2020/10/25

CONFUCIANESIMO

 GIAPPONE CINA ORIENTE

CONFUCIANESIMO


   ARMONIA  Ideogramma Kanji 


IL RUOLO DEL CONFUCIANESIMO

NELLA CULTURA ORIENTALE


       Per capire il Giappone, e di riflesso la cultura orientale (Vietnam, Thailandia, Cina, Corea) bisogna tenere presente il ruolo del Confucianesimo in queste società. 


     Il Confucianesimo  non è una religione, ma una dottrina *etica* applicata alla vita degli uomini, ai quali viene suggerito il modo migliore di condurre la propria esistenza, senza alcun riferimento alla religione.  Dunque? Dottrina, senza rituali e preghiere. 


Confucio (K’ung-fu-Tsu), vissuto a cavallo fra il VI e il V sec. 

  1. Cr., era semplicemente un Maestro, educatore di giovani appartenenti all’aristocrazia cinese. 


     Tenuto conto che non aveva programmi ministeriali che avrebbero potuto dirgli cosa insegnare alle nuove generazioni, fissò il concetto che la cosa più importante che un giovane avrebbe dovuto imparare era il *rispetto* verso gli altri. Rispetto che conteneva  in sé benevolenza, rettitudine,  decoro,  fedeltà, onestà e saggezza.


       E fissò il concetto che i più giovani dovevano rispetto ai più grandi. Che il fratello più piccolo doveva rispetto al fratello più grande, la moglie il marito, e i capofamiglia dovevano rispetto ai datori di lavoro, e tutti poi dovevano rispetto all’Imperatore.

       Insomma una scala gerarchica, piramide sociale, nella quale l'unica legge era rappresentata dal rispetto. Ed è principio (il rispetto) che si ritualizza tuttora in una serie di inchini reciproci e di distanze da “rispettare” a seconda dello status delle persone.     


       Solo così (questa la filosofia di Confucio), una società può vivere in SerenitàArmonia. Armonia che, come concetto, è fissato in un bellissimo ideogramma, che oggi è possibile trovare esposto (bene in mostra) in tutti gli uffici pubblici del Giappone e della Cina, per ricordare che questo è il primo dovere (e obiettivo)  che tutti gli uomini e tutte le collettività devono perseguire.    


       Di fatto, Confucio-educatore indica la strada affinché ogni individuo possa vivere onestamente per raggiungere la perfezione morale. Ed è filosofia che “porge” la mano alla religione.


      Questa dottrina piacque molto all’imperatore cinese del tempo, che l’appoggiò imponendola a tutti i suoi sudditi. Il *rispetto* doveva essere di tutto, anche della proprietà individuale. Ed era legge. 


      Però, va aggiunto che il rispetto presuppone un obbligo che non è solo di coloro che nella scala sociale stanno più in basso, ma è anche di coloro che stando più in alto hanno la responsabilità morale nei confronti di chi sta “sotto” la loro guida e tutela, ed esegue e ubbidisce ai suoi ordini, eseguendoli con coscienza e precisione.  


       Tanto è provato dal fatto che in Giappone, il capo che dirige un'azienda, per il bene di tutti, lavorerà più di tutti, ma nella malaugurata evenienza fallisca il suo compito, diventerà un uomo privo di rispetto e sentirà l’obbligo (morale) di togliersi la vita.  Troppa è la vergogna per avere sbagliato, per non avere onorato il suo compito. Seppuku o Harakiri è detto questo antico rituale dei Samurai che, per il disonore dell’errore commesso, sono obbligati a tagliarsi il ventre con la spada. 

 

      In realtà, il Confucianesimo non prevede il Seppuku, ma prevede l’obbligo morale dei superiori di lavorare per il bene dei dipendenti. 


     Ecco perché scherzosamente si dice che un Giapponese, e perché no? un Cinese,  lavorano otto giorni su sette. E non dicono mai di no agli straordinari non pagati, che possono superare le 80 ore mensili, accontentandosi solo di cinque giorni di ferie all’anno. Ma, questo si fa in virtù di un rispetto nei confronti del lavoro e nel bene dell’Azienda per la quale lavora. 


      Va aggiunto ancora che tutto nel lavoro viene fatto fissando bene il concetto di *onestà*. Il cliente è considerato un Dio che bisogna *onorare* e *rispettare*. Tenendo presente che tutto viene costruito per lui, e la vita stessa dipende dal cliente. Fregare, ingannare il cliente, nella logica confuciana è disonorevole. Distruggerebbe l’immagine dell’Azienda produttrice e indirettamente l’immagine del paese.  

Impensabile quindi il concetto di *falsità* e di *corruzione*. Obiettivo sommo di una fabbrica è mirare alla perfezione. Realizzare il massimo. Per il bene di tutti: produttore e consumetore.     


     E’ chiaro, dunque, che, se le cose stanno proprio così in virtù di una cultura confuciana, in un pianeta dove la competizione è spietata, il vantaggio degli orientali nei confronti degli occidentali è travolgente. Tant’è che è oggi possibile ritrovare i mercati pieni di prodotti costruiti in estremo oriente: dai computer ai cellulari, ai vestiti, a quello che si vuole. 

     Prodotto ottimo. Fiducia massima. Sopravvivenza assicurata nel benessere. Obiettivo raggiunto. 


E qui da noi? Conoscere e riflettere. E’ importante!


                                                                           Gino Carbonaro


2020/10/08

FRANCA CAVALLO "JORNA" FRA POESIA E FILOSOFIA

Franca Cavallo

Jorna

fra poesia e filosofia 

di Gino Carbonaro



    Conosco Franca Cavallo da decenni. Perlomeno da quando pubblicò i suoi primi libri di poesie, che io lessi allora con sorpresa, attenzione e ammirazione,  fissando il concetto che questa poetessa avrebbe potuto crescere fino a lasciare un segno forte nella storia della nostra letteratura. Erano poesie, le prime che ha composto, che trasmettevano intense emozioni, e invitavano il lettore a riflettere sul senso del nostro esistere. Poesie originali nei temi e nella struttura, con decisa predilezione per la sua lingua natale, il modicano, e, con uno sguardo sempre rivolto al sociale e ai ricordi del passato, senza escludere il suo amore per la bellezza della Natura. Albe, tramonti, fiorire della Natura, bellezza che incanta e rasserena. Sono temi, questi ultimi,  che richiamano alla mente aspetti bucolici della campagna modicana con la sua capacità di evocare bellezza, dolcezza e mistero della Natura.


      Certamente, in questa ultima silloge, “Jorna”, non sono stati abbandonati i temi che da sempre sono stati a cuore della nostra Franca, ma di certo, è in parte spostato l’obiettivo e l’interesse della sua poetica. Dopo anni di esperienza nel percorso della sua vita, Franca Cavallo ha altro da dire, e i contenuti di questa silloge sono fondamentalmente orientati alla ricerca del senso di questa nostra vita.      


“Jorna”,  è poesia di apertura e titolo di questa silloge, ed è quella che dà il  “La” al contenuto dell’opera.  Poesia stupenda, nella quale si fissa il concetto  che sono proprio i giorni lo scrigno che contiene la storia di ognuno di noi. Sono loro, i giorni,  i contenitori del nostro vivere.  Ed è poesia che a me pare un  affresco. Un tutto denso di riflessioni. Potenti. Profonde. Di pura filosofia sul senso dell’esistere.  


“... Jorna ri paroli/ 

Jorna ri spirdi a la stranìa/ 

Jorna ri cuntari/ 

Jorna ri scancillari/ 


… e scura e agghiorna .. 

e scura e agghiorna/ 

Jorna .../ jorna … / jorna..” 


       Giorni pieni di parole, speranze, progetti, eventi.  Giorni da ricordare, altri da cancellare, mentre tutto si chiude e ritorna nella inesorabile ruota del tempo.   


   Franca Cavallo sa cos'è la poesia. E sa come nutrire la poesia con interrogativi e denunzie che attengono alla filosofia, al rapporto tragico che la vita può riservare ad ognuno di noi.  In realtà, in questi versi di apertura è possibile ritrovare l’anima di Franca Cavallo. Il leitmotiv che sostiene tutta l’opera. Anima lacerata dalla vita, Vox clamans in deserto, che canta alla Luna il dolore del mondo, della sua esistenza, della esistenza di tutti noi. Così, in altra poesia, quando scrive… 


“Lassatimi sula/ 

a scancillari ar una ar una/ 

li jorna cunzati r’amarumi/ 

Lassatimi sula/ 

ni sta vanedda che nun havi spercia/ 

a ricogghiri paroli ’ntussicati/ 

mmienzu a li fogghi sicchi/ 

ri ’na staçiuni ca nun passa mai ..”  

  

    C’è amarezza in questi versi, ma c’è poesia, e c’è verità. La voce di un dolore antico che ognuno di noi custodisce nel ricordo di una vita che è gioia e dolori, speranze e illusioni, incanto e timori.  E incalzano ancora gli interrogativi sul senso del nostro esistere…  


“Cu’ si’, cu’ sugnu, cu siemu?/ 

Simu petri ri çiumi senza abbientu/ 

e canni o vientu abbiati alla stranìa/ 

simu suli pi la via..” 


     Perché questo è l’uomo. Questa la Donna. Questa l’umanità, e la vita. Siamo pietre di fiume trasportate da acque che ci tormentano e ci travolgono. Creature che in questo mondo “lazzariatu e arsu” siamo incalzati da un vento che non possiamo arginare.. 


      Certamente le riflessioni sul senso del nostro esistere si aprono alla speranza, che giorni migliori spunteranno a conforto di tutti noi. Ed è nel finale di un’altra poesia che è possibile leggere... 


Ma ’mmienzu a lu sfraciellu ri li jorna

L’aria assirèna aspittannu rumani

Ccò ciçiuliu ré çiuri supra i rami

E la ggioia rà vita quannu agghiorna.  


        Ed è proprio in questo sfacelo di giorni, che l’aria si rasserena aspettando il domani, con il dialogare dei fiori sopra i rami, e la gioia della vita al sorgere del sole. 


       Mi fermo per dire che queste poesie intrise di sofferenza, di dolore e di speranza, si presentano anche come documento di accettazione della vita. Poesia ferita, ma creativa e vera. Poesia tematicamente originale, che pone la nostra Franca Cavallo nell’Olimpo delle grandi poetesse che ha prodotto questa Terra modicana.

          

                                          Gino Carbonaro