Fuori gioco
Un libro di Salvatore Scalia
di Gino Carbonaro
I libri si dividono in due categorie. Ci sono quelli buoni, che fanno riflettere, meditare, e che perciò arricchiscono; e quelli che non lasciano né emozioni, né traccia dentro di noi.
Tutti i libri di Salvatore Scalia, appartengono alla prima categoria, cioè ai libri che fanno pensare, che diventano parte di noi, e insieme accrescono il patrimonio della nostra cultura e ci rendono più saggi.
È giudizio forte quello che stiamo avallando, ma, è onesto che chi scrive si faccia garante di ciò che dice.
“Fuori gioco” (Gli Specchi, Marsilio Editore, 2009) è l’ultimo libro dello scrittore etneo. Qualcuno lo definisce “romanzo”, ma può essere considerato alla stregua di una tragedia, di diritto una pièce teatrale che invita alla riflessione.
L’opera parla di un calciatore di provincia che vive la giusta ambizione di diventare giocatore di serie A. Dapprima, la sorte sembra premiarlo, perché riceve una convocazione da una squadra nazionale. Il provino va bene, ma una macchiolina sulla radiografia dei polmoni lo fa escludere. Sogni e speranze vengono distrutte in un attimo per lui, per il padre che si realizzava nel figlio, per i tifosi che auspicavano un suo successo. Dalla delusione alla lenta emarginazione sociale del protagonista, il declino è inesor
Ma, Paolo Malerba è solo una faccia della medaglia, l’altra è costituita dal paese etneo di Masca
Si rileva così che la vita è un gioco dove c’è chi perde e c’è chi vince. E vincono sempre coloro che non hanno scrupoli, furbi e “sperti”: quelli che conoscono le regole del gioco della vita, o se le inventano, e se è necessario sanno anche barare. Chi non conosce quelle leggi è liquidato, è messo “fuori gioco”.
In questo racconto, si sviluppa una sottile trama filosofica quando l’autore va alla ricerca di un perché, di un come, di un quando che possa spiegare il perché della vita. È in questa ricerca la sostanza e la forza del libro.
Comunque, “Fuori gioco” registra ancora un valore aggiunto per il taglio sociologico e antropologico che lo caratterizza: descrizione di forme mentali, sistemi di vita, beghe familiari, gerarchie capovolte di valori, pennellate sul matto del villaggio, curiose consuetudini di giovani provinciali. Per questo, il vero protagonista del libro, si è detto, resta il paese di Masca
La bellezza dell’opera va anche ricercata nei monologhi che l’io narrante instaura con la natura, quell’inebriarsi al profumo delle ginestre, quel seguire l’improvviso battito d’ala di una gazza, nella vertigine offerta dal panorama che guarda l’infinita distesa del mare, dalla montagna coperta di neve, che maschera i sotterranei turbamenti del vulcano. Sono pennellate che ritornano ciclicamente nel corso del libro e rappresentano delle pause di quiete nel tumulto dei sentimenti di Paolo Malerba.
Il risultato creativo dell’opera è raggiunto per mezzo di una scrittura funzionale al racconto, aderente al tema, semplice, pulita, che non concede nulla al vezzo estetizzante, e perciò capace di trasmettere emozioni.
Il finale dell’opera che registra la lucida follia e la scomparsa del protagonista non va commentato, va letto, perché è qui che il racconto si chiude in modo da lasciare il lettore pensieroso, in un dilemma che non si risolve. Con l’amaro in bocca.
Gino Carbonaro
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