2018/05/31

La Donna nei Proverbi Siciliani - Pippo Gurrieri saggio critico


Libri: La donna nei proverbi


Gino Carbonaro 
La Donna nei Proverbi Siciliani 

Divertissement 


Terza edizione 
Thomson Press Oxford, UK, 2003, 
pp. 339, 
euro 13,90

              Saggio Critico di Pippo Gurrieri

     Questo è un libro fortunato, ma la sua fortuna non è dovuta al caso, bensì al lavoro certosino dell’autore, 
il prof. Gino Carbonaro, uno degli intellettuali più arguti e preparati di questo lembo meridionale di Sicilia, 
nonché fine fisarmonicista, qualità, questa, che già ci permette di comprendere la dimensione culturale, 
la serietà di metodo e lo spirito con cui il nostro vive
e affronti i diversi aspetti della vita.

     La prima edizione del libro, pubblicata nel 1981 con il titolo generico de “La donna nei proverbi”, ma con un sottotitolo più provocatorio: “Guida pratica ad uso del maschio”, andò subito esaurita, e medesima sorte toccò alla seconda, mentre la terza ha subìto un innesto di ben 150 pagine, di cui una ottantina, stampate su carta avoriata, presentano una serie di "Documenti di tradizioni popolari" che approfondiscono gli argomenti trattati dai proverbi.

     Qualcosa ci fa pensare, tuttavia, che le copie che l’autore distribuisce di questi tempi, siano in realtà una sorta di quarta edizione non dichiarata, ulteriormente arricchita di proverbi e altre chicche. 

     Rilevante il lavoro di re-iscrizione fonetica di molti termini della lingua siciliana che non trovano corrispettivi segni nell’italiano scritto. In questo caso l’autore ha adottato soluzioni originali in tutti quei casi in cui non esiste accordo sulla scrittura ortografica del siciliano, come ci spiega nella nota per la terza edizione.

     Dunque siamo di fronte ad un “divertissement”, cioè ad una composizione letteraria dal carattere frivolo o giocoso. 
E infatti Carbonaro gioca molto con i proverbi, con le loro contraddizioni, le loro scudisciate morali, il loro senso di essere “la legge” per i ceti popolari almeno fino all’Ottocento, ma io direi anche fino agli anni cinquanta del secolo scorso, cioè fino a quando alla lentezza del progresso e dei ritmi della vita, specie nelle società contadine e rurali, si sostituì la velocità del consumismo rampante.

     Nella presentazione dei personaggi che accompagnano, con le loro storie di relazioni in itinere fra sessi, il lettore nell’avvincente avventura, il proverbio, ovvero 

                               “ 'U Mùttu Siçilianu” 

è una sorta di voce fuori campo, di saggezza onnipresente pronta a correggere, suggerire, indicare, i comportamenti dei personaggi veri e propri, che poi si riducono ai due principali: Turiddu, il maschio e Cuncittina, la donna, circondati da madre e padre, nonno e nonna, cugino e relativi genitori, la madre di lei, un compare e la gente, tutti indicati (eccetto la gente) dai relativi soprannomi, o ingiurie, come si dice da queste parti.

     Infatti, scrive Carbonaro a pag. 29: “Fortunatamente per quei tempi, nei momenti di incertezza, l’umanità sapeva a chi rivolgersi. Ed era proprio lui, il Proverbio, che se era necessario suggeriva, consigliava, consolava, guidava per mano nella strada del giusto e del bene. Il Proverbio era tutto per i nostri antenati: era padre, madre, fratello, sorella, amico; era maestro, guida, precettore; e ancora, codice penale, codice civile, Vangelo, Bibbia”.

     E’ quindi di un viaggio che si parla, dai primi calori alla ricerca dell’amata/o, al corteggiamento, al fidanzamento, al matrimonio, alla convivenza familiare, all’insidia del monaco seguita da un intenso approfondimento attorno al tema delle corna, con la conclusione finale di cui parlerò appresso.

     Un viaggio in cui i protagonisti, e in specie Turiddu (ricordo che il testo è nato come guida per il maschio), ne sentono di cotte e di crude, e qualcuno di questi proverbi -Verbo fa davvero drizzare i capelli per la misoginia in esso contenuta; del resto chi l’ha detto che la tradizione sia tutta da recuperare e rivalutare? La spazzatura culturale e materiale che ogni tradizione contiene, frutto di ataviche ignoranze alimentate da poteri clericali e temporali, non rientra senz’altro fra questi. Però in mezzo a tanto minestrone di sapienze ci sono perle che hanno oltrepassato i tempi e le filosofie per giungere intatti fino a noi: 

            “Lu cumannàri è megghhiu d’o futuri” 

è una di queste, perché che comandare sia alla lunga meglio che fottere è regola assodata, anche se qualcuno cerca di superarla associando le due funzioni, anche contro l’incombere della vecchiaia e della decrepitezza.

     Gustose le 28 pagine dedicate all’irrompere del monaco nel menage familiare di Turiddu e Cuncittina. Sentenzia il proverbio: 

Diu ni scansi di malu viçinu / di soru di parrinu /       
di chiddi chi parranu latinu 

(Dio ci salvi da cattivo vicino, da sorella di prete 
e da coloro che parlano latino)

     Una piaga sociale abbastanza diffusa se la sapienza popolare si è dovuta armare di cotanti proverbi per poter leggere la situazione e adottare misure difensive.

Una piccola digressione personale. A pag. 302, nei Documenti, Carbonaro descrive le “Consuetudini igieniche dell’epoca”; ebbene questo testo mi ha ricordato la prima volta che ho ascoltato, rimanendone affascinato, un suo intervento in pubblico, nel 1988; il Nostro presentava il libro di Francesco Garofalo “Il Quarto Cavaliere” - Il colera del 1837 in Sicilia e a Ragusa. In quella circostanza la sua puntuale e precisa descrizione delle condizioni delle strade, letteralmente ricoperte di escrementi, mi rimase impressa illuminandomi su come si potesse vivere in un paese senza fognature. 

     Tornando al nostro Turiddu, ormai rassegnato cornuto per mano clericale, non gli resta altro che rivolgersi 
a San Sebastiano di Melilli, che va a cercare dopo un lungo e tortuoso viaggio. Verrà premiato con la consegna di 14 comandamenti, che rappresentano la summa della filosofia proverbiale siciliana e che qui si riportano:
  1. Ama a Diu e futt’o prossimu  (Ama Dio e frega il prossimo, come fanno i preti)
  2. Nun fari beni, ca malu ti ni veni (Non fare bene, chè ti torna male)
  3. Cu ha duluri d’è carni d’autri i so si manciunu i cani (Chi si preoccupa degli altri dà la sua carne ai cani)
  4. Cu’ caudia 'u scursuni nt’o pettu u’ primu muzzicuni è 'u so (Chi riscalda un serpente nel petto deve aspettarsi il primo morso)
  5. Nun fari beni e porci ca ti lu renninu a funciati (Chi fa bene ai porci verrà ripagato come merita)
  6. Cu duna u culu all’autri nun si pò assittari (Chi dà il culo agli altri, non può sedersi)
  7. Joca cu to pà, ma prima arrimìnicci ‘i carti (Gioca con tuo padre ma prima rimescola bene le carte)
  8. Sparti tu, ça cu sparti havi a megghiu parti (Fai sempre tu le divisioni, perché chi divide ha la parte migliore)
  9. Difenni ‘u to, o tortu o rittu (Difendi il tuo, o hai ragione o hai torto)
  10. Occhiu vivu e manu o cuteddu (Occhio vigile e mano sempre al coltello)
  11. Cu futti futti, Diu pirduna a tutti (Chi frega frega, Dio perdona tutti)
  12. Cu' havi dinari e amicizia si teni ‘ntra lu culu la giustizia (Chi ha denari  e amicizie si mette in culo la giustizia)
  13. ‘U cumannari è megghiu d’o futtiri (Comandare è meglio che fottere)
  14. A cu' ti leva ‘u pani lèvicci ‘a vita (A chi ti toglie il pane levagli la vita).
     E con questo elenco, che il Nostro ci ha voluto donare anche in versione cartolina, ognuno si portava a casa un’assicurazione per il futuro, necessaria in tempi duri e aspri in cui la vita era piena di incognite e insidie, dalle quali occorreva attrezzarsi in maniera scaltra e non sempre garbata. Diffidare del prossimo e del potere era la regola di fondo per poter sopravvivere. Altro che divertissement.

                                        Pippo Gurrieri
Maggio 2018

2018/05/04

INCIUCIO

Un termine ignobile

INCIUCIO 



INCIUCIO! Alla nostra amica Rosina, non piace la parola inciùcio. Le è entrata nella testa già nel 1995 e detesta questo termine. La sola parola “inciùcio”, anche se non è pronunciata, anche se non raggiunge le labbra, le inquina le sinapsi del cervello. Le aggroviglia, le fa attorcigliare, la fa “‘ntra-ùgghiri” (in siciliano, bollire dentro)  le infiamma anche le budella, e la fa, la fa star male. Ed è forma di allergia per buttare fuori la quale non c’è antistaminico che faccia il suo dovere. Allora? Allora decide di estrometterla, dal cervello, questa orripilante parola, di gettarla nella tazza del gabinetto, nella pattumiera, su FB (anche) per fare partecipe tutti. Perché, sappiano gli amici che “Lei” non ne vuole più sapere di questi neologismi che fanno accapponare la pelle, parole orripilanti, vomitevoli, necrotiche, insipide, inquinanti del corpo e dell’anima. Ed è lei (la nostra Rosina) che a sorpresa vomita, pardon, rende noto/comunica urbs et orbis che a lei (pardon, maiuscolo) “Lei”, questo termine non piace, non esiste nel suo vocabolario. (Punto e basta!)  Ma, sinceramente io non vedo a chi può piacere questa parola che pochi riescono a pronunciare , e chi la pronuncia si sente impastrocchiato. Anche la lingua, si impastrocchia, mentre le labbra trovano rigetto anche a buttarla fuori. Proviamo tutti insieme a ripetere in coro (ma, adagio-adagio: “In-ciù-cio”, e ci accorgiamo che le stesse labbra non riescono ad emettere quello strano rumorino, quella “ciù” che costringe le labbra a porsi come un culo di gallina. Insomma ci fermiamo per non superare i limiti del decoro e concludiamo complimentandoci con la nostra Rosina che ha trovato il coraggio di esternare i suoi pensieri più intimi. Perché, è chiaro. L’inciucio è parola sporca, maleodorante, anche. Bisogna essere sinceri e onesti. Sì..  bisogna essere onesti! Onesti bisogna essere. Perché? Perché (voltando pagina) dove la si trova una parola così bella da esprimere un imbroglio, un pateracchio, un intruglio, un pastrocchio, qualcosa che ricorda anche uno “scaracchio”. Se si vuole indicare una simile idea, basta sputare con dolcezza: “In-ciù-cio”, e voilà, il concetto è centrato.

Ergodunque.. Fa anche piacere pronunziarlo.. Rallegra l’anima.
      Adesso cogliamo il proclama della nostra acuta ricercatrice di delikatessen linguistiche che è il seguente: “Andiamo alla ricerca di termini che meritano sofisticate analisi”. E, la prossima volta? Parliamo di “burosauri”! Ah!

Gino Carbonaro