                                        Gino Carbonaro

3. 

Federica Bisegna risponde

    Grazie ancora e ancora... In questo momento, leggere parole di così sincera ammirazione è per noi linfa vitale. 
     Tante volte ci chiediamo che senso abbia fare quello che facciamo a Ragusa, nell'indifferenza delle istituzioni che a parole ci dicono "bravi" ma nei fatti non ci sostengono in nessun modo, abbiamo perso persino l'utilizzo gratuito dei teatri, nell'indifferenza di gran parte dei dirigenti scolastici soprattutto degli istituti superiori che per evitare "differenze" rifiutano tutte le nostre proposte perché gli altri potrebbero offendersi, nell'indifferenza di una certa categoria di Pubblico che ci dice "ho bisogno di rilassarmi... Fa ridere? Allora no..." e soprattutto nella difficoltà di lavorare in spazi inadeguati sotto tutti gli aspetti per realizzare in pieno le visioni di Vittorio. 

     Le sue parole ci riforniscono di "illusioni" per continuare a Sognare come ci ha insegnato il grande Fellini di cui ricorre il centenario ❤️


LILIANA SEGRE Il suo discorso a Bruxelles gennaio 2020

Prima
Bruxelles/2
Siate farfalle che volano sopra i fili spinati
di Liliana Segre
Pubblichiamo un estratto del discorso che la senatrice a vita Liliana Segre ha tenuto ieri al Parlamento europeo di Bruxelles 

 Parlamento Europeo a Bruxelles 
Lo storico immortale discorso di 

Liliana Segre

27 gennaio 2020



     Comincio con il ringraziare l’amico David Sassoli che mi ha invitato qui oggi. Non posso nascondere l’emozione profonda nel vedere le bandiere colorate di tanti Stati affratellati in questo Parlamento dove si parla, si discute e ci si guarda negli occhi. 

     Alla giornata del 27 gennaio a volte è stata data un’importanza che in fondo non c’è. 

     Auschwitz non è stata liberata quel giorno. Quel giorno l’Armata Rossa vi è entrata ed è molto bello il discorso che fa Primo Levi ne "La Tregua dei quattro soldati russi" che non liberano il campo perché i nazisti erano già scappati, ma si trovano di fronte a questo spettacolo incredibile.

     Uno spettacolo più tardi incredibile per tutti coloro che lo vollero guardare, mentre qualcuno non lo vuole vedere nemmeno adesso e dice che non è vero. Si tratta dello stupore per il male altrui.

     Queste sono le parole straordinarie di Primo Levi e che nessun prigioniero di Auschwitz ha mai potuto dimenticare. 

     Il 27 gennaio avevo 13 anni ed ero operaia schiava nella fabbrica di munizioni Union. Di colpo arrivò l'ordine immediato di cominciare quella che venne chiamata “Marcia della morte”. 

     Io non fui liberata il 27 gennaio dall’Armata Rossa, facevo parte di quel gruppo di più di 50 mila prigionieri ancora in vita obbligati a una marcia che durò mesi. 

     Quando parlo nelle scuole dico che.. 
     
     Ognuno nella vita deve mettere una gamba davanti all’altra, che non si deve mai appoggiare a nessuno perché nella “Marcia della morte” non potevamo appoggiarci al compagno vicino che si trascinava nella neve con i piedi piagati e che veniva finito dalla scorta se fosse caduto. Ucciso. 

     La forza della vita è straordinaria, è questo che dobbiamo trasmettere ai giovani di oggi.

     Noi non volevamo morire, eravamo pazzamente attaccati alla vita qualunque essa fosse per cui proseguivamo una gamba davanti l’altra, buttandoci nei letamai, mangiando anche la neve che non era sporca di sangue.

     Prima attraversammo la Polonia e la Slesia, poi fu Germania. Dopo mesi e mesi arrivammo allo Jugendlager di Ravensbruck. 

     Eravamo solo giovani, ma sembravamo vecchie, senza sesso, senza età, senza seno, senza mestruazioni, senza mutande. 
  
     Non si deve avere paura di queste parole perché è così che si toglie la dignità a una donna. Giorno dopo giorno, campo dopo campo, mi trovai alla fine del mese di aprile 1945.

     
     Quanto era lontano il 27 gennaio, quante compagne erano morte in quella marcia, mai soccorse perché nessuno aprì la finestra o ci buttò un pezzo di pane. 

     Non fu solo il popolo tedesco, ma i popoli di tutta l’Europa occupata dai nazisti in cui abbiamo visto i nostri vicini di casa essere aiutanti straordinari dei nazisti. 

     In Italia i nostri vicini ci denunciavano, prendevano possesso del nostro appartamento, anche del cane se era di razza.

     Questa parola, razza, la sentiamo ancora, e allora dobbiamo combattere questo razzismo strutturale che resta. 

     La gente mi chiede come mai si parli ancora di antisemitismo. Io rispondo che c’è sempre stato, ma non era il momento politico per tirare fuori il razzismo e l’antisemitismo insiti nell’animo dei poveri di spirito. 

     E poi arrivano i momenti più adatti, corsi e ricorsi storici, in cui ci si volta dall’altra parte. E allora tutti quelli che approfittano di questa situazione trovano il terreno più adatto per farsi avanti.

     Quando subito dopo la guerra per caso restai viva e tornai nella mia Milano con le macerie fumanti, ero una ragazza ferita, selvaggia, che non sapeva più mangiare con forchetta e coltello, ancora abituata a mangiare come le bestie. 

     Ero criticata anche da coloro che mi volevano bene: volevano di nuovo la ragazza borghese dalla buona educazione. 

     È difficile ricordare queste cose e devo dire che da 30 anni parlo nelle scuole e sento ormai come una difficoltà psichica a continuare, anche se il mio dovere sarebbe questo fino alla morte. 

     Io ho visto quei colori, ho sentito quelle urla e quegli odori, ho incontrato delle persone in quella Babele di lingue che oggi non posso che ricordare qui, dove tante lingue si incontrano in pace. 

     Nei campi era possibile comunicare con le compagne che venivano da tutta l’Europa occupata dai nazisti solo trovando parole comuni, altrimenti c’era solo la solitudine assoluta del silenzio. 

     E le bandiere qui fuori di cui parlavo all’inizio mi hanno fatto ricordare quel desiderio di trovare con olandesi, francesi, polacche, tedesche e ungheresi una parola comune. 

     In ungherese ho imparato una sola parola, “pane”. È la parola principale che vuol dire fame, ma anche la sacralità di una cosa oggi sprecata senza nemmeno guardare cosa si butta via.

     Da almeno tre anni sento che i ricordi di quella ragazzina che sono stata non mi danno pace. Non mi danno pace perché da quando sono diventata nonna, trentadue anni fa, quella ragazzina che ha fatto la “Marcia della morte” è un’altra persona rispetto a me: io sono la nonna di me stessa. Ed è una sensazione che non mi abbandona.

     È mio dovere parlare nelle scuole, testimoniare. Ma non posso che parlare di me e delle mie compagne. Sono io che salto fuori. Quella ragazzina magra, scheletrita, disperata, sola. 

     E non lo posso più sopportare perché sono la nonna di me stessa e sento che se non smetto di parlare, se non mi ritiro per il tempo che mi resta a ricordare da sola e a godere delle gioie della famiglia ritrovata, non lo potrò più fare. Perché non ce la farò più. 

     Anche oggi fatico a ricordare, ma mi è sembrato un grande dovere accettare questo invito per ricordare il male altrui. Ma anche per ricordare che si può, una gamba davanti all’altra, essere come quella bambina di Terezin che ha disegnato una farfalla gialla che vola sopra i fili spinati. 

     Io non avevo le matite colorate e forse non avevo la fantasia meravigliosa della bambina di Terezin. Che la farfalla gialla voli sempre sopra i fili spinati. Questo è un semplicissimo messaggio da nonna che vorrei lasciare ai miei futuri nipoti ideali. 

     Che siano in grado di fare la scelta. E con la loro responsabilità e la loro coscienza, essere sempre quella farfalla gialla che vola sopra ai fili spinati.



Il discorso Liliana Segre, 89 anni

2020/01/23

SEVERINO Filosofo e PARMENIDE


Intervista della giornalista Monica Mondo 
al filosofo Emanuele Severino

Emanuele Severino 
e  
La filosofia del Destino 

                                                        di Gino Carbonaro

  Intervista  intrigante quella che la giornalista Monica Mondo fa al filosofo Emanuele Severino sei mesi prima della sua morte. Di fatto, la intervistatrice  interroga il filosofo per chiarire alcuni punti della sua filosofia. 

     Ciò che si evince dall’intervista è quanto segue. 

     Il filosofo Severino costruisce il suo sistema filosofico partendo da Parmenide (VI-V sec. a.C.), il filosofo greco il quale affermava che tutto ciò che esiste (nell’Universo) è “ingenerato”.  Il filosofo greco fissa il concetto che tutto ciò che esiste non può essere stato generato dal Non-Essere, cioè dal Nulla, che, come dice la stessa parola, se è Nulla non-esiste, sostenendo che 

l’Essere è 
mentre il non-Essere non è.

  Dunque - ripetiamo - ciò che esiste non può essere stato creato da Qualcuno, ma è esistito da sempre. 

    Il filosofo Severino fa suo questo principio Parmenidèo e su questo costruisce un sistema filosofico che a guardare bene non si discosta da quello del filosofo greco.     

    Con questa affermazione i due filosofi prendono le distanze da tutti gli altri filosofi, i quali partono dal principio che l'Universo ha avuto una nascita che presuppone un Creatore. Principio oggi supportato in parte dalla teoria del Big Bang.

     Il secondo punto che viene preso di mira dai due filosofi è il concetto di divenire, che a loro dire non esiste.  Il cambiamento, se esiste, lascia la materia "stabilmente" per quella che è.    
 “Di fatto - scrive De Crescenzo nel suo libro I Presocratici - nominare  il verbo divenire in presenza di Parmenide era come bestemmiare in Chiesa”. 
  
     Tornando al Nostro va ribadidto il concetto che Severino fa sue queste affermazioni di Parmenide, quasi  senza togliere una virgola, sostenendo che 

Tutto-è-esistito-da-sempre.

    E, a questo “Tutto-compatto" del reale Severino dà il nome di 

Destino,  

termine greco che il filosofo spiega con il suo etimo: 

Destino è “ciò-che-è-assolutamente-stante”

che non è stato creato, che esiste da sempre, ed è 

Verità immobile, stabile, immodificabile.   

      Alle sue affermazioni Parmenide aggiunge che il filosofo è colui che con la logica del suo ragionamento coglie la Verità dell’Essere e decide di rivelarla ai posteri. Conforme è  l’affermazione di Severino quando  afferma che 

l’uomo (il filosofo) altro non è 
che l’apparire (o la voce) del Destino 
(dell’Essere che è Verità)

privilegio che dà all’uomo un alone di regalità, e gli fa aggiungere il principio che

“l’Uomo è un re che si sente mendicante”.

Re in quanto ha il privilegio di cogliere la Verità del Destino. 
     
     Di fatto, alla intervistatrice Monica Mondo che chiede  quale garanzia c’è che le sue affermazioni possano essere vere, Severino risponde con le stesse parole di Parmenide:

“L’uomo è l’apparire della Verità”.

     L’uomo-re-filosofo, che è parte del Destino, ha il privilegio di farsi interprete della Verità-Destino Lui fa conoscere agli altri. 

     Tanto avviene sostenendo  che la Verità  non è ciò che cambia (il divenire che è aleatorio), ma “ciò-che-sta”, cioè il Destino.           

  Implicitamente, Severino va a riesumare l’eterno dibattito fra Essere-e-Divenire. 

  Nell’Essere-Destino, che è fondamento, c'è la stabilità delle cose, nel Divenire c’è il concetto di trasformazione e di cambiamento della storia, dell’uomo, dell’Universo, che va escluso. Perché secondo i due filosofi - ripetiamo - tutto rimane stabilmente se stesso.


    Di fatto, il Tutto esiste da tempo e nel tempo. E tutto quello che cade sotto i nostri sensi è l’espressione del Destino.

    La “novità” della filosofia di Severino?  È quella di porre come fondamento del reale il concetto di Destino, 

Destino che non è Dio creatore. 

Affermando che la sua filosofia esclude l'idea di Dio, aggiungendo ancora che lui stesso non crede in Dio, perché?

Destino è quello-che-è
senza essere stato generato 
senza creare.

      Come è possibile rilevare, si tratta di concetti che Severino pone come veri, ma, in realtà, devono  essere considerati “ipotesi” poste all’interno di un sistema logico che cerca di sostenersi come quei castelli che qualcuno costruisce con le carte da gioco. Tautologie che non approdano a nulla di certo, soprattutto perché il concetto filosofico di “essere e divenire” è tema obsoleto.

   Nei fatti, la filosofia di Severino è “sistema” come lo sono tutte la maggior parte delle argomentazioni filosofiche (e religiose) che poggiano su un vacuo nulla di parole che dovrebbero essere portatrici di verità, ma alla fin fine fanno capo ad affermazioni fideistiche che poggiano sulla bontà di chi parla, cioè sul nulla.  
     
    Anche la filosofia di Severino  sembra poggiare su un gioco di parole che di fatto non approda a nulla. 

      In verità, Severino riconosce che il vero fondamento della conoscenza è dato dalla Techné, cioè dalle Scienze, perché sono proprio loro (le scienze) che, poggiano su “sistemi” logici interagenti con la realtà, riuscendo a pervenire a verità assolute.

       Per chiudere, potremmo affermare che con Severino muore la Filosofia che scopre la sua incapacità di leggere i segreti della vita, il chi, il come, il quanto e il quando di quella che noi consideriamo realtà. Realtà che agli occhi dell'uomo comune si presenta con le connotazioni di una scatola cinese che supera continuamente il limite e dimostra come ciò che ci circonda riserva sempre e comunque sorprese imprevedibili.

     La filosofia che è stata il grande utero del conoscere, quella che ha dato vita a tutte le scienze, dalla matematica, alla fisica, alla pedagogia, su su fino alla psicologia, sociologia e altro, con Severino sembra aver decretato la sua morte. Questo tipo di Filosofia non serve più.

    Se un campo su cui poggiare la Filosofia esiste tuttora, questo è il campo dell’Etica, ambito di ricerca che chiama in causa il senso del nostro esistere, il nostro ruolo di esseri umani potenti, saggi e pericolosi nello stesso tempo, che hanno bisogno di capire come comportarsi con se stessi, con gli altri, con la Natura, con l’Universo di cui siamo ospiti abitatori.  E tanto attiene alla Filosofia esistenziale.          

Gino Carbonaro

2020/01/13

Historias de Tango di Nuccia Vona

Come nasce un grande libro


Historias de Tango

Nuccia Vona 

                                                             di Gino Carbonaro

     Ho appena finito di leggere “Historias de Tango”. 
     La mia impressione? È certamente  uno dei libri più belli che ho letto nella mia vita. Un libro che meriterebbe un premio Nobel. 

   Quando l’ho acquistato e poi cominciato a leggere non riuscivo a capacitarmi, non riuscivo a collegare le varie storie con il titolo. Mi aspettavo una “Storia” cioè una ricerca sul Tango. Dunque? Un saggio. Diciamo uno scritto asettico, scientifico. Invece, mentre non riuscivo a smettere di leggere, mi accorgevo di essere stato tirato dentro il racconto come da una calamita. Un vortice. Una coperta che mi copriva di sensazioni, di percezioni, di emozioni, ma soprattutto di una incredibile poesia. Una doccia, un bagno, un continuum di poesia. 
    
     È chiaro che il libro racconta la storia di quei disperati che in ogni epoca sono andati  alla ricerca della vita. Chimera. Utopia. Sogno. Speranza. Per dirla banalmente, Storia della Emigrazione, ma anche storia di due popoli gemelli: Argentina e Italia di un tempo. 

     Ma, procedendo nella lettura, quasi per miracolo, mi sono accorto che a me non interessava quasi più il contenuto del libro. Io andavo solo alla ricerca della poesia del libro. Il mio rapporto era con lei. Con la scrittrice. Lei, Nuccia Vona, era la referente delle storie, lei era l’io narrante. Lei mi aveva preso per mano e mi aveva portato con sé in un mondo di favole ricco di storia, filosofia, poesia sull’incomprensibile non-senso della vita, sulle differenze umane, sulle lotte, sui valori e sugli amori che appartengono agli umani. Il tutto descritto con pennellate di amore e di poesia purissima che riflettono la sensibilità e la intelligenza “superiore” della scrittrice. 

     In verità, questo racconto mi ha fatto levitare, volare come un aquilone in un cielo sereno, per osservare dall’alto i colori della vita in tutte le sue forme. Bellezze e lordure. Ma su tutto, ricadeva la luce della speranza, la triste e angosciata melodia di un Tango. Di un Bandoneon. 

    Questo libro verrà collocato nello scaffale dei miei libri preferiti. Ma sarà sicuramente il più bello. Quello che ha dato un senso alle mie giornate. Ed è libro potente, incredibilmente bello, firmato da una Donna. 
Da una grande Donna. 
Da Lei, 
Nuccia Vona. 

Appendice
     
       Dunque, libro eccezionale, per il taglio del contenuto, che è storia degli uomini, delle famiglie, ma anche della umanità. Libro della sofferenza e dell’inspiegabile assurdo della vita. 

     Sofferenza ed affetti delle famiglie tenute insieme da valori sentimenti, lavoro, e follie di chi è avvelenato dal potere. Follie atroci. 

     Questo lo schema  del libro, la storia su cui poggia la forma. Ma, la potenza del lavoro è proprio nella forma. Forma che racconta “Historias”. Scrittura che è poesia. Scrittura che è acquerello. Ogni parola una pennellata. E chi legge gode perché assapora le dolcezze della creazione artistica. E mi chiedo chi scrive come questa scrittrice? 

    I pensieri enucleati, sempre potenti, delicati, finissimi, sempre arricchiti da aggettivi che a me son parsi gioielli, cristalli raffinatissimi per decorare il pensiero sempre all’insegna di una eleganza sobria, tipicamente femminile. Perché questo è un libro al femminile. E poi, lo studio delle anime dei personaggi, perché è lì che la scrittrice penetra, e sono le anime quelle con cui parla e quelle che lei descrive. 

Ed è libro che merita riconoscimenti alti. Buona giornata e Complimenti.

     

                                      Gino Carbonaro

P.S. Certamente il libro non è solo la Storia di Doro e Norina. Le chiavi di lettura non sono poche. Di certo Il libro è anche una accusa terribile contro quella Dittatura  che ha dominato per un decennio l'Argentina seminando il terrore , togliendo la vita a 30.000 desaparesidos. Viene da pensare per la tangente come si è comportata la Chiesa in questo terribile lugubre folle periodo durante il quale la Dittatura aveva deciso di eliminare chiunque fosse sospetto di contestazione. Scomparivano perché gettati vivi in mare nell'oceano Atlantico. Ma, la Chiesa non era informata. Non vedeva, non sapeva. Ma, si sa che in Argentina è la terra dei tre poteri uniti: Potere politico economico (latifondisti), Potere militare e Potere religioso che in quella terra ha chiuso il libro del Vangelo.     

2020/01/05

ANARCHIA: dialogo con Pippo Gurrieri

  Due libri di Pippo Gurrieri a confronto



Le Verdi Praterie

L'Anarchia spiegata a mia figlia


Commento di Gino Carbonaro


     Pippo carissimo ho appena finito di leggere lentamente ma avidamente il tuo saggio-documento titolato “l’Anarchia spiegata a mia figlia”. Ritengo lo scritto un atto dovuto. Una auto-analisi lucida doverosa e corretta della tua “filosofia dell’esistere”. 

     In realtà, il libretto dà modo di conoscere te, come persona, prima ancora di conoscere il progetto-programma politico di un anarchico puro. 

     Personalmente, io ho conosciuto te, prima di sapere cosa è l’anarchia. E di te ho percepito da subito una struttura mentale etica. E subito dopo ho dovuto ritenere corretto il fatto che le tue idee  politiche poggiavano sulla morale. Personalità, la tua, che aveva come obiettivo la realizzazione di un uomo nel suo rapportarsi con gli altri. L’uomo col suo impegno sociale. Uomo come parte di una complessa ragnatela sociale all’interno della quale tutti operiamo, dando il nostro contributo e soprattutto un significato (leggi valore) alla vita che viviamo, al viaggio che stiamo facendo tutti insieme. Tutti noi particelle di una complessa sinapsi sociale.

    Questa la percezione mia di te, e questo di te custodisco, con grande stima e ammirazione. Tu uomo con la “U” maiuscola. Curioso, attento per cercare di capire come va il mondo, come bisogna comportarsi con gli altri, come bisogna agire per realizzare un mondo diverso e migliore, un mondo realizzato da una idea. E per questo ho registrato la tua fame di cultura, la curiosità, l’impegno, la fattività sociale, il rispetto che nutri per gli altri. Molto di te è dentro di te protetto dalla grande  ammirazione che i tuoi amici nutrono per te. Perché? Perché anche io ritengo che quello che deve possedere un uomo in questa società è la morale. l’Etica. E qui va richiamato l’etimo greco del termine:

Éthos = comportamento.

Per i Greci era importante intercettare nella persona il “pedigree” della famiglia, cioè le qualità migliori della famiglia, l’onestà soprattutto, dunque l’éthos. E era questa l’aureola  del personaggio.
  • Famiglia di persone che eccellevano in virtù = éthos virtuoso.
  • Famiglia poco onesta = Individuo poco affidabile

  • E questo vale per tutti noi, anche se per me, il tuo éthos, dopo aver letto “Le verdi praterie”, vale ancora di più. 

     Nel capitoletto titolato  “Il partito” (suo ruolo, percezione e funzione) del libro “Le verdi praterie”, tu scrivi: “Per tutti noi, più che una organizzazione politica, il partito era relazioni, comunità, amicizie, lavoro, passione, scuola, chiesa, passato, presente, futuro (...) Non era pensabile un frammento di vita cui il partito fosse assente. Ai matrimoni, ai battesimi, alle feste consacrate e a quelle sconsacrate, nel dolore e nelle gioia: lutti, nascite, malattie, era sempre l’ambiente del partito a ritrovarsi (...) Noi bambini crescevamo in quel quel clima, portandoci addosso quel marchio che ci avrebbe condizionato per tutta la vita (...) Il partito era dimensione di vita totale”.

      Questo è quello che tu affermi, e questo è il marchio ideale che è rimasto dentro di te. Una realtà da sogno. Un mondo che ritrovavi in quella famiglia allargata, amichevole, affettuosa, onesta, ideale degli appartenenti al partito comunista, dove era possibile incontrare di tanto in tanto un vecchietto,  uomo-non-ricco, che per dimostrare il suo affetto verso te bambino ti donava un uovo ogni volta che sapeva di poterti incontrare. Un uovo che per lui, che forse aveva conosciuto la fame, era prezioso, ed aveva un valore materiale e ideale.

Per me lettore di quei passi che tu rivivi, è tutto un sogno. Un mondo buono, fatto di rispetto, di affetto, di altruismo, di lotta anche, per difendere questa realtà, questo ideale realizzato che non era nell’iperuraneo platonico, non era nel pensiero di qualcuno, ma era veramente esistito. Era questa la infanzia dei tuoi ricordi. Questo il marchio che avrebbe condizionato fortemente la tua vita. E poi? Poi c’era tuo padre, “uomo buono fra i buoni”,  che trasformava la sua sofferenza antica di bambino pastorello in bontà, in una sorta di disperato altruismo etico, di ”solidarietà”, quando fissava il concetto che bisognava aiutare chi aveva bisogno, e perciò si prodigava nel fare trovare un sussidio, un aiuto anche minimo, ma necessario “a quei poveri che credevano al cambiamento della propria condizione e della società, di un movimento di persone che recava con sé la speranza di un mondo migliore”.  
    
     Poi, lentamente tuo padre diventò cieco, ma non si considerò mai un perdente. Cieca per lui (e per te) rimase la società nella quale viviamo. Società alla quale tu con sforzo cerchi di prestare un occhio, per far vedere come va il mondo e come dovrebbe andare. 

     Ma nel tuo DNA c’è anche tuo nonno Papè, l’uomo che ha conosciuto la fame vera, “...con i figli cresciuti malamente a fave e crusca, uomo vissuto in topaie adattate a casa, povere tane senza luce e aria, se non quella che permetteva la porta d’ingresso (...) uomo vissuto con una guerra assurda alle sue spalle strappata al lavoro e ai suoi cari  per la conquista della Libia. Poi, tre anni al confine austriaco”, con il corpo straziato “da colonie di cimici che avevano preso residenza fissa sul suo corpo”.

Guerra che divorava i suoi figli. Guerra assurda. Imposta da altri. Dal Governo. Dal potere. Vita vissuta nella continua inclemenza di ingiustizie umane. Da qui la rabbia. Da qui il bisogno di un riscatto (ansia di riscatto, tu la chiami). La speranza in un mondo migliore, dove necessità e dovere era quella di opporsi “alla legge del nerbo e del bastone, agli infami che stavano al servizio dei Padroni, dei Baroni, alle guardie del Dazio corrotte e vili..” perché tutto era “frutto di una vita ingrata”. 

   Ed è proprio in questo libro “Le verdi praterie” che è possibile leggere la vita dei tuoi antenati, che è calco della vita sociale del tempo. Dove è possibile rilevare il passaggio dalla pagina di diario autobiografico alle pagine di storia che riguardano quasi tutta la società di un tempo. Mio nonno e mio padre  inclusi.

    L’Anarchia è ideologia e progetto di vita che condanna il potere e le ingiustizie in tutte le sue forme e lo attacca per eliminarlo, perché ognuno possa guadagnarsi una fetta di libertà meritata, che ad ognuno spetta di diritto. 

    Il programma dell’anarchico ricalca gli ideali principi della Rivoluzione Francese tuttora inscritti nel programma, nella bandiera e nell’animo del libertario:

Liberté, Fraternité, Ėgalité.

Principi-valori ideali che ogni uomo che transita su questa Terra deve fare suoi. Questi principi sono le Fiaccole che devono illuminare il cammino di ognuno di noi. 

    Il principio di libertà contiene implicitamente l’idea di lotta contro tutte le oppressioni, contro ogni autorità, e la lotta per la Giustizia sociale, lotta contro Chi (ma “Chi”) costringe anche oggi gli uomini alla miseria. E se l’anarchico non può realizzare tanto, può certamente essere un modello di vita sana, corretta, umana, fraterna, etica. Uomo che considera la sua vita una missione: convincere i ciechi, i pigri, gli egoisti, gli ignavi a muoversi per cercare di cambiare questa società, per estirpare ogni tipo di male.

    A questo punto, nella lettura de “L’Anarchia spiegata a mia figlia”, dove tu spieghi a tua figlia (cioè a tutti noi) quello che  è anche il tuo progetto di vita, io rilevo due momenti:

Il primo:  una analisi lucida, una radiografia spietata della società e delle lordure e storture che la contraddistinguono. Il secondo momento mostra l’orizzonte lontano, forse irraggiungibile perché, si sa, che per chi va avanti l’orizzonte cambia, si sposta sempre. Ed è all’orizzonte che tu vedi come  oasi lontana nel deserto di valori della vita e non vuoi chiederti se quello che vedi è miraggio o realtà.

Così rivivi il mondo vero della tua infanzia, il mondo sognato da tuo nonno, quello vissuto da tuo padre, da te, dalla società del passato, da quelli del partito, dai poveri, dagli assetati di giustizia.  Mondo sognato e descritto tante volte da scrittori e filosofi. Fra i tanti mi transita per la mente la Repubblica di Platone. La Città del Sole di Campanella, Utopia di Tommaso Moro. Tutti pensatori alla ricerca di un mondo diverso e migliore. Così è il sogno. Così la tua Utopia. 

     Ma un mondo migliore è stato da sempre auspicato, sognato e vissuto da tutti gli uomini del passato nel periodo di Carnevale. Mondo “quando nessuno era costretto a lavorare, quando ogni cosa germogliava senza semi e senza bisogno di aratro, e questo accadeva “in tempi felici, quando tutti gli uomini erano onesti e dal carattere d’oro, e nessuno era servo e nessuno era padrone. Ė Saturno che parla e dice:  “Questo era il mio regno, e quella fu l’Età dell’oro per l’umanità”. Parole di un Dio. 

      Le festività del Saturnale in  Roma erano quelle dell’odierno Carnevale, dove per tutto quel periodo è festeggiata una idea: quella di un mondo diverso e spensierato. 

       La differenza con il tuo/vostro progetto di società diversa e migliore?  E’ la fede-certezza che l’uomo possa modificare le incontrovertibili leggi della sua natura. La speranza-certezza che l’uomo possa capire che la violenza è crimine, che l’egoismo è peccato, che il bene esiste per tutti e per questo bene bisogna lottare e vivere. Realtà che si mescola col sogno. 

      Questo il secondo momento, che non è una analisi della realtà, ma l’idea che possa essere pensata, costruita, inventata con la volontà  e la solidarietà una società giusta, sana, dove gli uomini possano sentirsi uniti da un afflato fraterno. E’ una idea. E’ una speranza. O forse soltanto  una Utopia?

     I due momenti,  richiamano alla memoria le due facce di una medaglia con-legate da un cordolo. Il passaggio dall’una faccia (realtà) all’altra (ideale) è rappresentato dalla Rivoluzione, che è certamente un salto nel buio: rischioso, salto, nel buio. Perché si ritiene che chi ha creato questo mondo assurdo possa di punto in bianco togliersi la pelle, cambiare d’abito  e modificarsi. Fra l’altro porre una idea a una realtà futura non è facile. Significherebbe modificare l’immodificabile. Far sì che chi nasce rotondo possa di punto in bianco diventare quadrato. Forse è possibile. Forse ci si sbaglia. Ma, il rischio esiste. Far diventare possibile l’impossibile. Porre per certo ciò che non si conosce e non è stato mai verificato. 

       Tanto sostengo perché, se si tratta di modificare un quadro di pittura che stai realizzando non è difficile. Tu lo hai creato e tu lo puoi modificarlo, quando e come vuoi. Ma qualcuno che è nato prima di noi (Giovenale, Orazio, Hobbes, Owen) ha fissato il concetto che l’uomo è tutto e il contrario di tutto, e ha sostenuto che è l’uomo il vero lupo del suo simile. 

E tanto ho il coraggio di porre per certo, perché mi viene in mente un aforisma di Napoleone, che recita come.. “Nelle rivoluzioni ci sono quelli che le fanno e quelli che ne approfittano”.

E penso ai fratelli Gracchi, ai Fratelli Bandiera, a Curcio stesso, a Gesù anche, se è vero che è esistito, che nel cercare di modificare (solo con le parole) l’ordine costituito, è stato come tutti sappiamo eliminato (dal Potere). Non doveva parlare. Perché? Non è sempre facile realizzare un sogno.

D’altro canto, la storia ci dice che il mondo è una giungla dove vince “Chi-è-più”: più forte, più ricco, più veloce, più furbo, più intelligente, più astuto, più viscido, più senza-scrupoli. Le caratteristiche dell’uomo sono tante, variegate, imprevedibili, camaleontiche e tutte diverse. Nel fare una Rivoluzione, come tu dici, non si può porre ad ipotesi che la parola data sarà sempre mantenuta, e l’impegno preso verrà onorato.

Tanto continuo ad affermare ancora sostenuto da una statistica che dice come di cento uomini che dovrebbero lavorare ce ne sono cinque che devono lavorare per forza. Trenta che lavorano. Trenta che lavorano se li controlli e alla fine ce ne sono cinque che non li farebbe lavorare nessuno. Di fronte a questa lussureggiante qualità,  alle possibili metamorfosi e alle differenza caratteriale degli umani non è consigliabile darsi da fare per una idea, anche perché oggi, malgrado tutte le ingiustizie che ci si augura siano perfettibili, non viviamo le dittature del passato. 

    E mi conforta ancora un racconto di un mio caro amico che in uno scritto titolato “I Garibaldini” racconta di come, tanto per gioco, una banda di bambini aveva deciso di giocare alla guerra con altre bande.. E racconta ancora come avevano  immediatamente capito di doversi organizzare militarmente. I capi in alto sui gradini della Chiesa, ed erano colonnelli, e giù giù a rotoli, fra capitani e tenenti e sergenti e caporali, tutti pronti a formare una piramide. Piramide sociale che era stata già scoperta da Egiziani e Aztechi. Struttura socio-piramidale inscritta in ognuno di noi e negli animali tutti che sanno che per essere più forti devono fidarsi ed affidarsi al migliore, a un capo, al comando di uno solo o alla sua struttura militare e sociale. Si tratta di un impianto “etologico” inscritto in ognuno di noi. Se due persone vanno a cavallo, una sarà seduta di dietro, e una sarà seduta davanti, e sarà quella che avrà le redini e guiderà il cavallo.  

     Il termine “etologico” che abbiamo appena citato ha la stessa radice di “etico”. La differenza?

  • “Etologico” è il comportamento naturale, istintivo inscritto nel DNA dell’uomo-animale.

  • “Etico” è il comportamento ideale, quello che ci indica come ognuno dovrebbe comportarsi nel suo rapporto con gli altri: umani, animali, vegetali e con il pianeta-Terra che è la nostra casa Madre.   

     Tu, mio caro Pippo, come anarchico puro,  sei un individuo etico. Rispettoso di tutti i diritti di tutti. Così ti ho conosciuto e così ti voglio ricordare. E chiudo sostenendo che ad ognuno di noi basta vivere la nostra eticità da single, senza imporre nulla agli altri. Tu sai che l’imposizione, anche di una sola idea, è violenza. E il rispetto è la vera legge. Obiettivo? Programma? Impegno? Vivere questa nostra breve esperienza di vita dando a chi ha bisogno, così come hai fatto tu quando nelle Ferrovie dello Stato lavoravi in alta montagna, a 20 gradi sotto zero, sotto il freddo, per te, per la tua famiglia, ma soprattutto per i passeggeri, per servire i tuoi fratelli.    
        
                                             Gino Carbonaro

La prima risposta
di Pippo Gurrieri al mio commento        

Caro Gino

Come sempre sei molto profondo, preciso, a volte anche troppo lusinghiero. Apprezzo molto la tua analisi, il tuo cogliere aspetti dei mie scritti (e quindi miei) che a volte neanch'io stesso colgo... E ti ringrazio per aver posto la questione dell'etica, del comportamento, che per me è fondamentale, come anche tormento, verifica quotidiana, poiché il rapporto con la realtà costringe a una lotta senza tregua per cercare di essere se stessi. Anche se sull'ultima parte del tuo scritto ci sarebbe da aprire una gran bella discussione, dal "cu nasci tunnu nun mori quadratu" in poi. Ti stimo per la tua sincerità e schiettezza. Ancora grazie, e... ci sentiamo quando vuoi tu.
Un abbraccio


Pippo