indovinello
& carnevale
Conferenza del 15 febbraio 2007, ore 19
Ristorante Acrille - Chiaramonte Gulfi - Ragusa
Indovinello Siciliano
fra storia e poesia
di Gino Carbonaro
1. Indovinello e tradizioni
popolari
Sino a qualche decennio fa, l’indovinello è stato parte integrante del nostro patrimonio
culturale, delle nostre tradizioni popolari.
Da qualche anno, invece, l’uso di proporre
indovinelli sembra passato di moda. Se ne parla ancora, ne parliamo adesso, ma come di cose che appartengono ad un passato remoto.
Le nuove generazioni non sanno di
indovinelli, né delle abitudini siciliane di un tempo.
Nelle scuole, i maestri
invitano i loro alunni a fare ricerche, a raccogliere indovinelli in famiglia,
giusto per non perderli, per salvare il salvabile, ma la loro morte è stata decretata.
Proprio tre giorni fa era martedì grasso,
ma nessuna famiglia, riteniamo, si è riunita attorno a un tavolo per godere di
un momento, che una volta era autentico, sentito ed atteso. Eppure, sino a
qualche decennio fa era prassi che nel periodo di Carnevale tutte le famiglie (famiglie patriarcali) riunite attorno a
un tavolo trascorressero le serate sfidandosi a gara negli indovinelli.
Non c’era televisione, né
discoteche, né svaghi notturni, il passatempo era sano, e la consuetudine
risaliva alla notte dei tempi.
2. Carnevale veniva anticipato dagli indovinelli
Per entrare nel tema soprattutto per capire
la storia dell’indovinello, è necessario tener presente alcune cose:
- Che l’Indovinello
è figlio del Carnevale.
- Che gli indovinelli
potevano essere recitati solo nel periodo di Carnevale, per una durata
massima di tre, quattro settimane, nell’arco di tutto l’anno. Fuori di questo
periodo era proibitissimo proporli. Se qualcuno ripeteva un indovinello
durante uno dei periodi non canonici, cioè fuori dal periodo del Carnevale, si
era soliti intimare "Attentu ca ti cammiri!"
Era peccato mortale ripeterli. Era proibito dalla Chiesa, dalla tradizione? Nessuno
sapeva dire perché. Ma, era proprio così.
- Va ricordato ancora, che il fatto che si stava per entrare nel periodo di
Carnevale, veniva dato proprio per mezzo degli indovinelli. Vediamo
come:
Dopo l’epifania (ma non c'era un giorno ben definito) qualcuno in famiglia recitava a sorpresa con un indovinello. Era "sorpresa", ma era proprio quello il
segnale che qualcosa stava cambiando nell’aria, e che si era entrati nel
periodo del Carnevale.
Lentamente, poi, ma sempre più
intensamente, venivano proposti indovinelli, sempre nei momenti più impensati. Anche da persone sconosciute.
Una donna era in casa badando alle proprie
faccende? Una vicina si affacciava alla porta, lanciava un indovinello e
sorridendo si alluntanava, lasciando l’interlocutrice a lambiccarsi il cervello nel tentativo di trovare la giusta risposta
a quella strana combinazione di parole della quale bisognava trovare la
soluzione.
E ancora. I lavoratori (muratori, contadini) sempre nel periodo di Carnevale. Si fermavano per
pranzare? C’era subito qualcuno che proponeva un indovinello, mentre qualcun
altro era pronto a continuare. Ed era gara per vedere chi ne diceva di più, chi
proponeva il più curioso, il più difficile da indovinare.
3. L’indovinello come sfida
In verità, l’indovinello non veniva
proposto, quanto piuttosto lanciato
come guanto in segno di sfida improvvisa
alla persona, o alla intelligenza della persona. E la sfida andava raccolta.
Ricordo con quanta attenzione si ascoltava l’indovinello, con quanta tensione si cercava di decifrarlo, e quanta
gioia ancora accompagnava colui che riusciva a dare la giusta risposta. A vincere la sfida. E, parimenti, era
facile immaginare quanta mortificazione e umiliazioni lasciava registrare nel
viso colui che non riusciva a rispondere, facendo la figura di uno che non vale
niente.
4. L’indovinello è verità mascherata
A questo punto, viene
naturale chiedersi, che rapporto c’è fra Indovinello
e Carnevale?
Diciamo subito che, l’indovinello è una verità mascherata. Una verità che non vuole
farsi riconoscere, e perciò indossa una maschera depistante.
Adesso il problema si sposta sul Carnevale,
e le domande potrebbero essere altre: “Perché ci si maschera in generale?
Perché ci si maschera a Carnevale? E, Carnevale cos’è?” Ben sapendo che:
- Carnevale è la prima festa dell’anno.
- Carnevale non è una festa religiosa.
- Carnevale è
festa che esiste senza esistere, perché non è segnata in calendario, né è
previsto alcun giorno di vacanza dal lavoro o a scuola.
È così che torniamo a chiederci:
- Cosa è il
Carnevale?
- Quando è
nato?
- Se Carnevale
ha degli antenati?
- C’è un
rapporto fra Carnevale e la medievale Festa
dei Folli, fra Carnevale e i Lupercali latini, e i Saturnali romani e i
Baccanali greci? Tutte feste
primaverili, tutte feste in maschera, tutte feste in cui erano consentiti comportamenti
che sarebbero stati perseguiti in altri momenti dell’anno.
Ma, a guardar bene, anche all’indovinello
era concesso di vestire se stesso con un vestito osceno, a Carnevale. Ma, solo
a Carnevale!
5. Il sesso era tabù. Una volta. In Sicilia.
È risaputo che la maggior parte degli
indovinelli si presentava con forti referenti sessuali. E questo si verificava
in una società dove per tradizione il sesso era tabù. Dove nessuno osava
pronunziare la parola “partorire”, solo perché avrebbe potuto essere collegata
a sesso (che era peccato!). Eppure, a Carnevale, si rompevano gli argini, e tutti ripetevano a
gara indovinelli di un osceno che più osceno non si può. E chi scrive racconta che da piccolo era rimasto sconvolto da questa doppia anima della società.
Che il sesso fosse tabù, qualcosa di cui
non si doveva parlare, lo si capiva quando i genitori discutevano fra di loro
di argomenti “scabrosi”, e il loro ragionare si ingarbugliava, si caricava di
doppi sensi e di ambigue allusioni, mentre occhiate ladre cadevano sui bambini per
verificare sino a che punto avessero potuto capire ciò che non avrebbero dovuto
sapere. Invece, i bambini capivano che, quando si parlava di sesso, dovevano
fare finta di non capire! Perché il sesso era una cosa disdicevole!
Questo, in qualsiasi momento dell’anno.
Inspiegabilmente, però, le cose si capovolgevano nel periodo di Carnevale.
5. Indovinelli sboccati.
A Carnevale non si scontravano con la
morale.
Proprio qui sta il problema. Perché, gli
indovinelli erano per la maggior parte
sboccati, riferiti a quelle parti del corpo che la decenza comune evita di
menzionare, e che per tutto l’anno erano coperti dal tabù, dalla morale, dalla
religione, dal galateo: si è detto galateo,
perché un tempo, le persone che nominavano parti del corpo sporche, i piedi per
esempio, prima di nominare la parola erano soliti dire: “Con rispetto parlando, mi facevano male i piedi!” A Carnevale,
invece, le stesse persone mettevano da parte il rispetto, e per non si sa quale
motivo, finivano per recitare a diluvio, senza freni, `niminagghi `malaccriati, indovinelli osceni davanti a tutti: grandi e piccini, maschi e femmine, donne
sposate e vergini, servi e padroni, monaci e monache, senza che ciò si
scontrasse con la morale, senza che ciò facesse arrossire il viso a qualcuno, o
provocasse vergogna, sensi di colpa o sanzioni: solo risate, solo gioia e ilarità.
Chi scrive, da bambino, ha vissuto questa
esperienza di schizofrenia sociale, e rifiutava di credere alle sue orecchie
correndo con lo sguardo da sua madre a sua nonna, da suo padre a suo zio, ai
parenti tutti che buttavano giù mucchietti di versi riferiti a qualcosa di
molto pesante, subito supportato da un giuramento sornione:
Beđda maŧŗi `maculata
Era certamente un enigma questo
comportamento doppio delle persone e
soprattutto delle donne, cui era socialmente concessa solo a Carnevale la possibilità di parlare
liberamente sotto la copertura. Così, la donna che
in altri momenti dell’anno si dimostrava rispettosa della morale, delle buone
maniere e di quanto era riferito al sesso e all’atto sessuale si liberava
parlando con diritto di parola.
Ma, ascoltiamo qualcuno
di questi indovinelli piccanti.
- A fimmina ca
è di sutta joca e sciala,
- ’u maşculu ca è di supra si conšuma.
La femmina di sotto gioca e gode
Il maschio che sta di sopra si consuma.
Si tratta del formaggio (ca è masculu)
e sta di sopra e della grattugia (di una volta)
(ca è filmina) e che stava di sotto.
- Ta ma' ch'ê cosci apêrti
- Aşpetta a `mia ca ci la `mêttu
(pentola che attende (la madre) e pasta)
- Pi-lliccu
pi-lliccu,
nt’ô
culu t’a ’nficcu
(filo e ago)
Con rispetto parlando!
- Ta mintu nt’ô
culu
- e m’â `diri grazi!
(sedia)
Sempre con rispetto parlando!
- Dammi ’u culu
comu mi l’ha’ datu
ca
ti lu juru ca ’uň è piccatu.
(sedia)
- È robba di culu
e `merda nuň è.
(uovo)
- Ncugna maritu
-
- appuntiđda i pêdi ô muru,
- nfilala nt’â şpaccazza.
(ascia/accetta)
- Di fora pilu,
di dintra pilu,
spinci l’anca che t’a ’nfilu.
(pantaloni di pelle di capra)
- ’U viscuvu
l’havia lonća
’U papa l’havia ri cciu
’A monĭca çiancia
Ca
cciù lonća la vulia.
(tonaca)
- Trasi dura e
nesci mođda
(la pasta, gli spaghetti)
- Trasi
asciutta e nesci vagnata
(pasta)
- A ża Cicca si curcau,
u żu Ciccu
ci accravaccau,
menza
canna ci ň’anfilau!
(’A briula, ’u briuni)
Quest’ultimo indovinello sembra dire che una
non identificata "zia Francesca" (ża Cicca) era
andata a letto, che suo marito si era messo sopra di lei (a letto), e che lì era accaduto qualcosa (menza canna ci ňi ’nfilau) che decenza e decoro non ci
consentirebbe di ripetere.
Questo “sembra dire” l’indovinello così
come è montato. Ma, la realtà era un’altra: ’a
ża Cicca è il piano di legno, dove
una volta si impastava il pane (’a `briula);
’u żu Ciccu, il maschio, era l’asse
(!) di legno che serviva ad impastare il pane (’u `briùni); la menza canna che
entrava dentro la ża Cicca era il
chiavistello di legno (’a tinniggia)
che teneva insiema il piano e l’asse, o se si vuole ’a `brìula e ’u `briùni.
È qui che si rivela la caratteristica
dell’indovinello: la risposta vera non è
quella che appare più ovvia e scontata, ma un’altra, quella che non si vede, ed è nascosta nel labirinto depistante
delle parole.
Anche l’indovinello, a Carnevale, si
presenta come verità che ha indossato la maschera, mentre invita
l’interlocutore a indovinare cosa si cela dietro questa maschera.
La soluzione c’è, ma è il risultato di una
capacità umana: quella di spingersi al di là delle apparenze, di andare dove
non si vede, ma c’è la verità.
Dunque, non c’era nulla di male nel
ripetere ad alta voce, anche davanti ai bambini, questi indovinelli. Se
qualcosa di male sembrava esserci, quella era la maschera, ed era solo allusione
ed illusione. Quello che conta nella vita, ben si sa, è la sostanza delle cose non l’apparenza, e l’argomento era
candido nella sostanza, osceno solo nella forma, che, si sa, non ha valore.
6. L’indovinello propone un doppio se stesso
L’indovinello è una verità mascherata, ed è quello che propone un
doppio-se-stesso, dove, la verità è quella che si nasconde sotto la
maschera, per pervenire alla quale l’ostacolo è rappresentato dalla
interferenza della prima attribuzione logica, quella che ci porta a pensare ad
un rapporto sessuale.
I messaggi dell’indovinello sono in realtà
due:
- uno scoperto e comprensibile
- l’altro nascosto e da scoprire
Dunque verità doppia: (double)
che mette in dubbio il concetto di
verità, e pone la realtà nella sua valenza
ambigua, che si svela (e può essere scoperta) grazie a due componenti
umane:
- la volontà-necessità
di pervenire alla soluzione del quesito, e
- la forza
mentale e logica per poter
risolvere il problema.
Si deduce così che, se la realtà indossa
la maschera, la verità si pone sempre come enigma
legato contemporaneamente al concetto di maschera
e a quello di ragione.
7. La maschera è una
armatura
Ragione e maschera diventano protagonisti o simboli
di una lotta-confronto antica quanto il mondo, che da sempre l’uomo si è
trovato a combattere per districarsi nei labirinti
delle incertezze, per trovare le soluzioni ai mille dilemmi che la natura gli
pone quotidianamente davanti, per
sciogliere, insomma, i nodi gordiani
della vita.
Maschera, dunque, perché
tutta la realtà risulta schermata/celata/coperta da un involucro altro.
Ragione, perché è la
ragione lo strumento “forte” del quale l’uomo si serve per capire-e-carpire, parare o pre-parare,
in attacco o in difesa i colpi di una Realtà
che si presenta doppia, infida e mascherata.
Sfida, questa dell’enigma-indovinello, che simula nel piccolo,
l’altra, quella vera e grande, che la
Natura lancia
quotidianamente all’uomo, e al suo strumento di massimo potere e di conoscenza,
alla sua intelligenza, a quella che è in grado di inter-legere, cioè di leggere fra le righe di tutto ciò che è
offerto come complicato/ complesso/strutturato/articolato e in ogni caso nella
sua forma costitutiva che è per l’appunto enigmatica.
Enigma, dunque, o verità
mascherata, in quanto surroga la realtà, quasi a voler dire che tutto ciò che
ci circonda custodisce o nasconde se stesso dietro un inestricabile labirinto
di elementi che proteggono difendono e depistano l’avversario.
8. La maschera è il simbolo della vita, che è per l’appunto mistero.
Sono le apparenze delle cose, quelle che
la realtà ci presenta. Chi può dire cosa si cela dietro quelle maschere? Chi
può di ognuno di noi indovinare i pensieri, le intenzioni, le volontà recondite?
Se siamo portatori di bene o di male? Se si cela verità o menzogna dietro ogni
parvenza di maschera-persona?
Tolta la maschera c’è verità? o,
altre possibili maschere? Chi può dire cosa sono gli altri, se noi, per primi,
simuliamo o dissimuliamo, per amore o per calcolo, agli altri, vicini o
lontani, amici o nemici i nostri pensieri? Non è forse maschera la nostra? E
non siamo forse un enigma, noi a noi stessi? Sappiamo forse chi siamo? Cosa vogliamo?
Perché viviamo? E non è mascherato anche il nostro futuro, quello che incombe
come una spada di Damocle su ognuno di noi? Tutta la Natura e il Destino si
presentano all’uomo in una forma doppia, in una catena ininterrotta di
possibilità alterne e “cornute”, ambivalenti e miste, perché il mistero è “miste” cioè doppio. Dunque, non solo l’indovinello e
il Carnevale, ma anche la
Natura è enigma: la maschera il loro simbolo, il simbolo
della vita, che è per l’appunto mistero.
9. Sfinge, Uomo, Enigma
Per questo l’enigma è presente in tutti i
popoli della terra, quasi sempre legato a funzioni misteriche e religiose.
Famoso fra tutti il mito di Edipo e
della Sfinge, che simboleggia la sfida
offerta all’uomo da tutto ciò che ha la maschera, della natura, e dall’enigma,
ancora, come arma del duello che vedrà soccombere inevitabilmente lo sconfitto.
Racconta la leggenda che Dioniso-Bacco, per vendicarsi di un torto
subito dai Tebani aveva mandato la temibile Sfinge contro questi ultimi.
Accovacciata su una rupe antistante la
piazza del mercato in Tebe, la
Sfinge sceglieva le sue vittime tra i passanti e a questi
poneva un enigma cantandolo nel modo tipico degli oracoli. Ma, l’enigma era
stato fornito dal Dio, e l’oracolo che parla in nube et aenigmate è voce di un Dio che va pure indovinata, per
questo si diceva che l’uomo doveva a-divinare
o in-divinare, quasi a voler indicare
che sciogliendo l’enigma si rubava la verità a-Deo, oppure che si riusciva ad entrare in-Dio (indovinare, indivinare)
nella sua mente, nel suo esser vero.
L’enigma, famoso, posto dalla Sfinge, che
è la maschera per eccellenza, suonava così:
“C’è sulla Terra un animale che può camminare
con quattro, due o anche tre gambe
ed è sempre chiamato con lo stesso nome.
Quando egli cammina appoggiato
ad un maggiore numero di piedi
la velocità delle sue gambe è minore”.
Non è importante sapere cosa poneva
l’enigma, quanto piuttosto il referente mitologico. La sfida fra Sfinge e Uomo era paritaria. La
Sfinge, che è poi la Natura
o Diòniso (che è lo stesso) poneva
l’enigma: se l’uomo risolveva l’enigma la Sfinge sarebbe stata sconfitta e perciò sarebbe
stata costretta a soccombere. Se invece è l’uomo a non risolvere l’enigma,
allora sarà quest’ultimo ad essere sconfitto dalla Natura. Nell’un caso e
nell’altro il rapporto fra l’uomo e la Natura ha come posta in gioco la vita.
10. Enigma
Nel suo primo apparire l’enigma si pone come prova di abilità-logica,
non dissimile da altre prove di abilità, che si manifestano in giostre, gare,
corride, ma anche nel gioco della carte, che chiama in causa la sfida al Destino, il concetto di vita e vittoria, di sconfitta e morte.
Simboli e principi pur sempre ricorrenti nel Carnevale.
Nel mito di Edipo, come in qualsiasi gara, sono presenti i concetti
forti della vita: la sfida, il rischio, la
maschera, la
ragione (quella alla quale si appella Edipo) la possibilità della vita che è nella
vittoria,
e della morte in seguito a
sconfitta.
Chi supera la prova (e l’enigma è
forma suprema di sfida) vince e vive; che è sconfitto, perde e muore.
Questa è la logica spietata della Natura, che è poi la logica di Diòniso
e della Sfinge, senso arcaico e sotterraneo che presiede alla logica
dell’enigma; e che, simbolicamente, ritornano nel Carnevale, là
dove sono presenti gare, sfide, prove di abilità che se vengono superate danno all’uomo l’illusione
di poter vincere contro la Natura,
quando si presenta come portatrice di male.
Lo schema è in ogni caso visualizzabile nel seguente flow-chart:
natura = realtà = dioniso
(doppiezza: bene-male)
sfinge
maschera
enigma
mistero
aggressione
sfida - lotta
- prova
difesa
maschera
come armatura depistante
Ragione
Logica Lineare
Scoperte forti arcaiche
Se la realtà indossa la maschera si deduce che la verità è presente
sotto forma di enigma, legato al concetto di
maschera e, di riflesso, a quello di ragione:
Uomo contro
Natura
Ragione contro Maschera
Sono protagonisti e simboli di una lotta-confronto: lotta, che da sempre l’uomo ha dovuto combattere per
necessità contro la natura: maschera, perché tutta
la realtà risulta schermata, coperta da un involucro altro.
11. L’enigma di Edipo e i Dubbi
Dalla Grecia antica alla Sicilia
La mia sorpresa, come ricercatore, non è
stata poca, quando mi sono accorto che il mito di Edipo era lo stesso che re-citava mia nonna, quando mi avvisava
che si trattava di un Dubbio e non di un indovinello:
Qual è quell’animale
che da piccolo cammina con quattro piedi
da grande con due e da vecchio con tre?
E quando cammina con più piedi
non sa correre?
Un filo sottile lega, dunque, la storia del
passato a quella presente: la storia delle maschere antiche a quelle
dell’odierno Carnevale dove tutto è condito da risate e scherzi, anche
pesanti e licenziosi per i quali però a nessuno era consentito offendersi.
12. Mercoledì delle Ceneri e
la fine del Carnevale
Ogni divertimento e gioia, ogni
concessione e deroga alla licenza, finiva a mezzanotte in punto del martedì
grasso, quando in piena notte giungevano i lugubri rintocchi delle campane che
suonavano il tenebroso mortorio (pulvis
es et in polvere reverteris): era il
mea culpa a ricordare che Carnevale
era finito e che si entrava nel Mercoledì
delle Ceneri o dei pentimenti e della espiazione dei peccati, e con essi
nel periodo della Quaresima.
Da quel momento la consegna terribile era
una soltanto: guai a proporre un solo indovinello. A tutti veniva ricordato che
trasgredire a quell’ordine era peccato mortale. Mia nonna ricordava a tutti: “Zíttiti, ca ti càmmiri!”. Io non capivo
cosa volesse dire quel “ti càmmiri”,
ma intuivo qualche sventura se avessi continuato a recitare indovinelli.
Così, tutti si rientrava nella norma: ciò
che era stato scoperto (il tabù) tornava
a coprirsi; ciò che era stato coperto (i
visi mascherati) tornavano a scoprirsi, la gente tornava seria, tutto si
ricomponeva e le cose riprendevano il corso naturale, così come era stato prima
del Carnevale. Il rito esorcistico-propiziatorio del Carnevale era finito.
Era processo naturale questo avvicendarsi
contraddittorio di due aspetti della realtà, ma, nessuno riusciva a spiegarsi
il perché tutti sapevano che a Carnevale
ogni scherzo vale e chi si offende è un gran maiale, e anche che semel in anno licet insanire, che una
volta l’anno a tutti è consentito perdere la ragione, sospendere il giudizio,
evitare di chiedersi il perché degli eventi.
Gino Carbonaro
gino.carbonaro.italy@gmail.com
( --> Vedi file: Carneval, Enigma
pag. 67)
Altri indovinelli
1.
Cu è ca sta-pi a moddu tutto l’annu
e
nuň infraçirisci mai? (pesce)
Nell’indovinello siciliano si
pone l’idea di qualcosa di impossibile che pure è possibile. Nell’acqua,
tutto subisce una inesorabile trasformazione. È certo impossibile che qualcosa
possa restare in acqua senza marcire.
2. ’Nzirtàtimi cu è ca vota ’u culu o re? (cocchiere)
Mi si dica, di grazia, chi può essere tanto insolente (o, incosciente) da voltare le spalle al
re? La risposta (scontata) dovrebbe essere:
“Nessuno”. Invece, l’intelligenza scopre una possibilità-positiva: il cocchiere
è colui che di necessità gira le spalle al re. Così il paradosso è solo apparente.
3.
Nuň ha vucca e parra,
nuň
ha-vi pêdi e camina. (lettera)
Altro paradosso, altra cosa impossibile.
Difatti che può parlare se non ha bocca e chi può camminare se non ha gambe?
Indovinelli osceni
’Ntò, ’Ntò,
mintammilla i davanti
ca d’arreri nun ci vidu.
È una frase colta al volo, che
all’ascoltatore poteva offrire un doppio significato, uno quello normale;
difatti, la buona Concettina, rivolta ’Ntò suo cognato, lo esortava a mettere la Lanterna
davanti, com’è logico, in quanto, se continuava a tenerla di dietro (la lanterna) non avrebbe potuto vedere.
Dunque c’era buio.
La seconda interpretazione, coglie
l’allusione metaforica, oscena o carnevalesca. Difatti cosa può chiedere una donna a un uomo? a metterle davanti
cosa?
L’indovinello con il riferimento al sesso
mette l’interlocutore in imbarazzo rendendogli difficile la decifrazione
dell’enigma, che non verrebbe mai risolto senza l’aiuto malizioso del dicitore.
Si tratta, si è detto, della Lanterna,
che risaputamente, quando si procedeva al buio nelle notti oscure di una volta
andava messa davanti.
A questo punto il discorso continua,
l’indovinello passa di mano e la vendetta non si lascia attendere. Chi non ha
saputo risolvere il quesito risponde:
(Pil-)liccu, (pil-)liccu,
’nt’o culu t’a ’nficcu.
L’indovinello simula l’atto di vestire l’ago. Cosa fa la donna
per fare entrare il filo nella cruna: lecca, lecca il filo e poi lo infila. La
cruna è detta culu, per portare fuori
strada, è in realtà ci riesce, perché nessuno può indovinare se non è aiutato.
La risposta nel giro dei dicitori non si lascia attendere.
T’a mintu ’nto culu e m’h’a diri grazi.
Il riferimento è fatto anche stavolta a un
oggetto comune, alla sedia, la quale
ricorda, per l’appunto, che bisogna sempre ringraziare chi ti avvicina o te la
mette (la sedia) a portata di mano o
a portata di sedere, specialmente
quando si è stanchi.
A botta e risposta,
P’amuri di Diu e di li Santi
Livàmila d’arreri
E mintìmila davanti.
Nel livello osceno il gioco è sempre
riferito a qualcosa che va tolto di dietro e va messo davanti, ma in questo
casa la risposta è di un candore assoluto.
In chiesa di solito si stava seduti
durante la funzione, ma, quando ci si alzava, gli anziani erano soliti spostare
la Sedia e metterla davanti. Veniva utilizzata per
appoggiarsi quando l’orante si piegava in avanti. La prassi era riferita ai
vecchi che non riuscivano a inginocchiarsi e si piegavano appoggiandosi alla
sedia che avevano posto davanti a loro.
Solo chi pensa male può ritenere che
questo indovinello sia sporco, mentre in verità non nasconde nulla di
male.
Il trucco sta nel fatto che nessuno fa
riferimento al soggetto della frase e quindi dell’indovinello.
Quando, poi, il dialogo si riscalda, un uomo può farsi coraggio (ma non tanto) e riferito a una bella
donna della comitiva può recitare questo indovinello:
M’h’a scusari se t’u dicu,
a spaccazzedda è sutt’o viddicu.
Scusate la mia sfacciataggine, Signore, ma
la fessurina (di ciò che dovrete
indovinare) è sotto l’ombelico. Chi è che ha la fessurina sotto l’ombelico?
È il salvadanaio di terracotta, che
ha una specie di bottoncino (l’ombelico?),
sotto il quale, guarda un po’, c’è proprio una fessurina .
Insomma, non si finisce mai di pensare
male, sporca mente umana, anche quando si tratta di cosa semplici, elementari e
soprattutto tali da non poter far pensare a nulla di osceno.
Gino Carbonaro