Graffiti di parole
da "Nuatri" (2oo3) e
"Setti viti comu i jatti" (2005)
da "Nuatri" (2oo3) e
"Setti viti comu i jatti" (2005)
di Gino Carbonaro
Non ho mai incontrato donne
come Angela Bonanno che colgono aspetti
della realtà così come fa lei.
Questa
è poesia che non ha modelli.
Noi possiamo leggere Leopardi,
e nella forma potremmo sentire
la presenza di Tasso.
e nella forma potremmo sentire
la presenza di Tasso.
Possiamo leggere Foscolo, e dentro potremmo
sentire la eco di Pindemonte, Ennio, Lucrezio.
Leggiamo le poesie di Angela Bonanno
e dietro c'è solo lei
con il suo modo di vedere il mondo,
con i suoi valori, interessi, eventi, frammenti di vita, ed essere senza compromessi se stessa.
sentire la eco di Pindemonte, Ennio, Lucrezio.
Leggiamo le poesie di Angela Bonanno
e dietro c'è solo lei
con il suo modo di vedere il mondo,
con i suoi valori, interessi, eventi, frammenti di vita, ed essere senza compromessi se stessa.
T'ammazzu!
Mi fazzu i scali
a quattru a quattru
mi stramazzu de scali
da me vita
ti 'nficcu du ita
intra all'occhi
cc'i fazzu mangiare e cani
t'annorbu ppi disprezzu
di la vista
ti cucinu 'n-pranzu cu li nocchi
di tuttu u ma vilenu.
Nuatri p. 16
In queste poesie c'è lei e la sua vita. Ed
è su questo che mi viene da riflettere. Su quella che è la forza del suo
pensiero poetico: un misto di filosofia dell’esistenza, psicologia al femminile, lingua, poderosa, vichiana, incisiva, in sé creativa, in un impasto unitario
che enuclea poesia. E mi chiedo. Da dove discende tanto coraggio, energia,
tenacia, originalità, tanta caparbia certezza che il suo lavoro è poesia vera?
Si jetta u vugghiu
s'appannunu i vitri
mi spinnu i manu
e mi cunfunnu.
Ccia ava ccalari a pasta
e cci calai i pinseri.
Nuatri, p. 13
Mi ha messo in crisi. Perché ho dovuto
confessare a me stesso che dentro di me c’è un velo, una ruggine micronizzata,
un tarlo che macchia la mia personalità. Malgrado io abbia scritto un libro
sulla donna, resto impreparato nel dover accettare che Angela
Bonanno, donna, abbia potuto dare una lezione al mondo delle accademie letterarie,
ai "Poeti" con la “p” maiuscola; e senza che nessuno gliel'abbia mai insegnato, riuscire a intercettare la strada per trovare se stessa, per essere visceralmente,
univocamente se stessa, per dare uno sbocco alla sua rabbia, sublimare le sue
amarezze, il suo bisogno di giustizia, di amore, di conforto, di comunione con
un essere con cui dividere se stessa, i suoi pensieri, la sua vita, i suoi
affetti.
*
U cani de vicini
pari ca mi piccìa.
E dataccilla na badda di vilenu
Vulissi nesciri
ma nun pozzu guidari
Nun sugnu orba ppi ffinta
nun ci viru davveru
A llurdia a toccu
e m'addannu a cuscienza
Cchi cazzu a ffari
senza 'n-cazzu di fari
scrivu e nun talìu
Ti vogghiu quannu l'aiu a cupiari
M'ancu n'amicu cani ca mi cerca
e.. l'unicu cani veru
iù u vulissi ammazzari
Setti viti comu i jatti, p. 46
Ed è il tema dell’essere e del non essere
con gli altri e per gli altri, il profondo tema del “partire” che nell’etimo significa
dividere, spaccare, lacerare corpo e animo. La stazione, il treno che parte
(parte? divide? separa) e le amarezze di tutti i giorni, l’anoressia, il non
volersi adattare a vivere in questo modo, in questo mondo, il non poter
cambiare la società, il dover accettare la realtà, l’umanità, gli uomini, così
come sono; il dover accettare la condizione di donna cui solo pochissimi
riconoscono dignità, sensibilità, intelligenza, personalità, diritto di essere
donna.
*
Su' nisciuti me figghia e me niputi
A sira è 'n-lampadariu
ccu du' lampadini svitati
Setti viti comu i jatti, p. 62
Così, si scopre che per leggere queste poesie
si è costretti a stare in difesa, per proteggere psiche, mente, budella, perché queste non sono poesie che lasciano il sapore di
caramella in bocca, poesie che confortano l’anima, che riscaldano a bagnomaria
il termostato del nostro corpo. Questa è poesia che entra dentro, che taglia, scompiglia,
violenta, graffia, brucia. Queste poesie, questi versi (ma dove sono i versi?)
sono sciabolate di parole, che evocano spesso bisturi e coltelli affilati,
taglienti; sono unghiate di gatti che costringono il lettore a proteggersi.
*
Iù non scrivu a tempu pessu
u tempu ppi scriviri
m'u scippu do' rriloggiu
U tempu ppi scriviri
iù u pavu
Non manciu
non stiru
e a televisioni avri tri gghiorna
ca n'addumu
e certi voti non mi lavu
piccì u tempu ca peddu
mi sciddica d'incoddu cc'u sapuni.
Iù
u tempu ppi scriviri
m'u ppuntu che spinnuli 'nte manu.
Nuatri, p. 22
Poesie che sono frattali, frammenti, “fragmenta”, che richiamano lesioni, ferite, sangue di un corpo, poesie che attaccano i contenitori umani che custodiscono in bella mostra pensieri sazi di bene, ipocrisie, bisogno di star bene, e ti costringono a riconsiderare il tutto, a rivedere il tutto nella sua essenzialità scheletrica, essenziale, sotto un’altra ottica e un’altra gerarchia di valori. Angela scava nella psiche, mentre si denuda senza falsi pudori, per dire quali sono i sentimenti di una donna, per mostrare su quali bolla di vita ci troviamo a galleggiare, a navigare.
*
Anorissia
dici u dutturi
putissi esseri o addivintari
Sei chila na mancu un misi
e u frigorifiru è chinu
ciauru, culuri
a panza no nni cerca.
E' na cosa ca prima nchiumma
e appoi spurtusa
astruppìa.
Accussì rumpu buttigghi
spaccu biccheri e
cuntu i vitra ccu i peri scausi
ppi sentiri nautru duluri.
Nuatri, p. 22
Si tratta di poesie? fotografie? documenti? che fissano con parole usate come graffiti un evento, un transito di emozioni, una percezione, una angoscia, una illusione, una delusione, un affetto tradito, un inganno, un forma larvata di odio, un bisogno di vendetta, una imprecazione, un dolore.
Anorissia
dici u dutturi
putissi esseri o addivintari
Sei chila na mancu un misi
e u frigorifiru è chinu
ciauru, culuri
a panza no nni cerca.
E' na cosa ca prima nchiumma
e appoi spurtusa
astruppìa.
Accussì rumpu buttigghi
spaccu biccheri e
cuntu i vitra ccu i peri scausi
ppi sentiri nautru duluri.
Nuatri, p. 22
Si tratta di poesie? fotografie? documenti? che fissano con parole usate come graffiti un evento, un transito di emozioni, una percezione, una angoscia, una illusione, una delusione, un affetto tradito, un inganno, un forma larvata di odio, un bisogno di vendetta, una imprecazione, un dolore.
Non mi piace usare i termini desanctisiani
di contenuto e forma, ma va detto che la lingua che Angela adopera per colloquiare
con se stessa, per incidere come in una roccia i suoi principi, i suoi
comandamenti, le sue leggi, è unica. Fa
parte della sua persona, del suo vissuto, della sua identità.
*
u pinseri è fissu
Futtiri a morti
futtennumi d'amuri
Setti viti comu i jatti, p. 39
Questi suoi libri sono in realtà un
diario. Ogni poesia è un tassello che completa il mosaico, la sua piccola,
grande Cappella Sistina dove si fissa il magma del suo vulcano sopito, la sua
protesta, contestazione gridata nel vuoto, dall’alto del suo balcone di casa, a
un mondo assordato da rumori, attento ai suoi interessi, egoismi che non
consentono di avere tempo per i problemi degli altri, per ascoltare gli altri. Tutto
questo, mentre le stelle stanno a guardare.
Sciùscia sutta a vesti
tocchimi
spezzimi comu u pani
fammi sentiri cchi ciauru fa
S'u voi
fazzu finta di nenti
giru a testa ddabbanna
fazzu finta di durmiri
Sciuscia cca
sutta a vesti
ppi 'n attimu sulamenti
ca mai è ppi sempri
Setti viti comu i jatti, p. 40
Il bello della sua poesia è ancora nel
linguaggio, stupendo, nell’uso della lingua catanese, decisa e precisa, viva e incisiva,
creativa e di per sé poetica, lingua siciliana che sgorga fresca, natura come
zampillo di una sorgente di montagna. Ed è con questa che lei offre da bere i suoi
pensieri al mondo dei colletti bianchi e della borghesia ben vestita e ben
abbottonata. Lingua e parole che rappresentano il suo primo amore, le sue certezze,
quelle che confermano la sua identità, evitando le ambiguità di una lingua
veicolare, quella italiana, asservita ad una società conformizzata, che ha
perduto valori e coordinate dell’esistere.
*
Sugnu mmiriusa
macari di na musca
Fazzu a spacchiusa
e talìu a tutti cc'a nasca
a vaddila sta pianta
cchi si fici bedda
Minchia ma oggi ti furria mali
forfici zappuni e gguanti
u fazzu n'o fazzu
Su vogghiu pozzu
Ma forsi
ti dugnu a bbiviri
oggi mi sentu diu
oggi cumannu iu
Setti viti comu i jatti, p. 50
Nasce da qui la anti-poesia di Angela Bonanno. Una
poesia forte, unica nel suo genere, poesia
che ferisce - abbiamo detto - fa male, lacera lo spirito del lettore; poesia che è una sorta di “graffito”
di parole che dicono cose che forse non vorremmo sentire, poesia che potremmo
considerare alla stregua di una “rag poetry”, fatta di frammenti, segmenti di
parole, tasselli (anche se non sempre), straccetti qualche volta maleodoranti: sorta
di pensiero debole, bouquet di parole che prendono le distanze dal conforme, dal
consueto, dal trito e dal ri-sentito.
Queste, le mie impressioni, anche se è possibile approfonditi altri temi centrali della sua
opera: il tema della esistenza, della solitudine “ontologica” di ogni essere vivente.
Sono felice di aver letto queste poesie
non proposte dalla gigantesca industria dell’editoria.
Qui in campagna, dove il destino ci ha suggerito di vivere, godiamo
dei fiori di campo, iris e ciclamini, crochi e margherite, fiori che nascono e
vivono la loro vita senza essere notati.
La sua poesia? È alla stregua di quei fiori
di campo, un dono che Angela fa agli amici, un diario della sua anima con il quale
comunica la genuinità del suo
carattere, l’intelligenza del suo essere donna, la sua capacità di
fare poesia.
Gino Carbonaro
Da "Nuatri" (2oo3) e "Setti viti comu i jatti" (2005) Edizioni Prova d'Autore
Ragusa, 22 dicembre 2007
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