21. ’I corna su’ comǚ a li đenti …
fanu mali a lu şpuntari …
ma poi servuno pri
manciari
Turiddu ha capito che la moglie lo tradisce. Da ciò
discende che lui è cornuto. Per convincersi che lui, Turiddu, il maschio, non può essere cornuto, sviluppa un ragionamento qui sotto riportato ed estrapolato dal 21° e 22° cap. de "La Donna nei Proverbi Siciliani"
di Gino Carbonaro.
La cosa più grave era il non potersi sfogare
con nessuno, il non poter avere quella prova tangibile che lo liberasse dallo
stato di angoscia che gli procurava il dubbio, l’incertezza! E non era
possibile neppure fare delle scenate, dimostrare di essere geloso, perché in
questo caso era come darsi la zappa sui piedi! Difatti si sa che
Cu è`gilusu è `beccu! e
Lu maritu`gilusu mori curnùtu!
Ma, è a
questo punto, che Turiđdu riceve l’illuminazione! Si alza di scatto e decide!
decide di continuare a comportarsi come prima, come se niente fosse: fare finta
di niente, ma in effetti stare “alle viste”, controllare l’entrata e l’uscita
della porta di casa per poterla soprendere “in fallo” con l’amico “di-letto”!
Ma…! mentre
sta definendo i particolari del suo diabolico stratagemma, sente uno strano
prurito sul lobo destro della fronte, un po’ in alto, proprio là dove
cominciano i capelli, e subito dopo sulla parte sinistra: due punti diversi
della fronte epperò fortemente simmetrici. E, cosa non meno strana, questo
prurito si stava verificando lontano dai pasti, il che lo faceva insospettire
non poco, perché sapeva di certo che…
A lu curnutu quannu
nun mancia
`ci mancianu li corna!
Ma, per la
verità, Turiđdu non riuscì a concentrarsi troppo su queste
considerazioni, perché un male sordo, ma alquanto intenso cominciò a farsi
sentire là dove prima era solo prurito. Il male, che era un incrocio fra il mal
di testa e il mal di denti, e che si infittiva sempre di più, gli consigliò di
fare ritorno a casa. Ancora una volta, a confortarlo fu il Proverbio, più che
gli impacchi di lino bollente, ’i
catabrasimi đi linusa , che la buona Concettina gli poggiava sulla parte
dolente,
Li corna su’
comu li đenti
faňu mali a lu şpuntari!
ma poi servunu`pi manciari!
Si trattava, di un male scomodo, sì, ma
passeggero, e pertanto la cosa in sé non destava alcuna preoccupazione.
Il giorno dopo, difatti, levatosi di buon
mattino, Turiđdu si sentì più disteso, più ristorato. E guardatosi allo
specchio, ripetè, a bassa voce per non far svegliare la moglie:
Lu`re nun`fa`corna!
Li corna đi la soru … su’ `corna đ’oru!
Li corna đi la mamma… su`đi canna!
Li corna đi li parenti …nun šu’ `nenti!
Li corna di la muġğheri
su’ corna veri …
e`faňu piġğhiari lu fríđdu e la frevi!
E fu
proprio a questo punto che Turiđdu tornò a sentire un brivido gelido,
che partito, sempre dall’álluce del piede sinistro, gli congelò ancora il
midollo spinale facendogli irrigidire tutti i muscoli. “Che fosse l’effetto
di quell’acqua ghiacciata di quell’autunno precoce?” pensò fra sé Turiđdu.
Adesso il
nostro candidato al concorso per merito distinto pensa che forse sta
esagerando. E mentre cerca di minimizzare i fatti, sempre guardandosi allo
specchio, sviluppa tutta una serie di ragionamenti serrati ed inesorabili nella
loro consequenzialità, per montare una catena logica di tipo deduttivo, del
tutto simile a quella usata nella sillogistica aristotelico-tomistica, tanto
per capirci. Il ragionamento procedeva grosso modo, così. Seguiamolo insieme.
Davanti allo specchio:
“Monòlogo di Turiđdu”
1°. Nessuno può mettere in
dubbio che “tutte” le donne sono puttane. (Premessa
maggiore del sillogismo)
2°. È risaputo, però, che da
questa privilegiata categoria bisogna escludere la propria madre, la propria
sorella e…la propria moglie! (Premessa minore del sillogismo)
3°. Se ne deduce, dunque (e il ragionamento è
chiaro, limpido, cristallino e trasparente come l’acqua) che le corna non
possono mai… mai! attecchire all’interno della nostra propria famiglia. (…e qui si conclude il sillogismo)
Magnìficở!… Štu.pendõ!…
Potenzẩ della lỡgica!?
Acudèza ỷ Arte
de Ingẻnio!
Ma quale cosa più bella, più preziosa, avrebbe potuto
donare Dio all’uomo? …La logica …il ragionamento … ché, si badi bene,
non è proprietà degli animali, ma qualità che compete solo all’essere pensante,
che è l’uomo, che per ciò si distingue dalle bestie. La Ra.gi.o.ne! … Questo strumento magico, vero e proprio manipolatore.
e. trasformatore della realtà, in virtù del quale il bianco può diventare nero,
e ciò che è tondo può diventare quadrato; e conseguentemente, ciò che è
sbagliato, ipso facto, può essere
corretto; e ciò che è storto, voilà,
può diventare diritto. Basta aver fede in lei ... nella Logica… nella Ragione!
E Turiđdu aveva molta fede nella ragione!
Con ciò,
non si vuole dire che le corna non esistano! Le corna “e-si-sto-no!” come
no!
Ma, non ci competono!
Non sono cose che ci
toccano…
Non ci riguardano!
Certamente
il fatto in sé, cioè che uno sia `becco, può essere pensato,
supposto, magari ipotizzato in sede puramente discorsiva, ma solo come
possibilità molto remota, da far rientrare nel calcolo delle probabilità. In
questo caso (ma solo in questo caso!) Turiđdu si sente disposto a
poter accondiscendere, a poter addivenire, a poter fare suo il ragionamento.
Ma, anche dissertando sulla “ipotesi” si sente affluire il sangue alla testa. E
masticato appena fra i denti, ripete a se stesso che non è giusto, minçhia!
non è corretto che qualcuno possa approfittare della sua Concettina, e con uno
scatto amaro esclama:
Iu simìnu ’a lattuca
e ’n-autru si manćia ’a ’nšalata!
Şparagnu a`mò muġğheri ’nti lu
lettu
e àutru si la`godi a lu`ruvèttu!
e
sbattè la porta dietro di sé uscendo.
A pranzo,
non mancò di osservare con la coda dell’occhio la brava Concettina, che le
parve, anzi, un po’ sfrontata e quasi euforica. Tutto nel suo comportamento
sembrava dire:
Ştúppa mi đasti e ştúppa ti filai!
Turiđdu
avrebbe voluto aprire il discorso, dire che che nella vita aveva sempre fatto
il suo dovere, che non si era mai tirato indietro, ma si rese conto che la cosa
non aveva senso, lui sapeva che la muġğheri víziùsa `cu lu maritu sa la şcusa,
come pure
che cu’ sapi fínćiri sapi tínćiri. Per
questo, pensò di sorvolare, di lasciar cadere la questione, e rimase a mangiare
in silenzio, con lo sguardo che girava a vuoto in quel piatto di fave bollite.
22. Níu! Níu!
Cu nuň è `curnǚtu …
…è fíġğhiu ‘i `Điu!
Finito di pranzare, Turiđdu pensò di fare
quattro passi, tanto per distrarsi. Ma, come si dice…? la lingua batte dove
il dente duole, il pensiero, come l’ago della bussola, per quanto girato e
rigirato in tutte le direzioni finiva sempre per ritornare sullo stesso punto.
Un gruppo
di ragazzini che si inseguivano fra loro gli tagliò la strada. E quando si fu
allontanato, gli sembrò di udire una strana tiritera, ripetuta in coro e ad
alta voce:
Níu, níu, cu nuň è`curnùtu è `fíġğhiu ’i
`Điu!
Níu, níu, cu nuň è`curnùtu è `fíġğhiu ’i
`Điu!
Che ce
l’avessero con lui? – pensò fra sé Turiđdu -. Ma poi si convinse di aver
sentito male e continuò per la sua strada, diretto ora da suo cugino ’Ntò, il figlio di sua zia Minìçċhia,
che in fatto di corna aveva una certa esperienza. Ma ’Ntò, che con l’età era diventato più saggio, dapprima fu molto
vago, si tenne sulle generali.
Lui sapeva bene che…
Parrari pícca e`véştiri đi pànnu
mai a lu munnu fíçiru`dānnu!
Acqua cunšiġğhi e`sali
senza ađdummannati nun
ni đari!
e ancora
Fra maritu e`muġğheri nun ci mintiri
peđi,
fra muġġheri e`maritu nun ci mintiri jitu!
Anche perché i litigi fra marito e moglie
prima o poi si risolvono felicemente:
Li sciarri ’ntra maritu e`muġğheri
passanu`ni lu lettu.
Ma, cionondimeno, alla fine si decise per il meglio,
d’altro canto Turiđdu era suo cugino. E per prima cosa cercò di confortarlo,
facendogli notare che
Cu’ pri`picca, cu`pr’assai
tutti avemu li noşŧŕi`guai!
e,
purtroppo,
Guai e`peni / cu l’havi si li teni!
D’altronde
si sa che in questo mondo infame,
A li proviri e a li şvinturati
ci çhiovi ’nta lu culu anchi
assittati!
E comu đissi lu sceccu a lu mulu,
nascemmu `pi `đari culu!
e pertanto non resta che piegarsi alla sorte,
ponendosi dolcemente ad angolo retto, cu lu culu a`ponti, per assecondare i disegni del destino, e
magari fare appello alla rassegnazione:
Paçienzia`ci voli a li `burraşchi
ca nun si mancia`meli senza muşchi!
Li đinari vannu e vennu,
ma li corna sempri críscinu!
e lui, ‘Ntò, su questo argomento era
abbastanza prepa-rato! E sapeva molto
bene che…
Corna e`vastunati, cu l’avi si li porta.
E mentre ‘Ntò faceva, le sue realistiche
considerazioni, Turiđdu diventava sempre più scuro, sempre più cupo in
volto. Il cugino comprese di aver calcato troppo la mano e cambiò argomento. “Ma
perché prendersela tanto? … la vita è breve e bisogna goderla” – disse ‘Ntò al cugino, che lo guardava negli
occhi con lo sguardo assente - “Bisogna farsi coraggio!” - continuò ‘Ntò,
- e gli canticchiò addirittura la canzoncina che aveva appreso durante il “se.vizio”
di leva, quella che diceva:
Se oggi seren non è
doman seren sarà
se non sarà seren
si rasserenerà!
E poi –
sentenziò ‘Ntò – bisogna vedere se uno è veramente cornuto, perché …
Lu veru curnutu
havi la teşta comu ’n-šalici putātu!”
e lo fece mettere in controluce per vedere se il
disegno delle corna richiamasse l’idea di un salice. “E se anche fosse –
aggiunse ancora il cugino – ci sono rimedi e sistemi per cacciare via
l’indesiderato male”, bastava fare una dieta a base di lumache, come lui
stesso aveva sperimentato a suo tempo; perché si sa che,
Cu’ mancia `babbaluci, caca`corna!
E pian
piano il cugino diventò anche euforico, e disse che non tutti i mali vengono
per nuocere perché…
Li corna sunu sicchi
ma mantennu ’a casa grassa.
Fece
presente tutti i vantaggi, grandi e piccini, del nuovo status sociale, al quale
era salito grazie ai riconosciuti meriti della buona Concettina. E glieli
enumerò tutti, uno dopo l’altro, questi vantaggi. E gli disse che, tanto per
cominciare, entrava nella categoria dei benvoluti, che sono solo tre in tutto
il mondo:
Ŧŗi sunu li beni voluti:
`buffùna,`ruffiàni e`curnùti!
E non
basta!, poiché solo chi ha le corna non corre pericolo che il tetto di casa o
la volta celeste possano cadergli in testa, perché …
Lu curnutu teni lu tettu ( e ’u çelu)…
`cu ’i corna!
Vantaggi immensi, ai quali bisogna aggiungere dulcis
in fundo, che siffatta condizione privilegiata tonifica il sistema nervoso.
Difatti si dice:
Đisietti curnutu ca la paçienzia ti veni!
A tutto ciò
– continuò ‘Ntò, ormai preso da una
irresistibile foga oratoria – a tutto ciò bisogna ancora aggiungere che proprio
lui, Turiđdu, in caso di pronunciata ramificazione delle corna poteva
aspirare anche al premio Nobel. Ma in questo caso è necessario che il consenso
popolare sia totale, plebiscitario, e che tutti siano concordi nel dire:
Havia ni la teşta`çhiú`corna ca capiđdi!
Corna`n’havìa quantu ’n-túmmĭnu
’i vavaluçeđdi latini!
e tutto questo alla faccia degli invidiosi che non
potendo aspirare a tanto vanno ripetendo:
Chi `bella sorti haňu li curnuti,
ca senza siri`re su’ ’ncurunāti!
Questo in
sintesi il succo del discorso di ’Ntò.
E mentre
quest’ultimo parlava, il viso di Turiđdu tornava a distendersi, a rischiararsi,
mentre gli occhi si illuminavano e riprendevano la consueta vivacità.
Alla fine,
però, ’Ntò chiese al cugino se aveva
fatto la prova del sole. “La prova del sole? – fece Turiđdu – E
che cos’è?”. ’Ntò stava per
rispondere quando un coro di voci si levò dall’alto dei cieli:
Coro
Lu vôi sapiri cu nuň havi corna?
cu s’affaccia a lu suli e nun fa ummira!
In quel momento, però, una nuvola si fermò
dispettosa davanti al sole, e al nostro non più giovane amico non rimase che
dirigersi lentamente verso casa ruminando fra sé, come il crasto-`bécco di suo zio Angelino:
Nenti mi ’mporta se`sugnu curnutu
`başta ca manćiu e`sugnu viştutu!
|
|
Per omnia saecula saeculorum |
Amen
Oremus!
Qui finisce la storia di Turiđdu
e di Cuncittina, anche se i vicini di casa e gli amici tutti, trovarono
da ridire sulla ponderata decisione del nostro eroe.
Poeti e
cantastorie, poi, in aeternam rei
memoriam, così de-cantarono i meriti del nostro Turiđdu:
Curnutu, chi tò paŧŗi havìa li corna,
e di tò nanna li corna tinìa.
Quannu nascişti tu çhiuvèru corna,
e ’n-launàru đi corna şcurrìa.
La tò naca e lu lettu fořu corna,
’ntra corna e corna nutricaru a`tia:
vantari ti`ni
poi, çhianca đi corna,
nun`c’è
`curnutu
pariġğhiu đi tia.
Gino Carbonaro
Dal 21° capitolo de "La Donna nei Proverbi siciliani", Thomson Press, Oxford 2003